Le querele possono mettere a rischio le voci scomode



Antonio Mazzeo, Carlo Ruta, Pino Maniaci, Antonio Mazzeo sono solo alcuni dei tantissimi giornalisti liberi che si sono scontrati negli anni con i poteri porti. Tra le armi che questi poteri usano per tentare(senza riuscirci!!) di "metterli a tacere" la querela è tra le privilegiate


"Ferisce più la penna che la spada". E' una frase che, probabilmente, moltissimi avranno sentito almeno una volta nella vita. Sembra una frase fatta, fine a se stessa e senza alcun significato. Nell'Italia di oggi non è così. Perché, in realtà, le cronache (anche se spesso i media main stream non ne danno notizia) sono piene di voci scomode e libere ferite più dalla penna che dalla spada. Sono la numerosa (per fortuna!) schiera di giornalisti, attivisti, semplici cittadini che denunciano quotidianamente malaffare, cattiva politica e mettono a nudo i poteri forti senza aver paura di fare nomi, cognomi, indirizzi, atti e fatti. Un'attività coraggiosa che i potenti e gli affaristi non assolutamente non subiscono passivamente. Perché tentano sempre di metterle a tacere. E tra le tante armi a loro disposizione una appare la più diffusa: la penna intinta per le querele, per trascinare in tribunale e sommergerli con richieste di risarcimenti danni e di non scrivere più. Sono moltissimi i casi nei quali il giornalista vince la causa e vede smontata la minaccia. Ma intanto passano anni, si perde tempo (che viene strappato alle inchieste) e ci si sente a rischio.


Nelle scorse settimane ha destato scalpore, con un'immediata e immensa catena di solidarietà con il giornalista, la vicenda di Alessandro Sallusti. Al di là del merito della vicenda (nella quale non si entrerà in queste sede, e quindi tralasciando dubbi e perplessità che suscita), un merito indiscutibile l'avrebbe potuto avere: far emergere queste storie quotidiane, far conoscere i e le tantissime che rischiano il carcere ogni giorno, che subiscono minacce, ritorsioni, aggressioni, intimidazioni. E querele, fiumi e fiumi di querele da parte dei potenti, dei politici, dei mafiosi e degli affaristi che denunciano. Purtroppo, esclusa la preziosa e meritoria voce di Ossigeno (Osservatorio per l'Informazione nato proprio con l'obiettivo di far conoscere e di difendere queste voci scomode e libere), ciò non è accaduto. PeaceLink e l'Associazione Antimafie Rita Atria tutte le volte che hanno potuto l'hanno fatto, si sono schierati, non hanno avuto paura ad esser partigiani. Ed oggi si vuol, ancora una volta, ricordarne alcune, cercare di far conoscere le storie di questi giornalisti. Persone a cui tutti dobbiamo tantissimo, la cui esistenza è preziosa e indispensabile per la libertà di ognuno di noi. Il giorno in cui loro non ci dovessero più essere loro, avremmo perso tutti.


Carlo Ruta
ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona nel 2005 a Pescara, durante il convegno Cyber-Freedom organizzato da PeaceLink e dall'Associazione Metro Olografix. E da allora posso vantare con l'orgoglio l'amicizia con lui. Carlo è un giornalista dal fiuto incredibile, capace di ricostruzioni storiche e di denunce che meriterebbero di essere portate ad esempio in ogni vera scuola di giornalismo. Da anni denuncia i poteri forti del ragusano e le loro trame. In un libro ha anticipato di qualche anno quella che è diventata famosa come "l'estate dei furbetti del quartierino". Tra le sue principali inchieste c'è stata quella sull'assassinio del giornalista de L'Ora di Palermo e de L'Unità Giovanni Spampinato e delle indagini giudiziarie sulla sua morte. Carlo dal dicembre 2004 ha visto iniziare un estenuante calvario giudiziario, accusato di stampa clandestina per aver pubblicato queste inchieste nel suo blog. Nonostante la stessa polizia postale avesse dimostrato il contrario, i giudici hanno deciso di trascinarlo in tribunale con l'accusa che il suo blog fosse una testata giornalistica non registrata. Dopo una prima condanna, nei mesi scorsi finalmente è stato pienamente assolto dalla Corte di Cassazione nel maggio scorso. Il mese scorso sono uscite le motivazioni della sentenza. Nel commentare la sentenza Carlo e il suo avvocato, Giuseppe Arnone, hanno espresso la loro gioia ma, soprattutto, hanno rimarcato la straordinaria portata per la libertà d'informazione e del web. Una battaglia che hanno rilanciato con forza.


Pino Maniaci
è un patrimonio dell'Italia di oggi. Un uomo di una simpatia immensa. Pari soltanto al suo coraggio. Da alcuni anni è al timone di un piccolo ma tenace vascello, baluardo di libertà: TeleJato, una piccola televisione comunitaria dai cui schermi quotidianamente irride i mafiosi e ne svela trame e complicità politiche. TeleJato nei mesi scorsi ha rischiato di essere spenta dall'arrivo del digitale terrestre. Non è accaduto e ha rilanciato la sua sfida ai poteri forti. All'inizio di Ottobre ha inaugurato la sua nuova sede. All'inaugurazione ha partecipato l'Associazione Antimafia Rita Atria, di cui Pino condivide il percorso associativo. Un percorso, mi sia concesso un piccolo inciso personale,  che sono grato (ed orgoglioso) di poter condividere con lui (persona, lo ripeto, straordinaria, con cui ho avuto la fortuna di incontrare la mia piccola insignificante storia di attivista) e con Nadia, Santo, Antonella, Laura, Graziella (direttrice di quella rivista preziosa, indispensabile nel panorama editoriale indipendente, strepitosa, come Casablanca), Mario ed altri. Alcuni giorni prima le mafie gli hanno mandato un segnale fortissimo, bruciandogli alcuni ripetitori ed impedendo che (sin dal giorno della nuova inaugurazione) la voce tonante di TeleJato possa arrivare in alcune parti della Sicilia. Ma Pino non si è lasciato intimidire e si è subito messo all'opera per far si che i tralicci distrutti possano essere sostituiti. Questo è stato solo l'ultimo dei tanti segnali che le mafie gli hanno mandato negli anni, utilizzando anche altre volte il fuoco. E querelandolo oltre 200 volte. Una marea di querele, con il rischio di risarcimenti che avrebbero rischiato di uccidere TeleJato. Ma che non l'hanno fatto. E il vascello di Pino, oltre questo mare tempestoso, veleggia. E veleggierà sempre, per tutti noi.


E nel parlare di giornalisti d'assalto, coraggiosi e scrupolosi, non si può non citare un gigante come Antonio Mazzeo. L'autore di tantissime inchieste, documentatissime e fortissime, da diversi anni, pubblicate su molti siti e che sono stati capaci come pochi di essere faro dell'antimafia, del pacifismo, della difesa ambientale dei territori (dal Ponte sullo Stretto di Messina, su cui ha scritto anche un libro, e il MUOS, su cui è appena intervenuta anche la magistratura). Il 24 Agosto scorso la giunta comunale di Falcone(Provincia di Messina) ha deciso di sporgere querela contro di lui per aver pubblicato, "in piena stagione sturistica", l'articolo "Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona P.G.", considerato "palesemente diffamatorio e lesivo dell'immagine" del "Comune e della reputazione di tutti i suoi abitanti". Antonio Mazzeo ha commentato la notizia affermando ad Ossigeno "Non so cosa pensare: che questa querela contro di me è un’iniziativa contro il diritto dei cittadini di Falcone di sapere ciò che accade. Questa querela contiene un messaggio chiarissimo: qui i giornalisti non devono entrare". 


Per quanto scritto all'inizio, per i tantissimi giornalisti che quotidianamente rischiano, stupisce quanto è accaduto in Campania nelle scorse settimane. L'Europarlamentare dell'Italia dei Valori Sonia Alfano, che porta avanti da anni in Europa la battaglia per l'approvazione di leggi per combattere più efficacemente la mafia, ha querelato Rosaria Capacchione. L'On. Alfano si sente offesa e diffamata da una frase, contenuta in un articolo che Rosaria Capacchione, sulla visita ad alcuni boss da parte della stessa Alfano e dell'On. Lumia. Nel dare la notizia sul suo blog l'On. Alfano riporta le vicende giudiziarie che coinvolgono la camorra e il fratello di Rosaria Capacchione. Ma Rosaria non è solo sorella di una persona accusata di aver fatto affari con la camorra. E soprattutto una giornalista coraggiosa e in prima linea, autrice di inchieste giornalistiche che denunciano i clan della camorra e i loro appoggi nell'economia e nella politica. Inchieste per le quali ha subito diverse minacce di morte e che hanno portato all'assegnazione di una scorta in sua difesa. Che la querela contro una giornalista coraggiosa possa venire da un rappresentante dei poteri forti non ci stupisce. Come si scriveva sopra è la quotidianità, è una delle armi più potenti a loro disposizione per intimidire e cercare di metterli a tacere. Ma l'On. Alfano è di tutt'altra pasta, è un'europarlamentare impegnata in prima fila contro le mafie, esponente di un partito che della legalità e del coraggio delle battaglie per la sua affermazione fanno una battaglia. Non entriamo nel merito della vicenda, certamente la Alfano ha il sacrosanto diritto di difendere la sua dignità e la sua persona se si sente diffamata e offesa. Ma vorremmo auspicare che questa storia non si chiuda in un tribunale. Ma con un chiarimento tra Rosaria Capacchione e la Alfano.



Alessio Di Florio
PeaceLink - Telematica per la Pace
Associazione Antimafie Rita Atria

Allegato Rimosso