Margalit: "La destra israeliana sta realizzando il programma della sinistra"



Margalit: "La destra israeliana sta realizzando il programma della sinistra"


Meir Margalit è uno degli intellettuali israeliani più interessanti se si vuole intendere la realtà del medio oriente dal punto di vista pacifista. Nato in Argentina, vive in Israele dalla fine degli anni ’60. È un paladino –uno dei pochi che restano- della convivenza possibile tra israeliani e i palestinesi. Per quella sua abitudine a vestirsi da muratore ed andare a ricostruire insieme ai palestinesi le case che Tsahal, l’esercito israeliano, distrugge, è stato di recente definito dal quotidiano catalano La Vanguardia come “il Nelson Mandela israeliano”. Lo troviamo occupatissimo ma disponibile come sempre nel suo ufficio di Gerusalemme.

Intervista di Gennaro Carotenuto

I non israeliani guardano alla ritirata da Gaza con un misto di sorpresa e scetticismo, come se mancassero elementi di comprensione per valutare pienamente un evento che sta a metà tra l’essere fondativo di una nuova stagione della vita dello stato ebraico e l’apparire come una trappola per approfondire, da una posizione di maggior forza, la politica coloniale. “Non c’è dubbio che il ritiro dalla striscia di Gaza sia un evento sommamente importante nella storia d’Israele. Ma la grande domanda è cosa succederà il giorno dopo la fine dell’evacuazione”. La sensazione è che si possa trattare di un ripiegamento tattico. “Non è possibile prevedere quale sarà il cammino futuro che sarà adottato dal governo d’Israele. Se Ariel Sharon continuasse con il processo di ritiro potremmo essere di fronte alla fine di più di 100 anni di conflitto. Se invece deciderà di congelare il processo, oppure addirittura rafforzare le colonie in Cisgiordania, allora scoppierà una terza Intifada che sarà ancora più sanguinosa delle precedenti”. I segnali giunti finora non inducono all’ottimismo e il quadro politico israeliano, anche per il protagonismo dei fondamentalisti religiosi che si identificano con la difesa delle colonie, gira da tempo a destra e oggi Sharon non è favorito nelle probabili prossime elezioni proprio a causa del ritiro. “Da una parte ci sono le dichiarazioni dello stesso Sharon e dei suoi collaboratori (come il famoso rapporto di Dov Waisglas al quotidiano Haaretz, ndr) nel quale lui stesso afferma che con Gaza finiscono i ritiri e che adesso è il momento di rafforzare le colonie in Cisgiordania. D’altra parte però il ritiro mette in marcia una dinamica che a volte può essere più forte dei propositi politici. E io credo che a partire da Gaza possa darsi una dinamica che ci porti a restituire più territori e rafforzi il processo attuale. Questo lo sappiamo noi storici ed i sociologi, ma dimostrano di saperlo perfettamente gli stessi coloni che stanno già combattendo oggi la battaglia di domani mentre invece altre componenti della società israeliana continuano a combattere oggi battaglie di ieri”.

Stai dicendo che con il ritiro di Gaza stiamo già assistendo in sedicesimo al conflitto che verrà in caso di ulteriori restituzioni? Per gli ultrareligiosi il cuore dell’identità ebraica non sta a Gaza ma in Giudea e Samaria, che è come in Israele si denomina la Cisgiordania. “La battaglia in corso oggi non ha come obbiettivo l’annullare il ritiro da Gaza ma evitare che in futuro Sharon o qualunque altro governo pensi di evacuare la Cisgiordania. Questo è quanto è in gioco in questi giorni. La destra sa perfettamente che a Gaza non abbiamo radici storiche e che è assolutamente insostenibile il mantenimento di quei territori. Ma i coloni vogliono dare una dimostrazione di quanto sono disposti a fare in caso di evacuazione della Cisgiordania: una guerra feroce e spargimento di sangue”.

C’è la sensazione che il movimento pacifista sia isolato dalla dinamica reale degli eventi. “Per il movimento pacifista Gaza impone un ripensamento. In primo luogo ci stiamo domandando se la vecchia idea di smantellare tutti gli insediamenti continui ad essere praticabile. La mia impressione è che nessun politico di questa generazione sarà capace di smantellare le colonie in Cisgiordania. Se ho ragione l’idea dei due stati per due popoli  (quella sulla quale sono incagliati da decenni tanto i progressisti israeliani come quelli del resto del mondo, ndr) diviene irrealizzabile ed allora bisogna cominciare a parlare seriamente del progetto alternativo di uno stato binazionale. In secondo luogo, anche se capisco che sembri del tutto contorto, molta gente di sinistra sta valutando l’ipotesi se non valga la pena, nell’immediato, di votare per la destra”. Ci sono innumerevoli dimostrazioni nella storia che vanno in questo senso, molte paci ritenute impossibili sono state firmate da quelli che fino al giorno prima erano feroci bellicisti mentre è sotto gli occhi di tutti che nel mondo molte delle peggiori ‘riforme’ liberali sono compiute da governi almeno nominalmente di sinistra. Tutto sta al potersi coprire l’ala scoperta ed a volte alla destra riescono possibili cose di sinistra che la sinistra non può realizzare a causa dell’invalicabile opposizione delle destre e viceversa. “Nel nostro caso specifico gli unici leader che hanno restituito territori sono quelli di destra, Begin, Sharon, perfino Bibi (Netanyahu, ndr) ha restituito parte di Hebron. Se il laburismo oggi non ha figure di livello e solo la destra può avere la forza per restituire territori, a molti di noi sta passando per la testa di appoggiare Sharon nelle prossime elezioni”.

Dunque, la restituzione dei territori come unico punto nella lista per arrivare alla pace e il conflitto con i palestinesi come unica discriminante che fagocita ed annulla ogni altra forma di conflitto sociale. Gli anni di Sharon e di Netanyahu come ministro delle Finanze sono anche stati anni di feroce neoliberismo che fanno sì che oggi un bambino israeliano su quattro sia povero. Dello stato sociale israeliano sembrano oramai beneficiare quali solamente i coloni, e il 97% di questi continueranno a beneficiarne visto che il numero dei coloni di Gaza non supera il 3% del totale ed il ritiro appare anche un’immensa operazione mediatica. Eppure il partito laburista –come molti altri centro-sinistra riformati al mondo- non sembra più offrire nessuna speranza su questo piano rispetto alle destre. Il tuo punto di vista –Margalit è stato per molti anni consigliere comunale a Gerusalemme per il partito Meretz, la più importante formazione alla sinistra dei laburisti- esprime un paradosso preoccupante. “E’ che stiamo vivendo un processo paradossale. Da una parte la sinistra sta vivendo uno dei peggiori momenti della sua storia. Non ci ascoltano, non ci vedono, è come se fossimo evaporati. Ma dall’altro lato la destra israeliana sta implementando il programma politico che la sinistra si propone di realizzare da più di 30 anni. Noi vogliamo ritirarci dai territori ed è quella destra che sempre vi si è opposta che de facto sta realizzando il nostro programma politico. Così che non siamo mai stati peggio ma allo stesso tempo non siamo mai stati meglio. In questi giorni la nostra gente sta vivendo una grande soddisfazione e non è disposta a criticare Sharon, a prescindere dal fatto che le sue dichiarazioni non inducano all’ottimismo rispetto allo sgombero della Cisgiordania”.

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