Note sull'Onda di franco piperno



Prime note per la riflessione dell’Onda.

Una altra università non vuol dire l’università del futuro.


I) L’0nda sta mutando la sua fase.

Con la massiccia concentrazione del 14 novembre su Roma, si compie un ciclo
del movimento,il primo. Tutto era cominciato con un decreto romano,
illiberale e statalista che, trattando la formazione come un costo
piuttosto che un investimento, tagliava drasticamente la spesa pubblica per
scuola ed università. Il 14 novembre è così la risonanza sociale provocata
da quel decreto.
Ma tanto la pluralità quanto i numeri coinvolti testimoniano, con tutta
evidenza, che l’0nda ha già prodotto una eccedenza che è fuori misura
rispetto al gesto che la ha provocata.
In altri termini l’orizzonte parasindacale incentrato sulla questione dei
tagli risulta ormai limitato anzi asfittico; ed emergono forme di vita
attiva che hanno compiuto l’esodo dalla temporalità moderna dove il futuro
è vissuto nel modo dell’attesa ( nuove riforme,nuovi governi, nuove
scienze,nuove ricerche,nuovo mondo etc.) e s’impegnano “a strappare la
felicità al futuro” praticando qui ed ora il terreno della critica alla
divisione disciplinare del sapere: la prassi dell’autoformazione ovvero una
altra università, in grado di richiamarsi all’origine, all’autonomia ed
unità del sapere.


II) Il rimbalzo dell’onda.

Dopo il 14 di novembre il movimento rientra nei suoi luoghi d’origine,
inebriato dalla condivisione della presenza, da quell’essere in molti tutti
insieme nello stesso luogo.
Questa potenza va scagliata,luogo per luogo, contro il sistema della scuola
e dell’università—sistema mostruoso per astrazione e debole nel conseguire
risultati proprio perchè assegna alla formazione ed alla ricerca il compito
di aiutare la crescita economica del paese, favorire la competizione della
nostra industria sul mercato globale.
Per far questo,occorre convergere sulla didattica, cioè su
tempi,modi,contenuti con i quali l’università adempie al compito per il
quale è nata: la rielaborazione del sapere in forma tale che sia
pubblicamente, meglio,dirò, comunemente, trasmissibile di generazione in
generazione.
Si tratta di partire dalle cose come stanno, dal clamoroso fallimento della
riforma “3+2”, riforma bi-partisan quanti altri mai, proposta pressoché
unanimemente dal ceto politico, sia di destra che di sinistra.
Si tratta d’andare nella direzione opposta a quella indicata dalla riforma
Berlinguer-Moratti-Gelmini. Mentre quest’ultima mira a sfornare leve di
massa d’idioti specializzati per ruoli lavorativi stupidi e ripetitivi,la
pratica dell’autoformazione si dispiega attraverso le discipline per
conseguire quell’unita del sapere che sola permette una rappresentazione
vera della realtà:infatti la realtà, come la natura da cui scaturisce, è di
per sé interdisciplinare. L’autoformazione  si sviluppa quindi come
rapporto tra lo studente e la realtà, e non già come destino dello studente
nel mercato del lavoro.
Per tradurre in slogan la questione potremmo dire che i primi tre anni di
curriculum universitario conseguono il loro scopo nel fornire le competenze
generiche dell’individuo sociale; essi sono quindi organizzati  a livello
d’ateneo e prevedono che lo studente attraversi,tramite la scelta libera
dei corsi, tutte le aree tematiche presenti nell’ateneo—e.g. all’Unical
queste aree sono cinque ed in conseguenza il numero d’esami complessivo per
il triennio non dovrebbe superare il numero di quindici.
I corsi, poi, devono possedere quell’aura socratica che permetta il
rapporto individuale tra docente e discente, e consenta l’acquisizione
della capacità euristica piuttosto che l’apprendimento passivo di nozioni –
e questo comporta che non vi siano molte decine di studenti per classe e
che l’attività di docenza preveda un andamento per dispute e seminari.
Si pensi che, nel modello “3+2”, la lezione frontale, con l’uso dei lucidi
e del power- point  in una classe con centinaia di studenti, somiglia più
ad una conferenza televisiva che ad una attività di trasferimento della
conoscenza svolta in presenza.





III). La valutazione del professore e la potenza intellettuale dello studente.

Si è già detto: l’università non è un centro di ricerca. Questo comporta
che un ottimo ricercatore possa essere un mediocre o anche pessimo docente,
se privo del prestigio intellettuale che solo la capacità espressiva è in
grado di conferire.
Il giudizio didattico sul professore non deve essere affidato ai suoi pari,
bensì agli studenti che hanno seguito i suoi corsi: essi soli hanno
l’esperienza per valutare. Questo giudizio, espresso ripetutamente nelle
forme adeguate, deve avere un valore determinante a livello d’ateneo per il
conferimento degli incarichi e per la carriera accademica. Va da sé che gli
attuali questionari, somministrati irresponsabilmente e privi del minimo
riscontro pratico, sono la caricatura del giudizio studentesco
sull’attività della docenza.

IV). Il sistema nazionale dell’università pubblica ed il reclutamento dei
docenti.

Per assicurare la trasmissione pubblica dei saperi le università devono
costituire rete—avere le regole fondamentali in comune sicché sia garantita
la mobilità di studenti, dottorandi e docenti da una sede universitaria ad
un'altra. La prima regola è che per intraprendere e progredire nella
carriera accademica occorre cambiar sede—questo vuol dire che, ad esempio,
il dottorato si consegue in un ateneo diverso da quello che ha conferito la
laurea magistrale; ed il contratto a tempo determinato post-doctoral
richiede nuovamente un mutamento di sede.
In particolare, i docenti devono avere una qualificazione attestata a
livello nazionale nella forma di abilitazione alla docenza valida per un
certo periodo, supponiamo per cinque anni. Entro quest’intervallo di tempo,
il singolo ateneo può attingere dalla lista aperta degli abilitati, e solo
da quella, il nuovo personale docente, a discrezione del Dipartimento
interessato e senza la farsa del concorso nazionale-- o almeno quello in
ruolo che possiede tutti i titoli, attivi e passivi.
Il docente in ruolo è sottoposto a valutazione decennale, articolata: a) in
un esame della sua attività di ricerca espresso dai suoi pari a livello
internazionale; b) in un giudizio sulla capacità didattica formulato dagli
studenti che hanno seguito i suoi corsi, nonché da coloro che lo hanno
avuto come tutor o come relatore di tesi. Il superamento della valutazione
decennale è condizione necessaria per rinnovare il rapporto di lavoro con
gli atenei del sistema pubblico.
Il ruolo della docenza è unico con parità di diritti e doveri; l’eventuali
differenziazioni nello stipendio devono essere articolate in funzione
dell’esperienza e delle attività accademiche svolte.


V). La democrazia universitaria.

Una delle conseguenze tra le più funeste della contro-riforma “3+2” è la
trasformazione virtuale dei professori in improvvisati “managers” e del
rettore in amministratore delegato personalmente interessato a conservare
potere e prebende. Anche qui,occorre imboccare la direzione opposta.
Intanto l’elettorato del rettore deve comprendere oltre ai professori a
pieno tempo, ai dottorandi ed agli assegnasti, tutti gli studenti a partire
dal terzo anno in regola con gli esami. Inoltre l’elettorato attivo deve
coincidere con quello passivo—sicché potrebbe capitare di ritrovarsi uno
studente come rettore,cosa per altro che accadeva in qualche università
italiana fino all’altro ieri, fino alla campagna napoleonica.
Al rettore andrebbe affiancato un Consiglio d’ateneo eletto in forma non
corporativa, con poteri di gestione e di rappresentanza.
Il rettore ed i membri del Consiglio dovrebbero restare in carica per un
solo mandato e non godere dell’elettorato passivo per il mandato
immediatamente successivo.
Il Senato accademico andrebbe soppresso insieme alle Facoltà—i ruoli
accademici dovrebbero far capo ai Dipartimenti, che, a loro volta,
andrebbero strutturati attorno a tematiche di ricerca e non definiti sulla
triste base disciplinare.
Al posto delle Facoltà dovrebbero subentrare i Consigli di Corso di Laurea
ed il Coordinamento dei consigli, entrambi modulati da esclusive ragioni
didattiche ed in grado di fare emergere le passioni conoscitive degli
studenti.
Infine andrebbe svuotata di ogni autorità, come peraltro già sta avvenendo,
la Conferenza dei Rettori ed Consiglio Nazionale Universitario(CUN).
La rappresentanza del sistema nazionale universitario andrebbe  assunta da
un organo consiliare eletto di volta in volta, su singole questioni e con
mandato vincolante, dai Consigli d’Ateneo.


Franco Piperno, novembre 2008