Dal Manifesto del 17 aprile



Il Brasile dell'anti-riforma agraria e dell'etanolo
Nell'anniversario della strage (impunita) di 19 braccianti a Carajas, il 17
aprile '96, il «vescovo dei Senza Terra» scrive delle promesse mancate di
Lula
Tomás Balduino *

Oggi è l'undicesimo anniversario della strage di Eldorado di Carajas, sud
del Pará, dove il 17 aprile '96, una manifestazione pacifica di Sem Terra fu
attaccata dalla polizia statale. I senza-terra uccisi furono 19. Nonostante
i processi, con le solite teoriche condanne a centinaia d'anni, i poliziotti
responsabili di quel massacro sono ancora liberi. E la riforma agraria
promessa da Lula è più lontana che mai.
Dom Tomás Balduino *
Vi presento un piccolo eroe: si chiama Eduardo Sousa Pereira junior. Ha
compiuto 9 anni. Dall'età di 3 mesi fino a oggi vive con suo padre, Eduardo,
e sia madre, Maria Aperecida, nell'accampamento «Gurita», municipio di
Jataí, stato di Goiás, sotto una tenda nera, fra il confine del latifondo e
la strada, in attesa della terra, insieme ad altre famiglie. Ha visto e
sentito molte cose. Dalle visite minacciose dei poliziotti e degli sgherri
dei fazenderos, agli insulti dei camionisti di passaggio. Vive la durezza
inenarrabile del giorno per giorno. Questa è la sua infanzia. Eduardo è un
piccolo anti-erore dell'anti-riforma agraria.
Cè anche la gente della canna da zucchero. Secondo cifre ufficiali, nello
stato di San Paolo nel 2005 sono morti 416 lavoratori rurali del settore
alcol-zuccheriero. Loro e altri sono gli eroi e le vittime dell'attuale
politica fondiaria.
Ci troviamo di fronte, quindi, a una anti-riforma agraria nel nostro paese?
Ci sono due dati che lo confermano. Primo il mancato rispetto dell'articolo
costituzionale che parla della «funzione sociale della proprietà». Secondo
la nuova mega-politica energetica governativa degli agro-combustibili.
La costituzione del 1988 produsse una gioia immensa riconoscendo «la
funzione sociale della proprietà», che figura nel capitolo fondativo dei
«Diritti e garanzie fondamentali». Era un'innovazione giuridica copernicana.
Era la fine del nefasto diritto assoluto della proprietà privata.
La costituzione assunse un meccanismo di garanzia di questa funzione sociale
e anche dell'ordinamento fondiario. E' nell articolo 184 che prevede
«l'esproprio per interesse sociale, ai fini della riforma agraria, degli
immobili rurali che non rispondano alla loro funzione sociale». Ora,
sfortunatamente, assistiamo invece all'abbandono della terra da parte del
potere esecutivo alla voracità delle privatizzazioni nazionali e straniere.
Per portare avanti il timido piano di riforma agraria, il governo preferisce
comprare la terra anziché espropriarla. E il potere giudiziario, salvo
qualche onorevole eccezione, non sa fare altra cosa che garantire la difesa
del latifondo attraverso i ricorsi sospensivi degli espropri e le condanne
penali. Nel 2006 sono state sgomberate dalle terre occupate 19.449 famiglie.
L'80% degli espropri degli ultimi 10 anni si deve alle occupazioni di terre
da parte delle organizzazioni contadine. Senza di esse l'istituto
costituzionale dell'esproprio sarebbe restato lettera morta. E intanto il
«gruppo ruralista» del Congresso porta avanti la criminalizzazione delle
occupazioni come fosse terrorismo e pertanto, «crimine odioso».
La riforma agraria oggi è scomparsa perfino dai discorsi del governo. Le
stime dicono che nel 2006 siano state insediate non più di 40 mila famiglie.
Nel 2007, con gli stessi irrisori finanziamenti del 2006, non ci si può
aspettare nessun progresso significativo. E' la pratica sfacciata
dell'anti-riforma agraria.
E gli agro-combustibili? Qui, al contrario, il denaro corre a fiumi.
Ora con l'alleanza del grande capitale internazionale, specialmente quello
Usa, in vista dell'agro-business dell'eneregia cosiddetta «pulita», si vuole
aprire nel paese un impianto per l'alcol al mese fino al 2010. E' grande
quindi la corsa alla terra da parte di imprese nazionali e straniere. Che
resta allora della riforma agraria?Della sovranità territoriale e della
sovranità alimentare?
Si fa un gran parlare di nuovi posti di lavoro. C'è una corsa sfrenata verso
le piantagioni di canna. Molte scuole del Nord-est si sono chiuse perché gli
studenti sono emigrati per diventare tagliatori di canna. In conclusione: né
lavoro, né terra, né riforma agraria. Resta solo l'anti-riforma agraria.
Finalmente le organizzazioni sociali si stanno di nuovo muovendo, dopo un
periodo di paralisi nell'attesa dell'avverarsi del sogno di un cambio che
partisse dal governo. E' venuto il tempo di una riforma che ci restituisca
uno Stato strutturato per compiere la sua vera ragion d'essere al servizio
del popolo, anziché lo Stato che ci troviamo di fronte, impegnato soprattuto
a favore dell'impresa capitalista.
*Consigliere della Commissione pastorale della Terra della Conferenza
episcopale brasiliana, vescovo-emerito di Goías