Drammatici record del governo Lula [5]




Domani, 19 aprile 2005, il Brasile celebra il Giorno dell¹Indio

Milano, Comunicato stampa

18 aprile 2005

Brasile: i drammatici record registrati dal governo Lula sul fronte indigeno


Dal 24 aprile al 3 maggio prossimo, gli Indiani in Brasile manifesteranno davanti all'Esplanade di San Paolo in segno di protesta per gli spaventosi record registrati dal governo Lula in materia di diritti indigeni. Domani, 19 aprile, il Brasile festeggerà il "Giorno dell'Indio" ma 430.000 indigeni sentono di avere ben poco da celebrare.

Gli Indiani avevano accolto con speranza le promesse elettorali fatte da Lula nel 2002, tra cui l'istituzione di un "programma speciale e urgente" per il riconoscimento ufficiale dei loro territori. Ma circa il 50% delle terre indigene sta ancora aspettando una ratifica. In un documento redatto dal Forum per la Difesa dei Diritti Indigeni (FDDI - formato da 7 organizzazioni indigene e pro-indigene tra cui l¹Istituto Socio Ambientale), si legge: "Il numero di territori dichiarati aree indigene sotto il governo Lula è il più basso mai registrato dopo la fine del regime militare".

Gli Indiani Guaraní-Kaiowá combattono da decenni per riscattare le loro terre da potenti latifondisti. Molti bambini soffrono di malnutrizione e, stando agli ultimi rapporti, in questi primi mesi dell'anno almeno 22 di loro sono morti di fame - ma chi lavora sul campo ritiene che si tratti di una stima inferiore a quella reale. L'1% dei Guaraní-Kaiowá continua a suicidarsi: il loro è uno dei tassi di suicidio più alti nel mondo e colpisce principalmente i giovani.

Il governo di Lula aveva promesso di mettere fine all'impunità per coloro che commettono crimini contro i popoli indigeni. Ma anche se negli ultimi trent'anni i killer ingaggiati dagli allevatori hanno brutalmente assassinato almeno 12 Makuxi, nessuno ha ancora pronunciato una sentenza di condanna nei loro confronti e i crimini verso gli Indiani rimangono molto diffusi: nel solo gennaio 2003 sono stati assassinati 3 uomini e le loro famiglie stanno ancora aspettando giustizia.

Il direttore di Survival Stephen Corry ha dichiarato: "Per gli Indiani del Brasile, il governo di Lula è stato una grande delusione. Il Brasile ha ratificato la Convenzione OIL 169 sui diritti dei popoli indigeni: e il governo di un paese che oggi ambisce a rivestire un ruolo di maggior rilievo nello scenario mondiale deve necessariamente adempiere ai suoi impegni internazionali e riconoscere pienamente i diritti territoriali degli indigeni".

Leia Aquino, leader Guaraní-Kaiowá, afferma: "Non siamo un popolo libero e questo perché non abbiamo la terra. Avere la terra significa essere liberi e, soprattutto, essere felici. Numerose comunità guaraní-kaiowá si sono incontrate recentemente per discutere il problema e hanno diffuso un appello straziante dal titolo "La morte dei nostri figli: morire di fame sulla nostra terra" chiedendo la restituzione di alcuni dei loro territori. (vedi documento seguente)

Survival ha inoltrato un rapporto alle Nazioni Unite sulla situazione degli indigeni del Brasile chiedendo un immediato intervento di pressione sul governo:
<http://www.survival-international.org/related_material.php?id=97>http://www.survival-international.org/related_material.php?id=97


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Approfondimenti

Guaraní-Kaiowá - aprile 2005

BRASILE: i bambini guaraní muoiono di fame

Nei primi tre mesi dell'anno, almeno 22 bambini guaraní sono morti di fame e a centinaia soffrono di malnutrizione. Ammassati in minuscoli fazzoletti di terra, gli Indiani non sanno più dove cacciare, pescare e nemmeno dove piantare i loro semi. Secondo dati ufficiali, l'1% dei Guaraní-Kaiowá continua a suicidarsi: il loro è uno dei tassi di suicidio più alti nel mondo e colpisce principalmente i giovani. Il governo ha annunciato una maggiore distribuzione di aiuti umanitari ma continua a ignorare la radice del problema: alla tribù è stata praticamente tolta tutta la sua terra! Negli ultimi 70 anni, migliaia di Guaraní sono stati sfrattati dai loro territori dai coltivatori di soia e dagli allevatori di bestiame e solo l'1% delle loro foreste è sopravvissuto al disboscamento. Oggi, i Guaraní vivono ammassati in minuscole riserve in cui, come conseguenza, dilagano suicidi, alcolismo e violenza. Nel frattempo, la corte si sta preparando a sfrattare una comunità guaraní che, mettendo seriamente a repentaglio la propria vita, ha recentemente rioccupato una piccola porzione della sua terra originaria. La loro terra, che essi chiamano Nanderú Marangatú, si trova ancora nelle mani di alcuni allevatori di bestiame, che minacciano costantemente gli Indiani. Per potersi sostentare, i Guaraní hanno piantato i loro semi: se venissero davvero sfrattati, sarebbero costretti a tornare in quei fazzoletti di terra, dove non potrebbero sopravvivere. Survival sta protestando con l'obiettivo di impedire lo sfratto.

Numerose comunità guaraní-kaiowá si sono incontrate recentemente per discutere l'allarmante numero di bambini morti per fame. Hanno diffuso un appello straziante per chiedere la restituzione di alcuni dei loro territori ancestrali dal titolo: La morte dei nostri figli: morire di fame sulla nostra terra:

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Guaraní-Kaiowá - aprile 2005

12 Aprile 2005

Numerose comunità guaraní-kaiowá si sono incontrate recentemente per discutere l'allarmante numero di bambini morti per fame. Hanno diffuso un appello straziante per chiedere la restituzione di alcuni dei loro territori ancestrali.

La morte dei nostri figli: morire di fame sulla nostra terra

Noi, leader della Commissione Diritti Indigeni dei Guaraní-Kaiowá del Mato Grosso do Sul, ci siamo incontrati e abbiamo parlato di un problema che sta sollevando dibattiti in tutto il Brasile.

Negli ultimi tre mesi, decine di bambini indigeni sono morti di fame e noi siamo molto addolorati. Se da un lato siamo grati a coloro che ci sostengono e ci aiutano, dall'altra proviamo una rabbia profonda per il fatto di non essere ascolti e di non vedere rispettati il nostro modo di vivere e i nostri diritti.

Alla radice dei nostri problemi c'è la mancanza di terra: una diretta conseguenza di una storia fatta di furti e distruzioni delle nostre terre tradizionali; di una politica che ci vuole confinare nelle riserve, della perdita della nostra libertà e perfino della voglia di vivere. Qui nel Mato Grosso do Sul, noi popoli indigeni siamo sfrattati dalle nostre terre e veniamo assassinati per far spazio in un primo momento alle mandrie del bestiame e in seguito alle immense monocolture di soia. Si è trattato di un processo violento contro il nostro popolo e il nostro modo di vivere. Le foreste dove eravamo soliti cacciare sono state distrutte dai tagliatori di legno e dai trattori degli allevatori: si tratta delle stesse foreste dove raccoglievamo frutti e miele e ci procuravamo le cose necessarie per fabbricare le case e gli utensili.

La morte e la fame sono dovute a molti fattori fra cui la perdita della terra: senza terra, la nostra economia collassa e non possiamo più sostentare noi e le nostre famiglie.

Non si può affrontare questo argomento come se si trattasse di decidere come "dare da mangiare agli Indiani". E non si può nemmeno attribuire la morte [i suicidi, ndt] alla nostra cultura. Le soluzioni vanno ben oltre la distribuzione delle razioni di cibo del governo. Eravamo un popolo libero, circondato dall'abbondanza. Oggi dipendiamo dagli aiuti governativi. Questa è una politica paternalistica, che non ci permette di tornare ad essere autosufficienti. È come avere una pistola puntata alla tempia. Vogliamo che vengano create le condizioni perché noi possiamo tornare a far crescere il cibo negli orti, perché possiamo tornare a coltivare manioca, patate, canna da zucchero, patate dolci, grano, fagioli, riso. Le nostre terre devono essere liberate dagli invasori e devono essere legalmente riconosciute e ratificate dal governo. Abbiamo bisogno di aiuto per resuscitare la nostra terra.

Poiché non rispettano la costituzione federale e la Convenzione OIL 169, ancora oggi, le politiche del governo sui popoli indigeni non tengono conto del nostro modo di essere, di vivere, di pensare e di organizzarci. Il governo distribuisce aiuti alimentari nelle nostre case senza chiedersi se quel cibo è compatibile con le nostra cultura.

Noi dobbiamo poter tornare a casa nostra, vogliamo coltivare i nostri campi, produrre il nostro cibo e recuperare la terra di quelle che un tempo erano le nostre comunità: terre che sono state anche impoverite perché non sono state usate a rotazione. Nelle comunità deve esserci acqua potabile pulita e le cure mediche devono essere compatibili con la nostra cultura.

Ma soprattutto, noi chiediamo rispetto e giustizia. Non vogliamo la carità; non vogliamo diventare l'oggetto di altri progetti paternalistici. Abbiamo il diritto di essere diversi e di essere liberi, di esercitare la nostra autonomia e di essere consultati durante la formulazione delle politiche che riguardano le nostre vite.

Quello di cui abbiamo più bisogno è che vengano riconosciute e protette le nostre terre e che tutti gli invasori siano espulsi. Queste terre comprendono Nhande Ru Marangatu (municipalità di Antônio João), Lima Campo (a Ponta Porã), Taquara (Juti), Ivycatu (Japorã), Guyraroka (Caarapó) Kokueí (Ponta Porã), Sucuriy (Maracajú); vogliamo anche la revisione dei confini delle piccole aree demarcate dallo SPI (Istituto per la Protezione dell'Indio del governo) all'inizio dello scorso secolo.

Siamo feriti, ma non siamo un popolo sconfitto; abbiamo fiducia nella nostra saggezza e crediamo che un giorno riusciremo a ricostruire la "Terra senza il Diavolo".

Territorio indigeno Caarapó , 5 marzo 2005

Silvio Paulo, Anastácio Peralto, Nito Nelson, José Bino Martins, Ladio Veron, Rosalino Ortiz

Commissione Guaraní-Kaiowá per i Diritti Indigeni

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