"Verso la fine dell'intervento non ho più filo..." - Chiara Castellani dal Congo



Diario della dottoressa Chiara Castellani dal Congo
Ospedale di Kimbau
http://www.kimbau.org


Domenica notte ho ricevuto un malato con un'ernia interna intramesenterica, che purtroppo come spesso succede qui a Kimbau è venuto in ritardo, dopo aver cercato invano di curarsi con erbe tradizionali al villaggio.

Da come si contorceva dal dolore atroce e dal volto grigio cadaverico ho subito compreso che si trattava di un addome acuto, e ho fatto accendere il gruppo elettrogeno dell'Ospedale per intervenire immediatamente, in piena notte, con una laparotomia d'urgenza. All'apertura dell'addome, vedendo il colore e sentendo l'odore dell'essudato sieroematico peritoneale, ho subito compreso che la prognosi era molto riservata. Infatti gran parte delle anse del tenue erano ischemiche, e il digiuno per una lunghezza di oltre un metro era totalmente necrotico.

Anche il sigma era necrotico: verde, fetido, ricoperto di una patina nerastra. Ci siamo guardati in faccia, io e Papà André, l'infermiere chirurgo: che fare? La prima tentazione è FUGGIRE, Rinunciare, chiudere l'addome per evitare l'onta di perdere il malato sul lettino operatorio, per poi vederlo morire con estrema sofferenza poche ore dopo... o tentare disperatamente di salvarlo?

Tentiamo, dico a Papà André. Lentamente, con pazienza, liberiamo le anse imprigionate dalla briglia aderenziale. Alcune anse riprendono colore, ma gran parte dell'intestino resta violaceo, punteggiato da ecchimosi sanguinolente. Levarlo tutto? Impossibile, sarebbe condannarlo a morte. Cerchiamo disperatamente di trovare una parte ancora sufficientemente vitale per realizzare l'anastomosi. Poi sezioniamo quelle anse di tenue nere, fetide, inservibili, leghiamo quei vasi già trombizzati.

Per il sigma necrotico mi ricordo come si lavorava in Nicaragua con i feriti per arma da fuoco: tiriamo fuori l'intestino, sezioniamo la parte necrotica all'esterno dell'addome, accolliamo il moncone alla parete. Una colonstomia dopo emicolectomia, è la prima della sua vita per Papà André e anche per me che ho assistito a colonstomie ma non ne ho mai realizzato una da sola, nemmeno quando avevo due mani...

Verso la fine dell'intervento constato che non ho più filo, e sono costretta a far forzare la porta della farmacia. Ma il malato esce dalla sala operatoria con la stessa pressione con cui è entrato, cinque ore prima.

Dio ha compiuto un miracolo, ma io non posso lasciare l'ospedale con un caso del genere.

Chiara Castellani
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