[Latina] FW: [Comitato-Italiano-MST] sul Congresso del MST



Title: FW: [Comitato-Italiano-MST] sul Congresso del MST
Un approfondimento di Adista sul recente congresso del MST

------Messaggio inoltrato
Da: Claudia Fanti <claudia at adista.it>
Risposta: <Comitato-Italiano-MST at yahoogroups.com>
Data: Mon, 3 Mar 2014 10:08:03 +0100


Da Adista n. 9/14

Un’indomita lotta lunga 30 anni.
VI Congresso del Movimento dei Senza Terra

doc-2599. BRASILIA-ADISTA. Se, sul ring del Brasile, il Movimento dei Senza Terra è stato momentaneamente spinto all’angolo dall’agrobusiness, le carte in regola per ribaltare l’esito dell’incontro il più importante movimento popolare del Paese (se non dell’intera America Latina) ce le ha tutte: «Il rilancio della lotta – assicura João Pedro Stédile, uno dei suoi principali dirigenti – è solo una questione di tempo». Intanto, una grande dimostrazione di forza è venuta - e proprio in occasione del 30° anniversario della sua nascita - dal VI Congresso del Mst, che dal 10 al 14 febbraio, al palazzo dello sport Nilson Nelson di Brasilia, ha riunito oltre 15mila militanti - dai piccoli sem terrinha, come vengono chiamati i bambini del movimento, fino al militante più anziano, un lucido signore di 105 anni - attorno alla nuova parola d’ordine del movimento - “Lottare, costruire la riforma agraria popolare!” - formulata dopo un lungo processo di consultazione tra i militanti.
 
Per una grande alleanza della classe lavoratrice
Che di lottare si tratti, ora e sempre, sta a indicarlo l’intera storia del movimento, con le sue occupazioni di terre e di edifici pubblici, con le sue mobilitazioni e le sue marce, con la sua indomita capacità di resistere alla repressione, ai massacri, alle campagne di diffamazione. «Tutto quello che abbiamo ottenuto è stato frutto della lotta», si legge non a caso nel documento del Congresso che illustra il programma agrario del movimento, risultato di due anni di studi, dibattiti, riunioni, assemblee. Ed è un orgoglio giustificato: ben al di là dei dati concreti (350mila famiglie che hanno conquistato la terra per un totale di 8 milioni di ettari, più di 900 insediamenti, oltre 100 cooperative, circa 1.200 scuole pubbliche costruite in accampamenti e insediamenti, più di 50mila lavoratori e lavoratrici alfabetizzati), il merito del Mst è aver trasformato un esercito di esclusi in un soggetto politico forte, cosciente e combattivo, riscattandone l’autostima e la dignità (non è un caso che – come evidenzia Emir Sader (Página 12, 17/2) – «non appena si ottiene un pezzo di terra su cui costruire un insediamento, la prima cosa che si fa è stabilire dove andrà costruita la scuola»).
Ma è sulla seconda parte dello slogan, quella relativa alla costruzione della riforma agraria popolare, che si è centrata la riflessione del VI Congresso, a partire dalla convinzione che combattere il latifondo non basti più. Il nemico, oggi, è assai più potente e la sua egemonia indiscussa: è il modello dell’agrobusiness, quell’alleanza tra latifondo, capitale finanziario e transnazionali che ha conquistato alla sua causa l’intera struttura dello Stato, appropriandosi violentemente di tutti i beni della natura e lasciando al popolo brasiliano, come ha evidenziato João Pedro Stédile, nient’altro che «lo scempio della biodiversità, gli effetti del cambiamento climatico, la disoccupazione e la povertà nei campi». Un modello che, come ha riconosciuto un altro dirigente, João Paulo Rodrigues (Agência Repórter Brasil, 12/02), ha messo alle corde i movimenti sociali, incapaci per esempio, di fronte allo smantellamento del Codice Forestale, di portare il popolo in piazza in difesa delle foreste. «Abbiamo un problema reale in termini di forza politica», ha sottolineato il dirigente del Mst, riconoscendo l’egemonia di chi sostiene che l’agrobusiness abbia «bisogno di deforestare ancora un pochino per produrre di più» e che questo sia un bene per il Paese. In questo quadro, sostiene il Mst, l’unica lotta possibile diventa allora quella per «una riforma agraria di tipo nuovo che garantisca la democratizzazione non solo della terra ma anche dell’acqua, dei semi, della biodiversità; una riforma agraria che abbia come massima priorità l’utilizzo delle risorse della natura brasiliana per la produzione di alimenti sani per il nostro popolo»: per un mercato, cioè, di 200 milioni di abitanti, in maniera che non si pensi più che i piccoli agricoltori possano produrre alimenti biologici solo per i ricchi. Una riforma agraria, dunque, che non appartiene soltanto ai senza terra o alla popolazione rurale, ma all’intero popolo brasiliano e che, come si legge nel programma agrario del Mst, potrà essere realizzata solo attraverso «una grande alleanza di tutta la classe lavoratrice».
 
Maglia nera alla presidente
Molte le critiche rivolte al governo di Dilma Rousseff, che, con una media annuale di appena 13mila famiglie insediate (7.724 in tutto il 2013), si è conquistato la maglia nera tra i governi che sono seguiti alla dittatura militare (e questo malgrado vi siano ancora 150 milioni di ettari di terre oziose). Ed è proprio per denunciare la paralisi della riforma agraria che gli oltre 15mila partecipanti al Congresso hanno marciato il 12 febbraio in direzione della Piazza dei Tre Poteri (il Planalto, il Supremo Tribunale Federale e il Congresso), inondandola delle bandiere rosse del movimento. Ma mentre si apprestavano a realizzare uno di quei momenti di celebrazione di ideali e valori comuni che prendono il nome di “mistica”, la polizia militare, scambiando (o volendo scambiare) per delle armi le croci utilizzate come simbolo dei compagni caduti nella lotta, ha pensato bene di riversare sui senza terra gas lacrimogeni e proiettili di gomma (con un bilancio di 12 manifestanti feriti e uno arrestato).
Solo dopo la marcia, in ogni caso, la presidente Dilma, che in tre anni non aveva mai concesso udienza al movimento, si è decisa a riceverne una delegazione, ascoltandone le numerose richieste e promettendo di valutarle con attenzione. Alla presidente il Mst ha chiesto, tra l’altro, di provvedere all’immediato insediamento delle 100mila famiglie accampate, anche da più di 8 anni, sotto i ben noti teloni di plastica nera; di revocare la Misura Provvisoria 636 che consente la vendita di lotti negli insediamenti, in contraddizione con il dettato costituzionale in base a cui la terra distribuita attraverso la riforma agraria non può essere venduta; di aumentare i finanziamenti all’agricoltura familiare e contadina; di avviare la costruzione di oltre 120mila case negli insediamenti della riforma agraria; di espropriare le fazendas che fanno ricorso a forme di lavoro schiavo; di procedere alla legalizzazione di tutte le terre indigene e quilombolas; di impedire l’utilizzo della tecnologia terminator (la modificazione genetica effettuata per rendere sterili i semi delle piante); di adottare misure per il rimboschimento, per la lotta all’analfabetismo, per l’accesso all’università dei giovani delle campagne. Se il modello dell’agrobusiness, basato sulle monocolture per l’esportazione, «concentra la proprietà rurale e la ricchezza, devasta l’ambiente, aumenta la quantità di veleni ed espelle manodopera dai campi», rivelandosi funzionale solo agli interessi di una piccola minoranza di grandi proprietari rurali, banche e imprese transnazionali (le 50 maggiori imprese agroindustriali controllano tutta la catena produttiva, dalla produzione delle sementi alla commercializzazione), l’unica alternativa – concludono i senza terra nella lettera consegnata alla presidente – «è data dal rafforzamento di un’agricoltura rivolta al mercato interno, dall’applicazione delle tecniche di agroecologia e dalla realizzazione di una profonda riforma agraria che democratizzi la proprietà della terra». Un’alternativa, tuttavia, che difficilmente Dilma Rousseff prenderà in esame, convinta com’è - secondo quanto ha ribadito proprio l’11 febbraio a Lucas do Rio Verde, una città in cui «persino il latte materno reca tracce di veleni agricoli» (Outras Palavras, 14/2) - che l’agrobusiness sia «un esempio di produttività per il Paese».
Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, il comunicato del Mst “È il momento della riforma agraria popolare”; l’intervento pronunciato il 13 febbraio da João Pedro Stédile durante l’incontro con intellettuali e rappresentanti di organizzazioni sociali, Chiese e forze politiche; il commento del teologo Marcelo Barros e il messaggio di dom Guilherme Antônio Werlang, vescovo di Ipameri e presidente della Commissione episcopale pastorale per il Servizio, la Carità e la Pace. (claudia fanti)
 
 
È il momento della riforma agraria popolare
Movimento dei Senza Terra
 
Siamo giunti al nostro VI Congresso Nazionale. Ci sono voluti più di due anni di studi, dibattiti, riunioni, assemblee e discussioni da parte della base e dei settori del Mst di tutti gli Stati del Brasile. Siamo anche giunti al nostro 30° anniversario: siamo il movimento sociale contadino che vanta più anni di vita nella storia del Brasile. Siamo arrivati a questi due importanti momenti della nostra storia con una sfida molto chiara, espressa nello slogan del nostro Congresso, che sarà la parola d’ordine per i prossimi anni: Lottare, Costruire la Riforma Agraria Popolare!
 
TERRA
Da tutto questo processo di preparazione del nostro Congresso è emerso che non c’è più spazio per una Riforma Agraria tradizionale che si limiti alla distribuzione delle terre. L’agrobusiness non solo è avanzato sulle terre produttive e improduttive, distruggendo l’ambiente e orientando la produzione verso l’esportazione, ma ha anche conquistato alla sua causa l’appoggio dei governi e dell’intera struttura dello Stato.
Garantire che il popolo brasiliano abbia il diritto di decidere cosa produrre e come nutrirsi, che le nostre terre siano destinate alla produzione di alimenti e non di cellulosa o di etanolo, che i campi siano luoghi in cui vivere bene e degnamente, in cui ci sia spazio per i giovani, in cui venga riconosciuto il diritto all’educazione e alla salute, in cui ci sia data la possibilità di costruire le nostre agroindustrie e assicurare un valore aggiunto alla nostra produzione: tutto questo è possibile solo con una Riforma Agraria Popolare.
 
LOTTA
E questa Rifoma Agraria Popolare può essere solo frutto di una lotta che non veda impegnati esclusivamente i lavoratori Senza Terra. Essendo il modello dell’agrobusiness una minaccia per tutti i contadini, è necessario stringere alleanze e costruire mobilitazioni con chiunque faccia propria questa lotta: agricoltori familiari, quilombolas, ribeirinhos, studenti di agronomia e di ingegneria forestale, tecnici agricoli e tutti coloro che siano disposti a lavorare per questo progetto.
Ma la Riforma Agraria Popolare deve contare anche sul sostegno e sulla mobilitazione dei lavoratori urbani. Dobbiamo denunciare il fatto che l’agrobusiness avvelena gli alimenti, produce per l’esportazione, promuove il lavoro schiavo e viola la legislazione ambientale e del lavoro, tra molte altre cose.
I nostri nemici sono forti e potenti. L’agrobusiness può contare su molti alleati a livello di mass media e di potere giudiziario. Ma una cosa che abbiamo appreso in questi 30 anni è a non avere paura e a non piegarci dinanzi alle difficoltà. È stato così che abbiamo conquistato la terra per migliaia di famiglie e che ora alimentiamo centinaia di municipi. Ed è così, con la lotta e la determinazione, che, sotto la spinta del nostro Congresso, costruiremo la Riforma Agraria Popolare.
 
 
Un congresso di tutti
João Pedro Stédile
 
Questo è un incontro tra i militanti del Mst e i militanti del popolo brasiliano che combattono in altre trincee la nostra stessa lotta: rappresentanti dei movimenti sociali, delle istituzioni, dei partiti, operatori di pastorale, persino alcuni militanti che abbiamo infiltrato nel governo di Dilma!
Per prima cosa, noi del Mst vogliamo dire loro che questo Congresso non è nostro, che, se non fosse stato per la lotta condotta dal popolo brasiliano attraverso queste diverse forme di organizzazione, noi non avremmo avuto la forza sufficiente per arrivare fino a qui. Questo, pertanto, non è un Congresso del Mst: è un Congresso del popolo brasiliano che lotta per la riforma agraria. E per questo vogliamo riconoscere pubblicamente il ruolo svolto da ciascuno di voi, ognuno nel proprio campo.
 
SOVRANITÀ ALIMENTARE E DEMOCRATIZZAZIONE DEL SAPERE
In secondo luogo, vogliamo presentarvi quanto abbiamo realizzato in questi giorni.
Noi qui stiamo portando a compimento un lavoro di due anni, durante i quali abbiamo riflettuto sulle sfide legate all’attuale contesto della realtà agraria brasiliana, del nostro Paese, del modello capitalista. Un lavoro che si è tradotto in un documento inteso come espressione della nostra volontà politica di far avanzare la riforma agraria. In questi due anni, riflettendo con tutti i nostri militanti, abbiamo compreso che in Brasile non c’è mai stata una riforma agraria: qui le classi dominanti hanno sempre impedito la possibilità di una democratizzazione della terra. La classe dominante brasiliana si è appropriata delle risorse naturali, della terra, dell’acqua, dei semi, trasformandoli in una proprietà privata, in un proprio diritto esclusivo.
Abbiamo riflettuto sul fatto che in Brasile lo Stato è al servizio della borghesia, ostacolando con i suoi meccanismi la lotta dei lavoratori. E abbiamo anche analizzato le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare con i governi di coalizione, dal livello dei comuni a quello statale e federale, senza per questo pensare che tutti siano contro di noi e nemmeno che il solo fatto di aver ottenuto un incarico pubblico significhi già aver conquistato il cambiamento.
Siamo consapevoli dell’evoluzione subita dal capitalismo mondiale, con il conseguente cambiamento del modo di organizzazione dell’agricoltura brasiliana, la quale oggi non è più dominata solo dal latifondo, ma anche dal capitale finanziario e dalle grandi imprese internazionali: sono queste che controllano le nostre terre e la nostra produzione, che ostacolano qualsiasi processo democratico, che combattono non solo i senza terra, ma tutte le categorie dei lavoratori e persino alcuni settori della borghesia nazionale, lasciando al popolo brasiliano lo scempio della biodiversità, gli effetti del cambiamento climatico, la disoccupazione e la povertà nei campi.
È per questo che abbiamo preso atto, compagni e compagne, che non basta più combattere contro il latifondo, ma che è necessario lottare per una riforma agraria di nuovo tipo. Tanto più che gli insediamenti esistenti in Brasile non sono il frutto di programmi di riforma agraria, non sono il prodotto della volontà dei governi, ma sono stati ottenuti solo grazie alla lotta del popolo lavoratore che con coraggio ha occupato le terre del latifondo perché fossero distribuite ai contadini.
La nostra lotta, oggi, è per una nuova riforma agraria, che garantisca la democratizzazione non solo della terra ma anche dell’acqua, dei semi, della biodiversità; una riforma agraria che abbia come massima priorità l’utilizzo delle risorse della natura brasiliana per la produzione di alimenti sani per il nostro popolo. È questo il grande cambiamento di paradigma nella questione agraria in Brasile.
Non chiediamo più una riforma agraria che risolva solo il problema dei senza terra: la riforma agraria oggi deve costituire una risposta ai problemi dell’intero popolo brasiliano, producendo alimenti sani per tutti, cioè realizzando la sovranità alimentare, ma allo stesso tempo garantire la democratizzazione dell’agroindustria. Noi non siamo contro l’agroindustria, ma contro il controllo che il capitale internazionale esercita su di essa (per esempio con la Nestlè, la Bunge, la Syngenta…).
Non vogliamo che sia una multinazionale come la Nestlè a controllare il nostro latte, ma vogliamo migliaia di agroindustrie in forma cooperativa (che è quello che stiamo tentando di costruire insieme al Ministero dello Sviluppo Sociale con il programma “Terra Forte”, malgrado il governo non si renda ancora conto della sua importanza strategica e malgrado ogni nostro piccolo progetto di agroindustria finisca per assomigliare a una via crucis).
Il nostro programma di riforma agraria, compagni e compagne, ha incorporato un’idea che è presente in tutti i pensatori, da Gesù Cristo fino a Che Guevara: solo la conoscenza libera realmente le persone. Quindi il nostro programma deve comprendere la democratizzazione della conoscenza prodotta lungo il processo della civiltà umana, perché non serve a niente che un contadino conquisti la terra, che ottenga un trattore, che realizzi un progetto di agroindustria se poi resta ignorante, se continua a picchiare la moglie e se nulla conosce della nostra cultura. È per questo che dobbiamo democratizzare il sapere popolare e il sapere che si tramanda nelle scuole e nelle università. È per questo che i bambini sono andati a occupare il Ministero dell’educazione: perché questo diventi davvero un ministero dell’Educazione del popolo.
L’educazione - intesa come processo di democratizzazione della conoscenza - è ancora più importante della terra, ma è nella terra che viviamo ed è qui, nella terra conquistata, che dobbiamo democratizzare l’educazione.
Nel nostro programma, infine, abbiamo posto l’accento sulla necessità di difendere i semi, perché chi controlla i semi controlla tutto il processo produttivo.
 
L’INGANNO DELL’AGROBUSINESS
Il nostro programma è il risultato di 30 anni di riflessione. E se il problema è come metterlo in pratica, anche su questo terreno abbiamo fatto dei passi avanti. Non basta, infatti, prendere atto che lo Stato è uno Stato borghese e che il governo è un governo di coalizione. Non basta tracciare buone analisi e aspettare che il vento cambi. Per rendere possibile la riforma agraria, che ora chiamiamo “popolare”, è necessario che questa non sia più solo un programma dei contadini e neanche solo della classe lavoratrice, ma che diventi un programma dell’intero popolo brasiliano (proprio per questo abbiamo aggiunto l’aggettivo “popolare”, oltre che per differenziare la riforma agraria di cui parliamo oggi da quella classica). E in ciò è sottinteso il fatto che noi riconosciamo – con la maturità politica acquisita in 30 anni di movimento – che i senza terra e i contadini da soli non avranno la forza per conquistare la riforma agraria. Che questa, richiedendo profondi cambiamenti strutturali nella società, sarà possibile solo se tutte le forze popolari del Brasile si impegneranno in questa lotta. È questo l’impegno che ci attendiamo da voi.
In primo luogo, occorre che tutti i movimenti contadini si uniscano nella lotta per una riforma agraria popolare (ed è questo l’accordo che abbiamo stretto con i movimenti contadini qui presenti). In secondo luogo, è necessario che le organizzazioni della classe lavoratrice urbana si sentano motivate a lottare insieme a noi. È per questo che ci siamo mobilitati a luglio e ad agosto a fianco di vari settori della classe lavoratrice ed è per questo che ci sentiamo così vicini ai lavoratori della FUP (Federação Única dos Petroleiros): perché i lavoratori di questo settore comprendano che il petrolio non si mangia e che anche loro per vivere hanno bisogno di alimenti sani. La nostra speranza è che tutti i movimenti popolari, tutte le centrali sindacali e tutte le forze politiche di sinistra si uniscano nella lotta per la riforma agraria. La differenza di sigle e ideologie è naturale, ma la divisione di fronte a una lotta concreta a favore del popolo è solo stupidità.
Noi continueremo a fare la nostra parte, occupando latifondi e sedi di multinazionali, lottando contro il capitale internazionale, contro i semi transgenici, per la sovranità alimentare. Ma le occupazioni, da sole, non bastano a costruire una riforma agraria popolare. Per questo vi invitiamo a unirvi a noi, aiutandoci a coscientizzare i militanti e le forze politiche che rappresentate sul fatto che l’agrobusiness è un inganno ai danni del popolo brasiliano.
Non vi ringrazierò per la vostra presenza, perché tra compagni non ci si ringrazia, tra compagni si condividono idee. E in questa condivisione, in questa sana promiscuità intorno a ideali comuni, noi dobbiamo assumere l’impegno di “Lottare, costruire la riforma agraria popolare”. Viva il Mst, viva le forze popolari del Brasile, viva il popolo brasiliano!
 
 
La festa e la lotta
Marcelo Barros
 
Il VI Congresso nazionale del Mst, svoltosi a Brasilia dal 10 al 14 febbraio, ha riunito oltre 15mila militanti, in maggioranza giovani, oltre a un centinaio di rappresentanti di altri organismi sociali, di movimenti contadini internazionali, di comitati di appoggio. Chi ha visto quella moltitudine riempire giorno e notte gli spalti del palazzo dello sport Nilson Nelson e l’entusiasmo con cui sono state realizzate le mistiche, si sarà potuto fare un’idea di quanto sia costato organizzare tutto ciò. Nel cortile esterno, erano stati montati grandi stand, per ogni Stato del Brasile, ciascuno con la sua cucina, dove i militanti consumavano i pasti preparati dai loro stessi compagni. Più un grande mercato di prodotti biologici propri di tutte le regioni e un oceano di bandiere rosse che sventolavano incessantemente al suono dello slogan scelto per questo Congresso: “Lottare, costruire Riforma Agraria Popolare”.
Era normale che il clima fosse di festa: il Mst ha compiuto 30 anni di vita e l’occasione meritava di essere celebrata. Sono 30 anni di resistenza e di conquiste, anche in mezzo a molte difficoltà. Come è tradizione nei congressi, i primi giorni sono stati dedicati a un’analisi condivisa della realtà, alla denuncia della situazione sempre più difficile che i lavoratori affrontano in Brasile a causa dell’agrobusiness e della concentrazione della terra. Un’analisi seguita da uno sguardo attento a tutta l’America Latina e al mondo. E, infine, sono state affrontate le prospettive e le proposte del Congresso. 17 le proposte votate, tra cui riporto qui le prime:
«1) La terra, l’acqua, le foreste, la fauna, i prodotti minerari, il suolo - insomma, tutti i beni della natura - devono essere al servizio del popolo e preservati per le generazioni future.
2) Occorre democratizzare l’accesso alla terra e garantirne la funzione sociale. Tutte le famiglie contadine devono avere il diritto a lavorare e ad abitare sui campi.   
3) Sosteniamo la demarcazione di tutte le aree appartenenti ai popoli indigeni e alle comunità tradizionali, agli afrodiscendenti, alle popolazioni che vivono sulle rive dei fiumi, alle comunità dei pescatori artigianali.  
4) Dobbiamo dare la priorità alla produzione di alimenti sani, tutelando la salute dei produttori e dei consumatori e garantendo la difesa della natura. Gli alimenti sono un diritto e non una merce, non sono un oggetto di sfruttamento e di lucro.
6) Difendiamo il principio della Sovranità Alimentare, in modo che ogni comunità e regione possa produrre gli alimenti necessari per il proprio popolo.
7) La produzione deve essere agro-ecologica: è necessario abolire l’uso dei pestidici e dei semi transgenici».  
Il documento si chiude con questa affermazione: «I campi devono essere un buon posto per vivere, un luogo in cui alle persone venga assicurato il rispetto dei loro diritti e in cui vengano garantite condizioni di vita dignitose. Per questo, restiamo saldi nel nostro impegno a favore della lotta per la trasformazione sociale!».
Tutto il Congresso si è svolto in maniera tranquilla e ben organizzata. Il 12 febbraio, i 15mila partecipanti hanno dato vita a una marcia pacifica fino al Palazzo del Planalto per consegnare alla presidente Dilma una lettera del Congresso del Mst con la richiesta di accelerare il progetto di Riforma Agraria. Di fronte al Planalto, mentre i militanti stavano realizzando una mistica mettendo in scena la costruzione di un accampamento, un distaccamento della Polizia Statale, pensando che i lavoratori stessero prendendo le armi (si trattava invece solo di croci che dovevano simboleggiare i compagni caduti nella lotta per la terra), li ha attaccati violentemente, con gas lacrimogeni e propriettili di gomma. Alcuni dei compagni hanno reagito alla violenza e, se non si sono registrati incidenti gravi, è solo perché il coordinamento nazionale del Mst ha creato una zona di protezione attorno ai soldati, che erano in minor numero e in condizioni sfavorevoli. Eppure, la stampa ha dato risalto alla notizia come se si trattasse di una provocazione del Mst.
Il 13 febbraio, un atto politico a favore della Riforma Agraria ha riunito al Congresso del Mst vari governatori statali e politici amici, i quali si sono impegnati a collaborare affinché in Brasile venga realizzata una riforma agraria popolare e profonda.
Di seguito, il saluto che ho rivolto ai compagni del Mst.
 
UNA FIAMMA RIVOLUZIONARIA
Compagni e compagne del Mst,
la mistica che si è svolta questa mattina a cura dei militanti del Nordest mi ha riportato alla memoria un fatto che ho già raccontato varie volte, anche durante incontri del Mst. Mi scuso, allora, con i compagni che hanno già ascoltato questa storia e chiedo il permesso di ripeterla, perché ritengo sia importante qui e ora per noi.
Nel 2007, mi trovavo in uno stadio come questo, a Caracas, durante il Forum Sociale Mondiale, e i compagni del Mst e di Via Campesina mi chiesero un intervento di cinque minuti a chiusura di un atto di mistica per introdurre il discorso del nostro presidente e comandante Hugo Chávez.
Dissi di sì, ma, al momento decisivo, mi sentii la mente completamente vuota. Vedendo quella moltitudine (circa 25mila persone), non mi venne più nulla da dire. Andavo avanti e indietro, angosciato, in attesa del momento di parlare e pregando: Dio mio, aiutami, illuminami.
E mentre camminavo nervosamente, mi venne incontro un ragazzo, un soldato venezuelano. Mi si avvicinò e mi chiese: «Lei è il prete che viene a benedire la nostra rivoluzione?». Risposi di getto: «Compagno, la nostra rivoluzione non ha bisogno di essere benedetta. È già sacra di suo. È la rivoluzione che ci benedice. È sacra perché è un’opera d’amore, in quanto il suo scopo è trasformare il mondo, condividere la terra e i beni che essa offre, riscattare la dignità degli impoveriti e valorizzare le culture oppresse».
Oggi, qui, voglio dire lo stesso a voi. In questi 30 anni di lotta, voi del Mst avete restituito al Brasile questa fiamma della rivoluzione, mantenendo acceso il fuoco della mistica rivoluzionaria. Oggi, se il Mst lasciasse spegnere questo fuoco, il Brasile intero batterebbe i denti dal freddo. Ebbene, non abbiate dubbi: io vi garantisco, sulla mia vita, che questo calore rivoluzionario che ci anima è ispirato dallo Spirito Divino.
Alla sorgente di tutte le tradizioni spirituali e religiose c’è un progetto rivoluzionario, lo si chiami come si vuole. Il suo fondamento è l’amore solidale e il suo obiettivo è quello di restaurare la creazione armoniosa e giusta che Dio vuole per il mondo e per l’universo.
Per questo, voi non vi limitate a creare momenti di mistica, voi siete la mistica, siete il cammino della rivoluzione.  
È chiaro che questo cammino va avanti per tappe, procede per mediazioni e che queste sono fondamentali per assicurarne l’avanzamento. Sono conquiste parziali e alleanze necessarie quelle che avete imparato a realizzare in vari campi, come quelli della conquista della terra, della produzione, dell’agricoltura ecologica, della lotta contro l’agrobusiness e così via. L’importante è, da un lato, non svalutare tali mediazioni fondamentali e, dall’altro, non perdere di vista la meta che vogliamo raggiungere: la trasformazione radicale del mondo intero e quella interiore di noi stessi.  
Nel mondo antico, gli atleti che si accingevano alla lotta e i soldati che si recavano in guerra venivano prima unti con l’olio, perché ricevessero forza. Si credeva che l’olio rafforzasse il corpo e lo proteggesse dai colpi e dalle malattie. È nato da qui, nella Chiesa, il costume di ungere le persone: si chiama crisma, che vuol dire unzione, per renderci più forti nella lotta della vita.
Oggi qui io non ho olio per ungervi, ma voglio stendere le mie mani su di voi, per invocare l’energia rivoluzionaria dell’amore solidale su ciascuno e ciascuna di voi, in maniera che possiate andar via da qui ancora più disposti a lottare. Malgrado i miei problemi di salute e le mie fragili condizioni, non potevo non essere qui. E qui, in questo momento, voglio impegnarmi a consacrare la mia esistenza, fino al mio ultimo respiro, alla causa per la quale lottiamo e a voi tutti. Che Dio vi benedica.
 
 
Il nostro sogno comune
Guilherme Werlang
 
Fin dalla sua creazione, la Conferenza dei vescovi del Brasile (Cnbb) si è impegnata a esprimersi profeticamente e in modo fermo e propositivo su temi pertinenti alla realtà brasiliana. (…).
Più di 30 anni fa, nel 1980, la XVIII Assemblea Generale della Cnbb approvò il 1º documento della Chiesa in Brasile sulla questione agraria, dal titolo “La Chiesa e i problemi della terra”. Già in precedenza, tuttavia, singoli vescovi avevano pubblicato lettere pastorali a favore della realizzazione della riforma agraria. La difficile situazione in cui vivevano i lavoratori e le lavoratrici dei campi interpellava la Chiesa ed esigeva il suo impegno e la sua parola. Così, il 22 giugno del 1975, è stata creata la Commissione Pastorale della Terra (Cpt), dalla quale sono poi nati diversi movimenti sociali legati alla questione agraria. Per mezzo della Cpt, e grazie alla sua voce profetica, l’ingiustizia sociale e la violenza nei campi sono state denunciate dinanzi allo Stato brasiliano e presso organismi internazionali. Ed è stato ancora per mezzo della Cpt che il Mst e altri movimenti contadini hanno potuto contare sull’appoggio necessario e solidale della Chiesa, nel rispetto dell’indipendenza e della libertà di entrambe le parti, rispetto ai metodi, alle ideologie e ai principi evangelici e dottrinali.
Da allora, la società brasiliana ha attraversato molte trasformazioni e importanti cambiamenti politici, a cominciare dalla fine della dittatura militare e dal processo di ridemocratizzazione del Paese, culminato con la promulgazione della Costituzione Federale, nel 1988.
Nella prossima Assemblea Generale della Cnbb, fissata per maggio, verrà approvato un nuovo documento ufficiale, dal titolo “Chiesa e questione agraria all’inizio del XXI secolo”: un messaggio dei vescovi per il popolo di Dio e la società in generale, elaborato in comunità di fede, ai fini di un annuncio profetico e di una denuncia delle gravi ingiustizie ancora in corso contro i “popoli della terra, dell’acqua e delle foreste”. La riforma agraria, sempre promessa, non è stata la priorità di nessuno dei governi democratici che si sono succeduti. La definizione di un limite massimo della proprietà è ancora quasi un’utopia, un sogno che potrà realizzarsi solo attraverso una legge di iniziativa popolare.
Questo VI Congresso Nazionale del Mst, che celebra i 30 anni dalla sua nascita, avviene in un momento grave per il nostro Paese. La proprietà della terra continua a essere concentrata nelle mani di pochi; il nuovo Codice Forestale è molto al di sotto di quanto auspicato dalla Chiesa e dai piccoli agricoltori; la nostra popolazione ingerisce veleni anziché alimenti e acqua. Respiriamo pesticidi e prodotti tossici. Le imprese transnazionali si stanno appropriando della nostra biodiversità e delle sementi. Tutta la catena produttiva è nelle mani di pochi gruppi transnazionali a servizio del grande capitale. La violenza nei campi è aumentata e lo Stato è tanto veloce a punire i poveri e a criminalizzare i movimenti sociali quanto è lento a punire i grandi proprietari e gli stessi mandanti degli omicidi di leader contadini, indigeni e quilombolas.
I nostri fratelli indigeni, quilombolas e delle comunità tradizionali attraversano una difficile situazione, di fronte al tentativo di indebolire le garanzie costituzionali del loro diritto su questi territori. (…). Si punta ora a riformare la Costituzione trasferendo al Congresso, che è sotto il dominio della Bancada Ruralista, il potere di realizzare nuove demarcazioni di terre. Se da un lato si sono registrati alcuni passi avanti nell’affermazione dei diritti umani, dall’altro si assiste a un aumento dei conflitti sociali. È una realtà che preoccupa tutti noi, Chiese e movimenti sociali. Non è questo il Brasile che vogliamo. Come è emerso dalla riflessione condotta dalla Cnbb insieme alla società nella 5ª Settimana Sociale Brasiliana, dobbiamo ricostruire lo Stato perché sia al servizio dei cittadini e delle cittadine e non del capitale e dei suoi detentori.
Il Mst ha segnato la storia del Brasile negli ultimi trent’anni con la sua resistenza e la sua ostinazione nella denuncia di un modello ingiusto e nell’annuncio di un’altra possibilità di relazione con la terra e tra i soggetti sociali. Ci rallegra il fatto che molti operatori laici di pastorale, religiose, religiosi, preti e vescovi abbiano contribuito a costruire la storia del Mst e di altri movimenti sociali, mossi non da ideologie, ma dalla fede e dalla parola del Vangelo, e che anche oggi portino avanti la loro militanza. Questo cammino non sarà dimenticato, ma resterà iscritto nella mente e nei cuori di coloro che (…) sognano un Brasile migliore per tutti e per tutte.
Chiediamo che i compagni e le compagne del Mst abbiano il coraggio di portare avanti questa lotta. E che, in questo cammino, si aprano al dialogo con i nuovi attori sociali, con altri protagonisti che lottano per un Brasile migliore. Che abbiano l’umiltà di riconoscere anche i propri errori metodologici, i quali in nulla inficiano le conquiste e gli ideali della lotta. Che si uniscano agli alleati storici nella prospettiva di accumulare forze nel processo. (…).
Esprimiamo il nostro appoggio e la nostra solidarietà nei confronti del Mst in questi 30 anni di storia, al di là del fatto di non averne condiviso, in alcuni momenti, tutti i metodi e le posizioni. Vi ringrazio per il contributo dato alla lotta per la condivisione e la giustizia sociale, principio della fede cristiana e del pieno esercizio della cittadinanza. In tutto ciò che è giusto secondo i principi del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa, cammineremo insieme nella costruzione di un Brasile democratico, libero e senza corruzione.

   
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