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La nonviolenza e' in cammino. 688



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Numero 388 del 18 ottobre 2002



Sommario di questo numero:

1. Un appello di 494 militari di Israele

2. Giancarla Codrignani, obiezione di coscienza

3. Lidia Menapace, sulla pratica della disobbedienza civile

4. Un nuovo sito per dire no alla guerra

5. Gerard Lutte: la strada, sfida continua con la morte

6. Una intervista a Marianella Sclavi sull'arte dell'ascolto

7. Umberto Santino ricorda Giovanni Orcel

8. Riletture: L'autobiografia di Mamma Jones

9. Riletture: Ida Magli, Gesu' di Nazaret

10. Riletture: Graziella Priulla (a cura di), Mafia e informazione

11. La "Carta" del Movimento Nonviolento

12. Per saperne di piu'



1. OBIEZIONE. UN APPELLO DI 494 MILITARI DI ISRAELE

[Questo appello e' stato pubblicato come annuncio a pagamento sui giornali
in Israele, con le firme di 494 soldati e ufficiali. Lo abbiamo ripreso dal
quotidiano "Il manifesto" del 16 ottobre 2002.  "Per sostenere i militari
che dicono no a Sharon": conto bancario presso la Banca Popolare Etica, via
Rasella 14, Roma, c. c. 111200, intestato a Il Manifesto Coop. Editrice,
Abi 05018 Cab 12100, specificando la causale]

Lunedi scorso: "Nell'operazione di Tzahal a Khan Yunis sono state uccise 15
persone, tra cui una donna e un bambino". Tre giorni dopo: "Un terrorista
suicida esplode all'incrocio Bar Ilan. Uccisa una donna. Decine di feriti".
Abbiamo trascorso parecchie settimane senza attentati, e ancora piu'
settimane senza attentati dalla striscia di Gaza. Il governo israeliano sta
sfruttando i militari israeliani e li sta mettendo a repentaglio allo scopo
di alimentare la spirale del terrorismo. Il governo di Israele manda i suoi
figli a portare a termine obiettivi politici che nulla hanno a che fare con
la sicurezza nazionale di Israele.

Noi, circa 500 ufficiali e combattenti del Tzahal dichiariamo di nuovo: Non
combatteremo in una guerra politica volta a perpetuare l'occupazione e
l'esistenza delle colonie. Non combatteremo contro i valori fondamentali
dello Stato di Israele e contro i valori morali dell'ebraismo sui quali si
fonda la nostra educazione.

Senza morale, senza giustizia, e senza una leadership che ci tiri fuori dal
fango dei territori, il nostro stato, lo stato di Israele, non ha speranza.



2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: OBIEZIONE DI COSCIENZA

[Ringraziamo Giancarla  Codrignani (per contatti: giancodri@libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo intervento. Giancarla Codrignani e'
presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza), gia'
parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di
solidarietà e per la pace; e' tra le figure più rappresentative
dell’impegno pacifista. Opere di Giancarla Codrignani: Amerindiana, Terra
Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1994]

E' uscito negli Stati Uniti il settimo remake del film "Le quattro piume"
tratto da un vecchio (1902) romanzo patriottico di Woodely Mason. Questa
volta sembra che l'aggiornamento sia stato sostanziale e abbia capovolto il
senso dei valori presenti nelle precedenti edizioni.

La storia e' quella di un ufficiale inglese che riceve da tre ufficiali
suoi amici e dalla fidanzata quattro piume, simbolo di codardia, perche' si
rifiuta di andare a combattere in Sudan (siamo nel 1875), dove peraltro si
rechera',agendo valorosamente nell'interesse della Gran Bretagna e salvando
il suo onore.

Nella nuova versione il regista, il pakistano Shekhar Kapur, sostiene di
aver realizzato un atto d'accusa contro il colonialismo britannico in
Sudan, non un film "epico".

Vedremo se il film contesta le versioni tradizionali; intanto non sono
inutili alcune considerazioni sull'impossibilita' di ripetere
l'interpretazione del passato per inaccettabilita' di quella morale.

Oggi e' difficile dire a qualcuno:"codardo". L'aggettivo e' quasi obsoleto
e ricorre piu' nell'etica del western che degli eserciti. Restano la vilta'
e la vigliaccheria, ma anche queste parole sono indicative piu' della
violenza di strada che dell'"onore militare".

In realta' e' proprio l'"onore"che e' entrato in crisi. Nei film moderni
l'uomo dichiarato "d'onore" e' il mafioso, mentre "Sedotta e abbandonata"
ha fatto decadere l'onore tragicomico dell'imene. Resta l'onore del soldato
o non e' anch'esso preistoria?

La guerra ha avuto un onore finche' il potere mascherava di ideologia e
rituali le sopraffazioni e le carneficine. Logico che ci fossero le ragioni
di chi attacca e chi si difende, esseri umani da entrambe le parti, divisi
da interessi che dovevano da sempre essere risolti con la diplomazia.

Invece a un certo momento i potenti mandavano degli ambasciatori con
salvacondotto a portare la "dichiarazione di guerra", gli eserciti si
disponevano nel "campo di battaglia", sotto le rispettive "bandiere" che
rappresentavano la patria, le madri e i figli, i soldati indossavano
"uniformi" di colori diversi per non darsele addosso da se' e chi picchiava
piu' sodo riportava la "vittoria", tra suoni di trombe, medaglie, morti e
feriti e monumenti ai caduti.

Per i rimandi culturali leggiamo la Lisistrata di Aristofane e consideriamo
che sono duemilacinquecento anni che la gente conosce la realta' del gioco
piu' scellerato e, per qualcuno, ancora divertente. Eppure lo ripetiamo con
i militari di professione, che sono sempre i nostri figli, con l'aggiunta
di qualche figlia.

Ma la guerra ha perso ogni "onore" ed e' formalmente ricusata dalle
costituzioni democratiche. Quando anche gli Stati maggiori e, soprattutto,
i capi di stato (i militari cominciano a tacere quando si parla di
conflitti) non dicono piu' "guerra", ma aggiungono "umanitaria",
"chirurgica", "preventiva", e' perche' la parola non ha piu' accoglimento
in se' e va giustificata anche ricorrendo ai controsensi.

Perche' la guerra ha perduto ogni "onore".

Gli obiettori di coscienza dovrebbero sentirsi orgogliosi: erano stati loro
i "codardi" che mostravano la nudita' del re.

Oggi si impone un salto di qualita' dell'obiezione. Non puo' piu' essere
"al servizio militare" perche' l'esercito e' diventato professionale, non
puo' essere "alle armi", perche' anche come nonviolenti riconosciamo
l'esistenza di polizie non disarmate.

Io credo che l'oggetto dell'obiezione sia sempre stata "la guerra" e che
per questo ci siano state donne solidali anche quando non vi era presenza
femminile nell'esercito.

L'aggressione preventiva "inventata" da Bush indica una strategia
innovativa per rilegittimare la guerra quando essa e' improponibile proprio
perche' molti paesi e non solo gli Usa (che hanno il privilegio della
quantita') sono in possesso di armi devastanti che si chiamano nucleare
miniaturizzato, armi chimiche (basta una fabbrica di fertilizzanti a
produrne) e biobatteriologiche (per le quali non ci sono metal detector o
controlli).

Si e' ripetuto infinite volte che l'obiettivo e' ormai quella popolazione
civile che i militari un tempo dicevano di difendere.

Allora occorre rinnovare la filosofia dell'obiezione. A me pare che sia
stata un po' messa da parte perche' schiacciata da quel servizio civile
che,in se' lodevole, non esaurisce l'impegno della coscienza contro le
guerre. Il servizio civile recepisce il richiamo debole del dare aiuto al
bisogno sociale "piuttosto che" all'esercito, mentre chi obietta segue il
richiamo forte di una scelta che e' "alternativa" e non sostitutiva. Gli
enti del Servizio civile fanno bene a fare emergere le difficolta' di un
momento di transizione in cui la leva decade e il servizio civile vero e
proprio non e' ancora strutturato con le note conseguenze del calo degli
obiettori e della decurtazione dei finanziamenti.

Ma chi tiene alla radicalita' del termine obiezione crede che non sia un
male se quanti scelgono il volontariato della solidarieta' o che
semplicemente non vogliono perdere in modo idiota un anno della loro vita
non si definiscono obiettori.

E mi piace dire "obiettori" piu' che "disubbidienti". L'ubbidienza (che don
Milani riferiva proprio alla chiamata della patria) non e' piu' un valore;
ma l'obiezione e' carica di storia e di pensiero e oggi entra direttamente
nel cuore della democrazia non come diritto di pochi all'esenzione da norme
vincolanti, ma come scelta di civilta' per tutti.



3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: SULLA PRATICA DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE

[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per questo
intervento che interloquisce con la riflessione lillipuziana su cui cfr.
l'intervento di Pasquale Pugliese apparso nel notiziario del 16 ottobre.
Lidia Menapace e' una delle piu' luminose figure della vita civile
italiana, e' impegnata nel movimento delle donne, e la sua riflessione
apporta preziosi contributi alla teoria e alla pratica della nonviolenza]

Intervengo sulla pratica della disobbedienza civile.

Nel movimento delle donne (che non viene considerato mai, a differenza di
quanto faceva Gandhi, che da esso molto ha imparato dichiarandolo e
citandolo) le forme della disobbedienza civile hanno almeno due famosi
precedenti negli USA.

Uno durante le lotte contro la schiavitu', quando donne  bianche del sud
accoglievano nelle loro case schiavi/e in fuga, disobbedendo con rischio
notevole a una legge che reputavano ingiusta (dunque non solo per buon
cuore, ma con una intenzione politica) e avevano costituito una catena di
casa in casa fino a che i fuggiaschi e le fuggiasche potevano arrivare in
territori abrogazionisti.

L'altro si riferisce al diritto matrimoniale: molte femministe anche di due
secoli fa dopo la lettura dei testi giudirici o religiosi sui quali
poggiava la legittimita' del matrimonio appena contratto dichiaravano
pubblicamente davanti all'ufficiale di stato civile o al prete o al pastore
che, d'accordo con i loro mariti o compagni non avrebbero obbedito ne'
rispettato gli articoli del codice  o i comandi dei sacri testi che - ad
esempio - non rispettavano la liberta' o la parita' tra i contraenti.

Nel nostro paese dal 1943 al 1945 una pratica pericolosissima di
disobbedienza fu di ospitare e accompagnare al sicuro soldati renitenti o
disertori, prigionieri di guerra fuggiti, perseguitati politici o razziali.
Una ordinanza di Kesselring su tutti i muri di tutti i paesi prometteva
cinque chili di sale a chi avesse denunciato questi reati, o la fucilazione
a chi li commetteva o li copriva: non ci fu nessuna denuncia e
l'ospitalita' continuo'. Siccome gli storici hanno in testa solo lo scontro
armato, questa parte della Resistenza senza armi viene assai impropriamente
detta "zona grigia".

Ma certo la lotta di disobbedienza civile piu' grande e diffusa e
partecipata fu quella che - nell'Italia democratica - le donne facemmo
contro l'aborto clandestino e per poter avere una legge civile,
organizzando viaggi all'estero, autodenunciandoci, presidiando le cliniche.

Una azione simile fu fatta anche nei confronti di alcuni ospedali romani
che praticavano la infibulazione a donne mussulmane ricucendole dopo il
parto. E' molto probabile (e' gia' stato annunciato da me nel corso di una
manifestazione fatta a Roma nell'estate) che se dovesse essere approvata la
legge sulle tecniche di riproduzione assistita che contiene clamorose
ingiustizie e disparita' tra donne, si organizzera' una campagna di
disobbedienza "civile" (vuol dire dei e delle cittadine, pubblica,
politica, non nel chiuso della clandestinita') nei suoi confronti.

Spero di aver dato qualche sostegno al dibattito.

Vi prego si usare sempre un linguaggio inclusivo (maschile e femminile):non
farlo e' considerato da noi femministe una azione violenta, un vero e
proprio "genocidio simbolico".



4. RIFERIMENTI. UN NUOVO SITO PER DIRE NO ALLA GUERRA

E' stato attivato da vari movimenti pacifisti, nonviolenti e di
solidarieta' il sito www.bandieredipace.org, per sostenere e diffondere
l'iniziativa delle "bandiere di pace" e degli "stracci di pace" con cui
rendere visibile la corale e intransigente opposizione alla guerra dei
cittadini italiani (e della Costituzione della Repubblica Italiana, e della
Carta delle Nazioni Unite, e di ogni istituzione non assassina, e di ogni
persona di volonta' buona). Invitiamo tutti i nostri interlocutori a
visitarlo.



5. ESPERIENZE. GERARD LUTTE: LA STRADA, SFIDA CONTINUA CON LA MORTE

[Riceviamo e diffondiamo questa lettera di Gerardo (per contatti:
quetzalitas@tin.it). Gerard Lutte, di origine belga, da molti anni in
Italia, docente universitario di psicologia dell’età evolutiva, ha
partecipato a Roma alla vita e alle lotte degli abitanti di una borgata di
baraccati e di un quartiere popolare e ad un lavoro sociale con i giovani
più emarginati; collabora con movimenti di solidarietà ed esperienze di
accoglienza; ha promosso iniziative mirate e concrete di solidarietà
internazionale dal basso e di auto-aiuto, con particolar riferimento alla
situazione centroamericana, di impegno di liberazione con i giovani e
soprattutto le bambine e i bambini di strada; e' animatore infaticabile
dell'esperienza del movimento delle ragazze e ragazzi di strada in
Guatemala. Tra le sue opere: Quando gli adolescenti sono adulti… I giovani
in Nicaragua, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Sopprimere
l’adolescenza?, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Psicologia degli
adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna 1987; Dalla religione al
vangelo, Kappa, Roma 1989; Cinquantanove ragazze e ragazzi di strada con G.
L., Principesse e sognatori nelle strade in Guatemala, Kappa, Roma 1994 (e'
stata recentemente pubblicata una seconda edizione aggiornata). Per
prendere contatto con la Rete di amicizia con le ragazze e ragazzi di
strada: Comitato di gestione, piazza Certaldo 3, 00146 Roma, tel. e fax
0655285543, e-mail: quetzalitas@tin.it, e anche: Manila, 0633624953, Chiara
068607210. Altri contatti: Formia: Italo, 0771736852; Genova: Eva,
01046911325; Gorizia: Alberto, 048122012; Mazara del Vallo: Piero,
0923931714; Milano: Tina Portelli, 03333256255;  Pinerolo: Angelina,
012502051; Potenza: Anna Lisa, 097121517; Roma: Vanessa, 0687149513;
Treviso: Giovanni, 3898004425; Varese: Cecilia 3479079810; Viterbo:
Maurizio 3393066758]

Care amiche e cari amici delle ragazze e ragazzi di strada,

di ritorno dal Guatemala avevo tante buone notizie da comunicarvi, ma non
avevo ancora iniziato a scrivervi quando mi sono giunte due lettere piene
di orrori.

Domenica scorsa, verso le ore cinque del mattino, ora locale, un gruppo di
giovani, armati di sbarre di ferro e comandati da una narcotrafficante di
solvente e di crack, hanno fatto irruzione in una casa abbandonata dove
trova riapro un gruppo di strada, casa vicina a quella del nostro
movimento. Hanno messo fuori combattimento, ferendoli gravemente, due
giovani, Juanjose' e Hugo, che tentavano di opporsi a questa aggressione.
Poi selvaggiamente, colpendole con le sbarre di ferro, hanno violentato due
ragazze minorenni, Jennifer e Josefa. Lesbia, la narcotrafficante, si era
fatta accompagnare dalla figlia tredicenne per completare la sua
educazione. Le ragazze e i ragazzi hanno avvertito il movimento tramite
Mayra e i soccorsi si sono rapidamente organizzati: trasporto all'ospedale,
denuncia dell'accaduto alla polizia e alle autorita' giudziarie, Mayra ha
accolto nella sua piccola casa le due ragazze, Lorena e Cesar hanno messo a
disposizione dei ragazzi la capanna che hanno in una baraccopoli. Un gruppo
di ragazze e ragazzi che doveva partecipare a un convegno nazionale di
giovani e' rimasto per aiutare le loro compagne e compagni feriti.

Un episodio simile era gia' avvenuto nel '98 con il gruppo della "novena":
una narcotrafficante, dopo aver drogato un gruppo di ragazze e ragazzi, li
aveva aizzati per uccidere con innumerevoli colpi di machete due dei loro
compagni.

Nella notte tra lunedi' e martedi' scorso, verso le due del mattino, un
gruppo armato ha fatto irruzione nella casa vecchia della Terminal (cosi'
chiamano un vecchio garage Mercedes il cui tetto e' cascato; e' rimasto un
terreno dove si sono costruiti precarie capanne. I delinquenti hanno aperto
il fuoco ferendo cinque giovani: Henry, Manitas, Nery, Manuel e Sandrita. I
due ultimi sono stati gravemente feriti - Sandra ha ricevuto una pallottola
nella testa - e stanno all'ospedale.

Chi sono gli autori di queste aggressioni? Nel primo caso si tratta di
ragazzi di strada agli ordini di una narcotrafficante, gia' denunciata per
l'assassinio di un ragazzo di strada. E' difesa da ottimi avvocati. In
Guatemala, il narcotraffico e' diretto da generali e alti ufficiali e, come
afferma Otto Reich, sottosegretario agli Affari Esteri del governo degli
Stati Uniti, sono legati allo stesso governo.

Gli autori della sparatoria sono finora sconosciuti. Potrebbero appartenere
a una delle gang che si fanno una guerra spietata per il controllo del
territorio. Ma queste gang, implicate spesso nel traffico di droghe, sono
manipolate dalla polizia e dall'esercito.

Dall'inizio del governo dell'attuale presidente, dominato dal FRG, partito
del genocida ex-dittatore Rios Montt, la polizia, pur continuando con
arresti arbitrari e violenze, ha ceduto buona parte della repressione delle
ragazze e ragazzi di strada a sette religiose che li rinchiudono con
violenza in lager, e alla delinquenza comune, dietro alla quale si
nascondono facilmente gli squadroni della morte ed i servizi di sicurezza.
Cosi' il governo non e' piu' incolpato di violazione dei diritti umani.

Altra forma meno appariscente di sterminio silenzioso delle ragazze e
ragazzi di strada e' l'Aids. I poveri non si possono pagare la salute e
muoiono abbandonati. Durante il mio ultimo soggiorno, due ragazze sono
morte.

Non mi dimentichero' mai di A., che si lasciava morire e mi stringeva con
disperazione le mani per sentire il calore dell'amicizia. Di lei, morta a
diciannove anni, non rimanevano che gli occhi, immensi, neri, che a volte
ti fissavano intensamente, a volte guardavano spettacoli per noi invisibili.

Troppo volte la morte e' piu' rapida di noi...

Morte e vita, vita che e' sfida continua con la morte: la strada ci
confronta con l'essenziale della nostra esistenza.

*

Ma ci sono anche ottime notizie dalla strada.

Finalmente, dopo anni difficile, dopo necessari cambiamenti nel gruppo
degli adulti che lavoravano con noi, il movimento e' diventato
un'organizzazione non piu' solo "per" le ragazze e ragazzi di strada, ma
"delle" ragazze e "dei" ragazzi di strada. Ora tutto viene deciso in
assemblee di settori o generali e il movimento e' guidato da un
coordinamento di sette giovani eletti dalle loro compagne e compagni.

Tutto viene deciso da tutti: la programmazione, l'uso dei soldi, la
valutazione delle attivita'. Gli adulti assumono finalmente il ruolo che
era previsto nel nostro progetto: accompagnatori e non dirigenti.

E si nota la differenza. Ragazze e ragazzi vengono piu' numerosi,
partecipano con maggiore entusiasma, prendono iniziative, lavorano anche
loro in strada.

Altro progresso significativo: l'importanza data allo studio. Per il
prossimo anno scolastico, che inizia a gennaio in Guatemala, prevediamo che
una quarantina di figli e figlie delle ragazze di strada o che furono della
strada saranno nella scuola materna ed elementare, una quarantina di
giovani nella scuola primaria, una decina nella scuola media, tre nella
scuola superiore ed una nell'universita'. Inoltre le e gli adulti, le ed i
giovani del coordinamento e altre loro compagne e compagni, venti in
totale, frequenteranno un corso parauniversitario che da' dopo un anno il
diploma di educatore popolare.

Pensiamo che una trentina seguiranno corsi di formazione professionale.
Molto e' stato fatto anche per migliorare i reinserimento sociale, cercando
le camere per le ragazze e ragazzi che vogliono uscire dalla strada laddove
potranno contare sull'appoggio di una comunita'. Pensiamo anche di
organizzare un albergo di transizione per facilitare il processo di uscita
dalla strada.

*

Un momento privilegiato di questi ultimi mesi e' stato il seminario con
Giulio Girardi sul tema dell'amicizia liberatrice. Giulio e' venuto al
momento opportuno, dopo l'elezione del coordinamento, e il suo insegnamento
socratico ha dato un contributo essenziale alla formazione del movimento e
al suo inserimento consapevole nel movimento che cerca un'alternativa al
progetto di morte delle globalizzazione neoliberale.

Ora dodici ragazze e ragazzi, del coordinamento e delle quetzalitas, stanno
in Nicaragua, sotto la guida di Emanuele Tacchia, per conoscere e fare
amicizia con altre associazioni di giovani.

I nostri progetti e sogni per il prossimo anno sono tanti. Ve ne parleremo
in seguito, quando il programma sara' stato elaborato dalle ragazze e
ragazzi.

La sovvenzione della Unione Europea, ottenuta grazie a Terra Nuova, ci ha
permesso di sviluppare finora il nostro progetto. Finisce nel marzo del
2004, fra un anno e mezzo. Abbiamo diciotto mesi a disposizione per
triplicare la nostra solidarieta'.

Ora che abbiamo molti studenti sarebbe possibile venire incontro alle
richieste di molti tra voi che ci chiedono di finanziare borse di studio o
adozioni a distanza. Proporrei 60 euro per una borsa completa o 30 per
mezza borsa.

Un affettuoso saluto, anche da parte delle ragazze e ragazzi del movimento,

Gerardo Lutte



6. RIFLESSIONE. UNA INTERVISTA A MARIANELLA SCLAVI SULL'ARTE DELL'ASCOLTO

[Questa intervista a Marianella Sclavi (per contatti: msclavi@libero.it)
abbiamo estratto dal sito (www.unacitta.it) del bel mensile "Una citta'",
sul cui n. 80 dell'ottobre 1999 l'intervista e' stata pubblicata.
Marianella Sclavi insegna antropologia presso il Politecnico di Milano. Ha
pubblicato La signora va nel Bronx, Anabasi, Milano, e A una spanna da
terra, Feltrinelli, Milano]

- "Una citta'": In un'intervista di alcuni numeri fa Guido Armellini, in
polemica con la pedagogia corrente, invitava a rimettere al centro
dell'insegnamento la relazione professore-studente. Qual e' il problema
principale del rapporto tra insegnanti e studenti?

- Marianella Sclavi: Questo e' un problema anche teorico ed epistemologico:
qual e' l'elemento piu' importante per far funzionare un rapporto umano? A
mio avviso e' la capacita' di gestire i conflitti in modo creativo, di
valorizzare il conflitto come un modo per riaffermare il riconoscimento e
il rispetto reciproco. Questo non significa applicare una certa metodologia
didattica, pedagogica o un'altra, ma proprio andare al cuore della dinamica
del rapporto. Partire dal conflitto significa necessariamente distinguere
il livello relazionale da quello dei comportamenti. Nel libro Buone notizie
dalla scuola, nell'intervento sulle emozioni, faccio l'esempio standard del
conflitto: se una persona mi da' un pugno e io rispondo dando a mia volta
un pugno, a livello del comportamento mi oppongo, a livello della relazione
collaboro, perche' dandomi il pugno mi invita alla lotta e io collaboro
alla lotta. Quindi il conflitto e' il momento della verita' del modo in cui
le persone costruiscono le cornici del senso reciproco.

Diciamo allora che la dote dei bravi insegnanti che operano in condizioni
difficili, in quartieri a rischio, non e' ascrivibile a una competenza
professionale di tipo specifico, ma e' da ricondurre a una competenza di
comunicativa generale, a quella, cioe', che e' una competenza di base di
ogni essere umano: sapersi relazionare all'altro attraverso la strada del
riconoscimento e rispetto nonostante il dissenso. Il che vuol dire, nel
campo delle scienze sociali, essere allenati ad una ermeneutica pratica
dell'osservare, dell'ascoltare, della comunicazione a partire dalla
conflittualita'. Ecco, un allenamento all'ascolto attivo: saper accogliere
il punto di vista dell'altro anche se e' opposto al nostro, senza
rinunciare al nostro. Significa passare da un'abitudine a un pensiero del
tipo: "Io ho ragione, tu hai torto", o viceversa, a un pensiero in cui
tutti hanno ragione e nello stesso tempo non possono averla tutti. E' la
situazione del giudice saggio che ascolta il primo litigante e gli dice:
"Hai ragione", ascolta il secondo litigante e gli dice: "Hai ragione", e a
una terza persona che si e' alzata e ha detto: "Ma non possono aver ragione
tutti e due", risponde: "Hai ragione anche tu".

E' esattamente questo a cui bisogna allenarsi, perche' questa e' la magia
che consente questa dinamica: io devo riconoscere che quello la' ha
ragione, nello stesso tempo ho ragione io che la penso e continuo a
pensarla in modo opposto, e pero' non possiamo aver ragione entrambi,
quindi dobbiamo metacomunicare su come vediamo il mondo e non solo nel
merito.

Tutte queste situazioni richiedono una messa in discussione della
relazione, non tanto dei comportamenti, perche' attraverso la relazione poi
anche i comportamenti cambiano.

- "Una citta'": Tu nel tuo libro fai riferimento a questa scuola di Harlem...

- Marianella Sclavi: L'esperienza di questa scuola di Harlem e' raccontata
in un libro intitolato Miracolo ad Harlem. Tutto inizia dal fatto che a una
signora che io ho conosciuto, Debora Mayer, che aveva insegnato in varie
scuole, e' stato proposto dal provveditore agli studi di New York di fare
una sperimentazione molto libera. Quindi una scuola pubblica pero' in
totale autonomia. Ora, la' tutte le scuole erano dei veri manicomi, con gli
insegnanti costretti a far le ronde, a fare i poliziotti, in un clima di
sfiducia radicale e di comunicazione offensivo-difensiva reciproca che si
riproduceva in continuazione. Allora, come fare a bucare questa bolla di
sospetto e innestare un rapporto umano di tipo diverso?

La Mayer, per accettare, ha posto le sue condizioni. Una e' stata che le
ispezioni, almeno quelle ufficiali, per veder come stava funzionando
l'esperienza, fossero posticipate di due anni. Potevano andar la' in ogni
momento a vedere, pero' per una valutazione ufficiale e organica doveva
passare un po' di tempo, quello necessario perche' l'esperienza potesse
crescere. L'altra condizione e' stata quella di poter scegliere quali
insegnanti andavano bene, e questo e' stato certamente fondamentale. Ma
attenzione, di solito si pensa che per certe esperienze ci vogliono delle
persone superdotate, con le spalle quadrate, mentre proprio l'esperienza di
Harlem dimostra che le persone devono certamente avere entusiasmo, ma per
imparare. Quindi c'e' una preselezione, con degli insegnanti che decidono:
"Io voglio fare per alcuni anni questo tipo di esperienza", poi, pero',
data la disponibilita' a misurarsi con queste difficolta', l'allenamento
alle dinamiche dell'osservazione e dell'ascolto e alla gestione creativa
dei conflitti, cioe' alla fenomenologia intesa proprio come riflessivita',
si impara, si acquisisce. Chiarire questo mi sembra molto importante.

La Mayer aveva saputo che un'insegnante che abitava nel Vermont, uno stato
a nord, insegnava fenomenologia alle insegnanti. Cosi' hanno preso tutte
quante e sono andate la' a fare un corso di fenomenologia, che poi
consisteva nel portare la' i compiti e le cose che facevano i bambini e
vedere come fare la valutazione. Si trattava di bambini piccoli, della
scuola materna e elementare, perche' erano partiti dai primi livelli.
L'assunto di base e' stato che qualsiasi cosa un bambino fa, fa del suo
meglio. L'esempio che faccio io di solito e': se il bambino scrive "bello",
con una elle sola, invece che correggerlo e dire: "Due elle", prima bisogna
cercare di capire cosa ha fatto: probabilmente lui aveva interesse a tenere
la riga, o a fare bene il giro della elle, percepiva questo compito secondo
una certa prospettiva e allora prima diamogli atto che da quel punto di
vista lui ha fatto meglio di prima, dopodiche' gli posso benissimo anche
dire, o dargli l'occasione di accorgersi da solo, che se mette due elle
funziona meglio, oppure possiamo anche scherzare insieme per esempio sul
fatto che cosi' ha imparato due parole: "bello" e "belo" nel senso della
pecora.

E' un esempio di ascolto attivo, che nasce proprio dalle riflessioni di
Winnicot, il famoso psicanalista che si e' occupato di bambini. Lui metteva
sempre in evidenza che una madre, quando il bambino indica un paio
d'occhiali e dice "mela", non gli dice: "Sei uno stupido", ma: "Guarda,
come sei bravo, hai associato la forma rotonda della mela con la forma
rotonda degli occhiali!" ed e' tutta contenta. Poi il bambino imparera'
anche a dire "occhiali" agli occhiali, pero' la prima cosa che gli
trasmette e' il riconoscimento dell'intelligenza di un atto di comprensione
del mondo.

Allora, il problema e': questo tipo di atteggiamento e' possibile portarlo
avanti negli anni, invece che solo quando uno sta imparando a parlare? E
anche farlo valere nei rapporti tra insegnanti, oltre che nei rapporti con
gli studenti? Cioe' cosa diventa una cosa del genere quando si fanno i
conti con una realta' molto piu' complessa e con delle responsabilita'?

Ecco, questo e' quello che hanno affrontato gli insegnanti della scuola di
Harlem.

Loro poi, man mano che la scuola e' diventata piu' grande, a livello della
High school, hanno diviso la scuola in tante scuole piu' piccole, in modo
che gli studenti fossero divisi in gruppi. Pur contando la scuola 400
studenti, erano divisi in "scuolette" di 80 studenti; poi c'erano anche
insegnanti che seguivano per certe ore gruppi di 12. Diciamo che c'era una
grandissima enfasi a valorizzare gli studenti come persone e non come
studenti, accogliendo la storia personale di ognuno e premiando il rapporto
personale.

E' un capovolgimento. Pensiamo che quando e' nata la scuola di massa il
fatto di considerare le persone come "studenti" era un fatto di promozione
e di uguaglianza, perche' era l'affermazione che tutti di fronte alla
scuola pubblica sono uguali, indipendentemente dalla professione dei
genitori. Oggi per portare avanti l'uguaglianza devi accogliere la persona,
devi fare un lavoro di conferma di identita' sociale che la societa' civile
non fa piu'. Quando e' nata la scuola di massa uno socialmente era il
figlio del mugnaio, del dottore, del professionista, ed eri indicato a
vista come quella persona li'; e quindi il fatto di dimenticare questo era
un fatto di uguaglianza. Oggi non conta piu' niente, non sei piu' indicato
a vista, al limite sei indicato come quello che abita in periferia, nel
Bronx, oppure al centro, e il problema, non solo dei giovani, e' diventato
quello di affermare il proprio protagonismo. E a questo la scuola deve
assolutamente collaborare. Oggi non si puo' piu' imparare la grammatica o
la matematica senza contemporaneamente affrontare anche il problema del
riconoscimento e del rispetto, che non e' affatto un problema solo nei
rapporti interetnici. L'interculturalita' caratterizza in modo radicale
tutta la nostra societa'. Viviamo in una societa' in cui i rapporti tra
genitori e figli, tra insegnanti e studenti, fra uomo e donna e tra
professionista e cliente richiedono di accogliere punti di vista diversi
dai nostri e quindi con difficolta' di comprensione di tipo interculturale.
L'incomprensione che sorge non e' risolvibile solo con un aumento delle
informazioni: devi farti carico delle cornici, cioe' del modo in cui
l'altro vede il mondo. Quindi l'ascolto passivo, l'ascolto che prescinde
dalle cornici, non e' piu' sufficiente in molti casi. Devi passare
all'ascolto attivo che e' l'ascoltare le cornici, cioe' modificare il modo
di inquadrare le cose.

Questo vuol dire che se io devo raccontare cosa succede nelle scuole non
basta che racconti cosa succede normalmente, ma devo raccogliere una
casistica di incidenti, situazioni di conflittualita', sia nella
quotidianita' della classe sia all'interno della scuola. E poi devo
raccogliere una casistica delle modalita' con cui quella conflittualita' e'
stata affrontata. Il bisogno piu' sentito tra insegnanti e studenti e'
proprio quello di ampliare significativamente il ventaglio di soluzioni per
gestire l'incomprensione, il malinteso, il conflitto. E questa e' una cosa
nuova.

Io mi occupo di questo da venti anni e posso dire con tutta tranquillita'
che solo da 5-6 anni a questa parte trovo fra gli studenti, ma anche fra
gli interlocutori adulti, un immediato interesse per queste cose, nel senso
che capiscono che servono per la loro vita quotidiana.

Mentre in precedenza venivano viste come cose utili solo in casi
eccezionali, rari. L'ascolto attivo era visto come qualche cosa che serviva
allo psicoterapeuta, all'antropologo, mentre oggi tutti capiscono che serve
a tutti, continuamente, a cominciare dalla litigata col figlio. Questo e'
anche il motivo per cui siamo in crisi tutti quanti. E' cambiata la
societa', tutti i rapporti sono diventati piu' complessi e noi non abbiamo
gli strumenti per descrivere cosa sta succedendo e per raccontare questo
tipo di problemi. Pero' gia' dichiararlo, il motivo per cui siamo infelici,
in difficolta' e a disagio, e' un passo in avanti.

- "Una citta'": Nell'intervento incluso in "Buone notizie dalla scuola",
lei introduce il tema dell'umorismo legato alla capacita' di saper
ascoltare. Ci puo' spiegare?

L'aspetto dell'umorismo e' legato al parallelismo tra il narrare una
situazione di tipo interculturale e il narrare una barzelletta. Ci sono
tantissimi esempi. Edward Hall, che e' l'inventore della prosemica ne
racconta uno. I primi tempi che stava in Giappone, dato che voleva studiare
i giapponesi, aveva preso alloggio in un albergo frequentato dai
giapponesi. Doveva rimanere per un paio di mesi. Mentre era li' hanno
cominciato a cambiargli camera senza dirgli niente: lui tornava in albergo,
andava nella sua camera, ma in un certo senso non era piu' la sua, perche'
non c'era piu' la sua roba dentro, c'era quella di qualcun altro, doveva
andare a chiedere: "Scusate, ma dove sono?", "Adesso e' in quest'altra
camera". Andava nell'altra camera e tutta la sua roba, anche la biancheria
intima, era gia' a posto nei cassetti della nuova camera. Non riusciva a
capire che senso avesse una cosa del genere. Essendo americano tendeva a
vederla come una mancanza di riguardo elementare: "Almeno avvisami".

Allora, come funziona la descrizione antropologica in questo caso? Primo,
descrizione dell'ambiente e dei comportamenti; secondo, descrizione dei
suoi sentimenti rispetto a queste cose, e interpretazione di questi
sentimenti come informazioni su come vedresti quelle stesse contingenze
nella tua cultura. Le emozioni sono indicazioni che non posso interpretare
come informazioni sul fatto che quelli la' effettivamente mi stanno
offendendo, perche' distorcerei la conoscenza: non e' assolutamente detto.
Sono informazioni di cornice e nella condizione dell'osservazione di
un'altra cultura questo e' particolarmente chiaro, perche' che la stessa
cosa sia interpretabile in modo opposto e' dimostrato dal fatto che tutti
loro lo interpretano in modo diverso. Se io ho la sicurezza della mia
esperienza e della mia cultura, che e' un'esperienza collettiva, sociale,
anche loro ce l'hanno.

E' il caso specifico di Hall. Poi capita di tutto, addirittura lo mandano
in un altro albergo, a quel punto lui era diventato davvero paranoico,
immaginava una discriminazione contro gli stranieri. Comunque lui resiste
in atteggiamento di attesa-intesa, quindi di distacco e coinvolgimento, e
alla fine arriva a capire cosa succede. Racconta il fatto a degli amici
giapponesi, i quali si meravigliano che l'abbiano trattato cosi', perche'
gli hanno fatto un grande onore. I giapponesi attribuiscono enorme
importanza al senso di appartenenza collettiva, senza la quale non c'e'
nemmeno identita' personale. E questo vale anche quando si fa un "check in"
in un albergo: ti registri e diventi parte di un'ampia famiglia mobile, che
ruota attorno a quell'hotel, il che comporta tutta una serie di doveri ma
anche di privilegi: ogni volta che tu torni in quell'albergo, siccome sei
membro della famiglia, hai un'anzianita' che ti permette, se vuoi, di
prenotare la stessa camera che avevi in precedenza, anche con mesi di
anticipo. Cosi' succede che questi alberghi hanno tutte le camere prenotate
e la gente nuova che arriva sa gia' che dovra' riempire i buchi. Quindi era
del tutto vero che stavano trattando Hall come un tappabuchi, ma in nome
del fatto che anche lui era un membro giovane della famiglia e questo e' un
onore che gli veniva reso. Gli amici giapponesi gli hanno detto: vedi, loro
hanno capito che tu desideravi essere membro della famiglia, perche' senno'
verso gli stranieri non si adotta un atteggiamento del genere.

Allora, il raccontare questa storia vuol dire partire da una situazione
contingente nella quale io ho un certo tipo di interpretazione, che e'
quella della mia cultura d'origine, e riuscire a seguire il processo
attraverso il quale da questa interpretazione, che rimane tale (perche' nel
mio paese se mi cambiano stanza senza dirmelo, mi arrabbio e ho ragione),
si arriva a cogliere anche l'altra. Insomma, un atteggiamento che
interpreta la stessa cosa in modo opposto e che quindi vede il ridicolo nel
mio comportamento.

Ora, la dinamica di osservazione e di narrazione che mi permette di fare
questa dissociazione e' assolutamente identica alla dinamica di una
barzelletta.

E' la disponibilita' allo spiazzamento...

Uno ha certe emozioni e immediatamente dice: queste sono un modo possibile
di vedere la cosa, adesso vediamo se ne trovo degli altri, che non so
minimamente quali siano, pero' verranno fuori, se ho una mente predisposta
ad accogliere altre interpretazioni. Questo tipo di atteggiamento non puo'
non essere una competenza di base dell'uomo della societa' complessa,
quindi dell'attuale societa', una societa' differenziata e interdipendente:
associare a situazioni di imbarazzo, di spiazzamento, di senso del
ridicolo, invece che un atteggiamento unicamente difensivo-offensivo,
normale per una societa' chiusa, un atteggiamento esplorativo.

- "Una citta'": Questo e' normale per il lavoro di antropologa?

- Marianella Sclavi: Se io faccio l'antropologa e vado a fare una ricerca
sul campo, un atteggiamento simile devo adottarlo sistematicamente. Io sono
felice ogni volta che mi succede un incidente. Anche quando faccio brutte
figure, ossia che vengo smentita nelle mie aspettative, tendo a dire: "Ah,
che bello, cosi' capisco qualcosa". Quindi nel taccuino dell'antropologa
c'e': descrizione accurata degli ambienti, dei comportamenti, delle
contingenze; descrizione accurata dei propri sentimenti e delle proprie
emozioni (Hall parlava negli anni Settanta de "la mia mente culturale");
terzo, descrizione delle dissonanze di matrice.

Tornando all'esempio dell'albergo giapponese, dentro le descrizioni che
Hall fa della situazione ci sono dei piccoli particolari dissonanti con
l'interpretazione che lui tenderebbe a dare nella propria cultura. Per
esempio, se gli hanno fatto uno sgarbo, dovrebbe esserci nel comportamento
delle persone che gliel'hanno fatto qualche cosa che irride. Invece, nel
caso del Giappone erano tutti deferenti. Oppure: se mi hanno fatto uno
sgarbo, perche' si sono presi la cura di rimettere tutta la biancheria a
posto? Sgarbo per sgarbo, l'avrebbero potuta buttare la' alla rinfusa.
Quindi bisogna avere la capacita' di cogliere tutte le dissonanze. Infatti,
anche se al momento non se ne coglie il significato, sono comunque preziose
perche' prima o poi questo verra' fuori e allora quelle dissonanze
diventeranno proprio i nodi attorno a cui si riorganizza l'interpretazione.
E' come per la battuta: nella barzelletta a un certo punto c'e' qualcosa
che ti rivela che tu avevi interpretato tutte le cose in un modo e
quell'altro le aveva interpretate in un modo completamente diverso. Quindi
in realta' sei impegnato in un'opera ermeneutica, di interpretazione di
significati oscuri, difficili da cogliere.

- "Una citta'": Nella scuola questa cosa come si gioca?

- Marianella Sclavi: Intanto, si gioca attraverso una formazione
sistematica degli insegnanti e degli studenti all'accoglimento di altre
matrici percettive e valutative, a imparare l'ascolto attivo e la gestione
creativa dei conflitti. Io ho delle studentesse che hanno fatto una tesi
rimanendo per tre mesi in una classe di una scuola media di Quarto Oggiaro,
quindi nella periferia milanese, e hanno fatto una narrazione etnografica
di questa classe, rimanendovi per tutte le ore di lezione. La cosa che loro
hanno notato e' che la classe con certi professori era molto piu' civile
che con altri e che gli insegnanti piu' bravi a gestirsi quegli scalmanati
erano appunto insegnanti che dimostravano una capacita' di gestione del
conflitto, nel senso dell'accoglimento dell'altro. L'insegnante che
rimaneva offeso se gli facevano lo sberleffo non riusciva proprio a
insegnare, perche' non sapeva come prenderli. Ecco, quell'insegnante
avrebbe un estremo bisogno di imparare da insegnanti capaci di gestire cose
del genere. Purtroppo la pedagogia corrente nelle nostre scuole dice che
quegli insegnanti sono bravi perche' hanno una cosa che non si impara.
Invece si impara. Di fronte a una situazione di conflittualita' devo essere
consapevole che posso reagire in modo simmetrico o complementare, e queste
sono reazioni che vengono in modo piu' automatico, ma che poi ce n'e'
un'altra che e' quella di spiazzarlo.

L'allenamento a spiazzare, cioe' a scegliere la terza possibilita', e'
l'allenamento fondamentale oggi, perche' lo spiazzamento avviene mettendosi
dall'altra parte, quindi e' uno spiazzamento anche di noi e questo apre un
colloquio.

- "Una citta'": Lei parla infatti di saggezza, che non e' la razionalita'...

- Marianella Sclavi: Si', e' cosi': per comportarsi in un modo
comprensibile nel mondo attuale devi essere saggio. E smettiamola di dire
che la saggezza e' una cosa di alcuni vecchi centenari, perche' invece e'
una parte del patrimonio di base degli essere umani. Saggezza non vuol dire
non educare piu' alla razionalita', la razionalita' e' fondamentale in
tutti i casi in cui va bene e non e' che va insegnata di meno, va insegnata
di piu', ma solo a patto che sia inserita in un quadro di saggezza, che e'
un quadro piu' complesso in cui hai i paradossi pragmatici e la
comunicazione e' del tipo di accoglimento dell'identita'. Questo vuol dire
diventare esploratori di mondi possibili, ridare posto alla curiosita',
coltivare la capacita' di osservazione e di ascolto che sono tutte doti
creative, piacevoli. Tra parentesi, la capacita' di ascoltare e di
osservare e' un'arte gentile, estremamente piacevole, che non costa
praticamente niente: uno si mette li' e con gli strumenti di cui e' dotato
in natura, avendo fatto un po' di allenamento, e' in grado di divertirsi
piu' che andare al cinema. Ecco, diciamo che mentre questo tipo di
privilegio, cinquanta anni fa era a disposizione di poche persone che
avevano la fortuna di avere delle famiglie di viaggiatori, dove i bambini
crescevano con questo gusto per l'osservazione e per l'imparare, oggi
questo e' a disposizione praticamente di tutti. Cosi' anche a scuola
imparare e divertirsi sono due cose che possono andare di pari passo.



7. MEMORIA. UMBERTO SANTINO RICORDA GIOVANNI ORCEL

[Ringraziamo Umberto Santino (per contatti: csdgi@tin.it) per averci
inviato questo profilo biografico di Giovanni Orcel, sindacalista
assassinato dalla mafia il 14 ottobre del 1920. Umberto Santino, principale
studioso e una delle figure piu' autorevoli del movimento antimafia, e'
l'infaticabile animatore del "Centro siciliano di documentazione Giuseppe
Impastato" di Palermo (sito: www.centroimpastato.it)]

Giovanni Orcel nacque a Palermo il 25 dicembre 1887 da Luigi, impiegato, e
da Concetta Marsicano, casalinga. Il cognome Orcel avrebbe origine francese
o catalana. Dai registri anagrafici risultano altri cinque fratelli, nati
dopo Giovanni, ma forse il maggiore dei fratelli era Ernesto, che fonti di
polizia indicano come promotore del Fascio dei lavoratori di Cefalu'.

Giovanni, date le modeste condizioni della famiglia, dopo la licenza
elementare non pote' frequentare le scuole superiori e imparo' il mestiere
di tipografo compositore.

Giovanissimo comincia a frequentare la Camera del lavoro di via
Montevergini, inaugurata il primo settembre 1901, dove la linea dominante
era quella riformistica e moderata, e ben presto si dedica all'attivita'
sindacale e politica.

A Palermo dal 1896 c'era un circolo del Partito socialista, d'ispirazione
riformista, guidato da Alessandro Tasca e Aurelio Drago. Successivamente si
era costituita la Federazione socialista palermitana guidata dal dirigente
dei Fasci Rosario Garibaldi Bosco, che dapprima si riconosceva nella
corrente rivoluzionaria ma poi passera' su posizioni moderate. Orcel
organizza la Lega dei Lavoratori del libro e aderisce al gruppo formatosi
attorno ai giornali "La Fiaccola" e "Il germe", di ispirazione
rivoluzionaria e antimilitarista. I socialisti che si opponevano al
riformismo erano denominati "intransigenti", e tra essi c'erano Nicola
Barbato e Nicolo' Alongi.

Nel settembre 1910 sposa civilmente Rosaria Accomando, che dopo
l'assassinio del marito indichera' i probabili responsabili del delitto.

Lo scontro tra i socialisti riformisti e rivoluzionari era destinato ad
aggravarsi e Orcel e' uno dei protagonisti delle polemiche che in occasione
delle elezioni contrappongono i candidati del "socialismo ufficiale" a
quelli dei seguaci di Tasca.

Prima della guerra dirige il settimanale "La riscossa socialista", su
posizioni pacifiste, e' impegnato nel tentativo di affermare una linea
classista nella Camera del lavoro, di cui faceva parte la Lega dei
tipografi, nonostante le posizioni moderate della CGdL (Confederazione
generale del lavoro), a cui la Cdl palermitana aderiva. Nel 1914 parte per
partecipare come rappresentante dei tipografi a un convegno socialista che
si svolge a Lipsia, ma non riesce ad arrivarvi a causa dello scoppio della
guerra e si ferma a Torino, dove prende contatti con esponenti sindacali e
politici. Nel 1917 viene chiamato alle armi e inviato prima a Taranto e poi
a Roma.

Nel marzo del 1919 viene eletto all'unanimita' nella segreteria della Fiom,
il sindacato che raccoglieva gli operai metallurgici e affini, prima come
vicesegretario e poi come segretario generale.

La Fiom durante la guerra era diventata l'avanguardia del movimento
sindacale palermitano, per la resistenza contro il peggioramento delle
condizioni di vita dei lavoratori, e contava 2.000 iscritti, una cifra
altissima se si tiene conto dei livelli di sindacalizzazione di allora.

Nel dopoguerra la Fiom, con la guida di Orcel, e' impegnata nella lotta
contro il carovita, per gli aumenti salariali, agganciati al costo della
vita, per le otto ore, per il riconoscimento del ruolo del sindacato in
fabbrica con la costituzione delle commissioni interne.

Nel 1919, con la nuova legge elettorale, proporzionale con collegio
provinciale, Orcel, che ha sempre coniugato attivita' sindacale e impegno
politico, e' particolarmente attivo nella battaglia interna al mondo
socialista, che, sull'onda della rivoluzione russa, si sposta in gran parte
su posizioni massimaliste, anche se a Palermo l'influenza di Tasca e Drago
e' sempre fortissima. Nelle liste elettorali dei "socialisti ufficiali"
c'era una massiccia presenza di operai e contadini, accanto a Nicola
Barbato.

I risultati elettorali furono deludenti (nessuno dei candidati fu eletto) e
la controffensiva degli agrari e dei mafiosi fece ricorso alla violenza.
Nel 1919 furono uccisi Giovanni Zangara, dirigente contadino e assessore
della giunta socialista a Corleone (31 gennaio), Giuseppe Rumore,
segretario della Lega contadina di Prizzi (22 settembre), mentre a Riesi
l'8 ottobre le forze dell'ordine, per ordine del commissario Messana,
spararono sui contadini in lotta per la riforma agraria, uccidendone 11.

Il primo marzo 1920 viene ucciso a Prizzi Nicolo' Alongi, dirigente del
movimento contadino. Il 7 luglio a Randazzo le forze dell'ordine sparano
ancora sui contadini: 9 morti e vari feriti. Accanto alle forze dell'ordine
operano gruppi nazionalfascisti e l'8 luglio a Catania ci sono 6 morti tra
i partecipanti a un comizio dei dirigenti socialisti Maria Giudice e
Giuseppe Sapienza. A settembre nella frazione Raffo di Petralia Soprana
sono uccisi i contadini Paolo Li Puma e Croce Di Gangi, consiglieri
comunali socialisti. Il 3 ottobre a Noto e' ucciso il sindacalista
socialista Paolo Mirmina.

Nel 1919 esce un foglio della Fiom, diretto da Orcel, intitolato prima "La
dittatura operaia", poi "La dittatura del proletariato" e infine "Dittatura
proletaria". Le posizioni sono nettamente protocomuniste, facendo esplicito
riferimento all'esperienza sovietica.

Nel 1920 il conflitto tra operai e industriali si acuisce. A maggio nel
congresso nazionale di Genova la Fiom definisce la sua piattaforma ma ci
sono diversita' di vedute con gli altri sindacati anche se nel confronto
con il padronato c'e' una certa unita' sui punti di fondo: miglioramenti
salariali, collegamento del salario reale con il carovita, periodo di ferie
retribuito, sistema di retribuzione unico per tutto il paese (in Sicilia i
salari erano molto piu' bassi che nel Nord), messa in discussione del
cottimo, abolizione del lavoro straordinario.

I sindacati ricorsero all'ostruzionismo, cioe' al rallentamento delle
attivita' produttive. In Sicilia si sperimentano, grazie alla
collaborazione tra Alongi e Orcel, le prime forme di unita' tra lotte
contadine e lotte operaie. Nel febbraio del '19 al Congresso regionale dei
contadini si erano gettate le basi per un'azione comune e nei congressi
regionali socialisti Orcel ribadi' la necessita' di un fronte comune.

Nell'estate del 1920 una raffica di licenziamenti e sospensioni (300
"ribaditori" al Cantiere navale, 200 operai della ferriera Ercta), in
particolare degli aderenti alla Fiom, rende ancora piu' duro lo scontro tra
padronato e lavoratori.

Nei primi giorni di settembre gli operai occupano il Cantiere navale,
presidiato dalle forze dell'ordine, e avviano l'autogestione. Gli operai
continuano la produzione per fare fronte alle commesse e a una delle navi
in allestimento si da' il nome di Nicolo' Alongi. Si costituisce la
Commissione interna e si organizza un servizio d'ordine ("le guardie
rosse"). La prospettiva  rivoluzionaria si coniuga con la concretezza
dell'azione e questa e' stata per tutto il corso della sua attivita' una
costante dell'operato di Orcel.

All'occupazione del Cantiere segue quella della ferriera Ercta, dove si
replica l'esperienza di autogestione operaia. In fabbrica entrano i
familiari degli operai per portare gli alimenti e ci sono anche momenti di
relax al suono di strumenti musicali. Si organizza una cooperativa di
consumo per le famiglie degli operai. L'impegno di Orcel e' eccezionale,
cerca di opporsi all'accordo nazionale della Fiom con cui si mette fine
alle occupazioni, ma il 29 settembre anche gli operai palermitani lasciano
il Cantiere.

Come Orcel aveva previsto, i padroni non rispettano gli accordi e si batte
per la loro applicazione ma viene isolato all'interno del sindacato: i
riformisti lo accusano di avere portato gli operai allo sbaraglio, mentre
sono stati proprio loro ad avere tentato con tutti i mezzi di fiaccarne la
resistenza. Orcel comunque non demorde e propone la sua candidatura alle
prossime elezioni provinciali.

Ma il 14 ottobre lo attendeva il pugnale del sicario. Muore nella notte tra
il 14 e il 15, anche per la mancata assistenza all'Ospedale San Saverio
dove viene ricoverato: i primari non si trovano e l'infermiere che era
andato a cercare uno di essi sostiene di essere stato aggredito. Dopo la
sua morte si proclamo' uno sciopero generale e i funerali videro una grande
partecipazione popolare.

Gli assassini di Orcel sono rimasti ignoti. L'inchiesta calca varie piste,
compresa quella interna e quella passionale, e nonostante le denunce della
moglie e dei compagni di militanza che indicano come responsabili
dell'assassinio di Orcel gli stessi che hanno ucciso Alongi, non percorre
adeguatamente la pista politico-mafiosa. Il mandante del delitto sarebbe
stato Sisi' Gristina, capomafia di Prizzi, che verra' ucciso
successivamente. L'esecutore, a quanto pare ignaro della personalita' della
vittima, avrebbe rivelato il nome del mandante a un fratello militante
comunista e sarebbe stato eliminato dalla mafia.

Che la linea Alongi-Orcel dell'unita' contadini-operai preoccupasse la
mafia risulta da una lettera anonima indirizzata nel novembre del 1920 a un
sindacalista trapanese, Pietro Grammatico, in cui si dice: "farete la fine
di Orcel".

Su Orcel successivamente, a parte qualche articolo e qualche sporadica
commemorazione, cadra' l'oblio. Il suo nome non figura nei testi piu'
diffusi di storia della Sicilia contemporanea. A Orcel e' stata intitolata
una storica sezione del Partito comunista che ha aderito a Rifondazione
comunista.



8. RILETTURE. L'AUTOBIOGRAFIA DI MAMMA JONES

L'autobiografia di Mamma Jones, Einaudi, Torino 1977, pp. XLVIII + 186.
L'autobiografia della grande attivista sindacale americana, presentata da
Peppino Ortoleva.



9. RILETTURE. IDA MAGLI: GESU' DI NAZARET

Ida Magli, Gesu' di Nazaret, Rizzoli, Milano 1987, 1996, pp. 206, lire
13.000. Una fine riflessione dell'illustre antropologa.



10. RILETTURE. GRAZIELLA PRIULLA (A CURA DI): MAFIA E INFORMAZIONE

Graziella Priulla (a cura di), Mafia e informazione, Liviana, Padova 1987,
pp. X + 182. Una ricerca sociologica di grande interesse.



11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.



12. PER SAPERNE DI PIU'

* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it

* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it

* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO



Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it



Numero 388 del 18 ottobre 2002