COLOMBIA, CAROTENUTO E DINTORNI: FARNETICARE NON COSTA NIENTE...



COLOMBIA, CAROTENUTO E DINTORNI: FARNETICARE NON COSTA NIENTE…
 
5 gennaio 2008
 
In questi ultimi giorni, si è intensificato il susseguirsi di menzogne e mezze verità sulla vicenda dell’abortita liberazione unilaterale -da parte della guerriglia rivoluzionaria delle FARC- dell’ex rappresentante alla Camera Consuelo Gonzáles de Perdomo, Clara Rojas e suo figlio Emmanuel.
 
Ricordiamo che a cavallo tra l’anno appena chiuso e l’inizio del 2008, la consegna dei tre prigionieri alla Carovana Umanitaria organizzata dal Presidente Hugo Chávez, formata da alti diplomatici di diversi paesi (Venezuela, Argentina, Brasile, Ecuador, Cuba, Francia e Svizzera), è saltata a causa dell’impossibilità di garantire l’incolumità a tutti i protagonisti per via dei forti e molteplici operativi militari realizzati senza sosta nell’area interessata dall’esercito governativo. Nonostante il governo colombiano si fosse impegnato a garantire condizioni propizie allo svolgimento della missione umanitaria, il mafioso Uribe ha fatto di tutto per boicottarne il buon esito, avendo pure la sfacciataggine di negare l’esistenza di operativi nell’area (che invece sono stati confermati dai comandi della brigata dell’esercito che vi opera).
 
Nelle ultime ore si è avuta conferma del fatto che il piccolo Emmanuel, nato dalla congiunzione di Clara Rojas ed un guerrigliero, è apparso a Bogotá nelle mani del governo colombiano, che lo ha esibito al fine di dipingere la guerriglia delle FARC come menzognera e farsante. Sempre nelle ultime ore, un comunicato del Segretariato dello Stato Maggiore Centrale di questa organizzazione insorgente ha chiarito che il piccolo Emmanuel, proprio a Bogotá, è stato sottratto alle persone che lo accudivano per essere esibito come trofeo dalla Casa de Nariño e dai nemici dell’accordo umanitario.
 
Francamente, di fronte a questa complessa e delicata situazione, ci sorprende che certi analisti nostrani della realtà latinoamericana, che abbiamo spesso apprezzato per l’indipendenza di critica e giudizio dai grandi media, si lancino in valutazioni approssimative e sputino sentenze tanto ridicole quanto fini a se stesse.
 
Nel caso concreto, ci riferiamo a Gennaro Carotenuto, autore di un recentissimo articolo dal titolo “ Colombia: un bambino stritolato dalla "guerra al terrorismo" ” (pubblicato su www.gennarocarotenuto.it). Vale la pena di elencarne alcuni passaggi, che dimostrano come il buon Carotenuto di questioni colombiane, passate e presenti, ne sappia davvero poco.
 
Secondo lui, le “FARC hanno fatto mobilitare i governi di otto paesi, Francia, Svizzera e i sei più importanti latinoamericani, la Croce Rossa internazionale, sulla base di un falso.” E’ il caso di ricordare che le FARC, impegnatesi a liberare le tre persone suddette, non hanno mai promesso alla cosiddetta comunità internazionale di comunicare dettagli operativi essenziali (come l’ubicazione e gli spostamenti dei tre) prima di prendere contatto con l’esponente venezuelano della Carovana Umanitaria, giunta nella città colombiana di Villavicencio (capitale del dipartimento del Meta). Le FARC, inoltre, hanno preso l’impegno con Chávez di liberarle, consegnandole allo stesso, ma non di farlo necessariamente nello stesso luogo e nello stesso istante.
 
Carotenuto, inoltre, afferma che la “la giustificazione che il bambino sarebbe stato sequestrato da Uribe nel centro di accoglienza dove loro lo avevano fatto ricoverare due anni fa è francamente patetica. Tuttavia, secondo quanto assicura il comunicato delle FARC in proposito, scritto in data 2 gennaio 2008, il bambino, naturalmente non in grado di sopportare i trambusti della guerra (costanti spostamenti, bombardamenti e privazioni materiali) e le inclemenze climatiche proprie dei boschi tropicali umidi colombiani, era stato affidato a persone di fiducia affinché se ne prendessero cura, in condizioni idonee, fino a quando non fosse stato raggiunto l’accordo umanitario. Che l’intelligence colombiana lo abbia strappato a queste persone, che lo stavano accudendo, rappresenta un sequestro.
 
Quando Carotenuto asserisce che “Secondo quanto ammettono adesso le stesse FARC, in un comunicato per il quale non vi è altro aggettivo possibile che "farneticante", il bambino Emmanuel, figlio di Clara Rojas, la più stretta collaboratrice di Ingrid Betancourt, non era già più con la madre da circa due anni”, incappa in una svista a dir poco imbarazzante; lo invitiamo a leggere attentamente il suddetto comunicato, e si accorgerà che la favola “dei 2 anni”, diffusa ad arte dalla macchina goebbelsiana di Uribe, non viene assolutamente confermata né citata.
 
Il fondo poi è toccato quando nell’articolo leggiamo una grottesca sentenza, questa sì prepotentemente farneticante: “Le FARC dimostrano una volta di più di essere un’organizzazione che sopravvive a se stessa, pesantemente infiltrata come le BR al tempo di Moretti, racchiusi in una logica e perfino in un’estetica militarista oramai incapace di valutare il contesto politico nel quale combattono e che ha come conseguenza il mantenere la Colombia in uno stato di guerra permanente che impedisce alla rigogliosa società civile colombiana di democratizzare il paese, in maniera uguale e contraria a quanto fanno i paracos che esprimono la presidenza Uribe.
Se le FARC “sopravvivessero a se stesse”, non si spiegherebbe come riescano a resistere gagliardamente al più mastodontico piano militare di sterminio lanciato dal South Com del Pentagono (il Plan Patriota), né come potrebbero continuare a dispiegare unità e colonne in lungo e in largo per la Colombia. Inoltre, le affermazioni di Carotenuto sono smentite dall’innegabile crescita permanente di una miriade di organizzazioni di massa, del Movimento Bolivariano per la Nuova Colombia e del Partito Comunista Clandestino, diversi nel loro modo di agire e nel grado di coscienza e strutturazione dei loro attivisti o militanti, ma tutti orientati ed indirizzati dalle FARC. Il moltiplicarsi delle lotte sociali, rivendicative e non, che hanno attraversato il 2007 contro l’imposizione di un modello ulteriormente corporativo e liberista da parte del fantoccio Uribe, non è casuale e non proviene da una inesistente “rigogliosa società civile”.
 
Aldilà del concetto altamente discutibile di “società civile”, che vuol dir tutto ed il contrario di tutto e che non caratterizza e descrive in alcun modo i settori popolari e di classe oppressi dal regime, va ribadita una realtà: chiunque in Colombia abbia messo e metta veramente in discussione i privilegi di un’oligarchia sanguinaria, muovendosi in un ambito legale ed alla luce del sole, viene immancabilmente perseguitato, arrestato, fatto sparire o ammazzato.
 
La guerra, signor Carotenuto, non è stata lanciata dal movimento guerrigliero al Paese; la guerra è la politica dello Stato (e dei suoi governucoli di turno) per mantenere schiacciato un popolo che ha il diritto/dovere di ribellarsi, in tutti i modi possibili. La storia contemporanea di questo paese andino-amazzonico, che andrebbe studiata più attentamente da chi scrive di questioni colombiane dal proprio pulpito, evidenzia, dal massacro delle Bananeras (dicembre ’28), passando per l’eliminazione del leader Jorge Eliécer Gaitán (9 aprile ’48) fino al genocidio dell’Unión Patriotica, che per democratizzare la Colombia è ineludibile obbligare l’oligarchia a cedere, ed è essenziale cambiare strutture economico-sociali e politiche così ingiuste e sperequative.
Purtroppo, le affermazioni infondate nell’articolo in questione non finiscono qui.  Secondo l’autore, “Allontanare, svincolare le liberazioni dalla missione internazionale è una scelta grave che indica che tanto le FARC come il partito paramilitare di Uribe vuole che la Colombia lavi i panni sporchi in famiglia. Con più sangue.” Di fatto, nel loro comunicato le FARC chiedono al Presidente Chávez di “mantenere viva la speranza nello scambio mediante il suo coerente impegno umanitario”, e precisano che lo Stato deve smilitarizzare i due municipi sud-occidentali di Pradera e Florida, in modo che “si proceda immediatamente alla verifica ed alla realizzazione del primo incontro per convenire l’Accordo Umanitario, che comunque sia deve darsi con l’accompagnamento della comunità internazionale”.
E’ curioso non trovare nei paragrafi di Carotenuto neanche un cenno alle oltre 150.000 persone passate arbitrariamente per le carceri in oltre 7 anni di regime uribista, né alla situazione disumana tipo Guantanamo in cui si trovano i guerriglieri bolivariani Simón Trinidad e Sonia, estradati illegalmente e sulla base di montature giudiziarie negli Stati Uniti, in cui le giurie hanno più volte invalidato i processi a loro carico per l’assoluta inconsistenza delle “prove” (costruite ad arte da Uribe e dalla CIA).
Senza soffermarci sulla stolta comparazione tra “le BR al tempo di Moretti” e le FARC, che, oltre ad essere fuori luogo è anche la dimostrazione limpida dell’abbondante ignoranza di Carotenuto in materia, si dimostra infame -ed in linea con i peggiori pennivendoli- l’equiparazione dell’insorgenza colombiana e del paramilitarismo di Stato.
Riempirsi la bocca di buoni auspici in merito ad un processo di pace in Colombia, a partire da un eventuale scambio di prigionieri, non è sufficiente; senza cambiamenti strutturali, come quelli che le FARC propongono nella Piattaforma Bolivariana (riforma agraria ed urbana integrali, moratoria del debito estero, ridiscussione del modello economico, riconoscimento de facto e non solo de iure dell’autonomia indigena, cambiamento drastico della dottrina delle forze armate, ecc.), in Colombia non potrà esserci pace.
Chi, con un linguaggio più o meno progressista o pseudo-pacifista, predica la smobilitazione dell’insorgenza come equivalente finale di una “pace” sulla carta, firmata in assenza di misure tendenti alla costruzione di giustizia sociale, si sbaglia e si illude.
Per il momento, il piccolo Emmanuel è sano e salvo. Gli sbirri di Uribe, che l’hanno sequestrato, devono consegnarlo immediatamente alla famiglia Rojas. Portarlo a Bogotá, in una circostanza temporalmente sconosciuta, non denota menzogna o “azzardo” da parte delle FARC, bensì senso di responsabilità, coscienza umanitaria e sensatezza. Quando tutti pensavano che il bambino fosse cresciuto e si trovasse nella selva, fioccavano le condanne e le accuse di “crudeltà”, “maltrattamenti”, “mancanza di rispetto per l’infanzia” e via dicendo. I fatti hanno dimostrato che così non è. Nonostante sia stato messo in piedi il circo del IBPF (Istituto Colombiano del Benessere Familiare), in cui per miracolo sarebbe apparso Emmanuel, le persone che lo hanno accudito veramente saranno accusate senza dubbio di chissà quale crimine da un regime che è campione di violazioni dei diritti dell’infanzia.
La battaglia internazionale per lo scambio di prigionieri continua, e alla fine s’imporrà. Ma sia chiaro che scambio vuol dire SCAMBIO, e cioè reciprocità nel dare e nel ricevere. Chi si ostina a chiedere senza ritegno solo gesti unilaterali alla guerriglia, è fuori strada.
 
Max Lioce
Associazione nazionale Nuova Colombia
www.nuovacolombia.net
 
 
 



L'email della prossima generazione? Puoi averla con la nuova Yahoo! Mail