Re: [pace] "Costruiamo insieme una politica davvero nuova" -- IL PD E LA la SFIDA PER LA PACE di M. Toschi



Che ne pensate, a me è piaciuto, aspetto i vostri
commenti efatelo circolare 
un caro saluto
marco mayer

--- Info - Tavola della Pace <info at perlapace.it> ha
scritto:

> 
> Oggetto: "Costruiamo insieme una politica davvero
> nuova!" - 
______________________________________________________
Ecco il testo inviato a fine agosto dall'assesore
toscano massimo toschi ai candidati nazionali per la
segreteria del PD. All'appello ha  risposto solo Rosy
Bindi accogliendolo ed inserendolo nel suo sito.
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Il PD e la sfida della pace

La nascita del Partito Democratico può e deve essere
l’occasione di un ampio confronto sulla cultura
politica del nuovo partito, senza operazioni
sofistiche, senza abilità retoriche, ma cercando nella
storia di ciascuno le radici di una nuova, più grande
e più ambiziosa avventura politica.
Sorprende che, in questa fase delle candidature, nei
discorsi di investitura non compaia in nessun modo il
tema della pace e della guerra (appena qualcosa di
generico nel testo Bindi), di un nuovo ordine
internazionale, che, rafforzato dall’iniziativa
europea, rilanci il processo di pace nel Medio
Oriente, e costruisca un nuovo partenariato
euroafricano.
Non si tratta di aggiungere un tema tra gli altri.
Dobbiamo riflettere sul fatto che il governo
dell’Unione e’ caduto il 21 febbraio scorso proprio su
questo problema, ad indicare nodi irrisolti di cultura
politica che hanno attraversato tutto il
centrosinistra.
Non basta indicare che siamo per il multilateralismo,
per il rispetto dell’art.11 della Costituzione e per
un peso determinante delle organizzazione
internazionali, in primis l’Onu, per la risoluzione
dei conflitti. Questo non e’ bastato nella crisi di
febbraio e potrebbe non bastare in situazioni
analoghe, che si potrebbero riproporre. Al di là di
questo è necessario prefigurare un grande orizzonte
internazionale, nel quale l’Europa e l’Italia
diventino protagonisti di una politica di unità e di
sviluppo del mondo, senza la quale il nostro Paese non
troverà il respiro lungo per crescere.
Allora è necessario indicare alcuni punti di cultura
politica, che possano orientare il pensiero e la
prassi del nuovo partito, oltre le retoriche
giustapposizioni tra radicali e riformisti, tra
pacifisti e realisti:

1) il tempo della guerra, il tempo della violenza
Dalla metà degli anni ‘90 fino ad oggi la guerra ha
mostrato una radicale incapacità di risolvere i
problemi, al contrario li ha aggravati e complicati.
Dalla tragedia dei Balcani, fino al Kosovo,
all’Afghanistan e all’Irak, la popolazione civile e’
stato il vero ostaggio dei conflitti.
L’11 settembre e il terrorismo hanno spinto alla
guerra, con l’unico risultato di fare della guerra
l’unica cifra della politica, moltiplicando la paura.
E’ stata la paura che ha generato il tempo della
guerra, dove la guerra non e’ più solo uno strumento
estremo, ma e’ la dominante culturale che seduce
popoli e governi. In questo orizzonte non possiamo
dimenticare i conflitti a bassa intensità (con armi
leggere), che hanno devastato l’Africa e i la zona dei
grandi laghi, con un numero sconfinato di vittime. E’
cresciuta la violenza contro l’ambiente, fino ad
arrivare quasi ad un punto di rottura, prefigurando
una catastrofe climatica. I fondamentalismi hanno
consolidato la cultura dello scontro di civiltà e
troppo spesso le grandi religioni monoteiste si
pensano come nemiche e in conflitto tra di loro. Il
mercato delle armi ha fatto un balzo enorme tra la
fine degli anni 90 e l’inizio degli anni duemila. Ad
oggi ogni anno si spendono circa 1050 miliardi di
dollari in armamenti, con un aumento medio del 25% dal
2001. L’innalzamento del picco delle spese militari
significa inevitabilmente la diminuzione di
investimenti per la realizzazione degli obiettivi del
millennio.
Oggi, nel tempo della guerra e della violenza, non
basta più una cooperazione comunque. Oggi la sfida e’
una cooperazione per la riconciliazione. Il vero
obiettivo del cooperare diventa la riconciliazione tra
stati, popoli, società e culture. In questo senso la
cooperazione esce da uno spazio residuale e diventa
parte costitutiva di una grande politica di pace, di
sviluppo sostenibile, di affermazione della democrazia
e dei diritti umani.
Al centro di questo grande disegno stanno le comunità
locali, che diventato l’espressione della società
civile organizzata e al tempo stesso i veri soggetti
della pace e dello sviluppo. Se non si costruiscono
comunità locali in grado di scegliere il proprio
destino, se non si costruiscono reti globali di attori
locali anche gli stessi grandi e ambiziosi programmi
di pace, sviluppo e democrazia (uno per tutti gli
obiettivi del millennio) non incontreranno i veri
protagonisti di questo processo decisivo non solo per
il sud del mondo, ma per l’intero pianeta.
Qui davvero l’Europa incontra il mondo. Non l’Europa
della riconciliazione senza pentimento, come la
vorrebbe Sarkozy, ma l’Europa della pace e del
dialogo, che sa riconoscere lealmente i suoi errori,
che accetta la conversione della sua politica,
abbandonando  definitivamente la cultura  del dominio,
delle chiusure ideologiche e delle catture politiche. 


2) Il multilateralismo per la pace
Per sconfiggere la guerra e la sua cultura dobbiamo
costruire un multilateralismo per la pace, nel quale
le organizzazioni internazionali e l’Onu in primo
luogo possano svolgere una azione innovativa per
prevenire i conflitti e per risolverli pacificamente
là dove ci sono. L’uso della forza non può mai essere
il modo astuto per fare la guerra, fino al punto di
diventare sinonimi. Questo è accaduto in Kossovo, in
Afghanistan, in Irak. La vicenda libanese dell’anno
scorso segna un elemento interessante di novità. Per
la prima volta non si e’ andati a combattere una
guerra, più o meno camuffata, ma a realizzare una
interposizione militare efficace, su richiesta
esplicita delle due parti in conflitto. 
Il multilateralismo per la pace punta a creare un
riforma importante della Nazioni Unite, che diventano
l’architrave di questo tipo di politica, domanda
all’Europa una azione corale e coraggiosa, coerente
con la sua cultura e la sua vocazione. L’Europa ha
oggi bisogno di riformare rapidamente, con coraggio e
lungimiranza  le sue strutture istituzionali e di
governo, per essere soggetto attivo di quel
multilateralismo della pace, che i popoli del mondo
domandano e di cui oggi c’è assoluto bisogno.

3) Il no alla guerra e alla sua cultura.
Il nostro no alla guerra non e’ di tipo ideologico, ma
storico e politico. Se guardiamo alla guerra oggi per
il 90% produce vittime civili, di cui il 30 % sono
bambini. Questo significa non solo uccidere, ma
seminare odio in misura infinita, al punto che in
certe situazioni del mondo sembra impossibile
ricostruire forme nuove di convivenza, che siano
capaci di chiudere il conflitto.
Quando si scopre il vaso di pandora della violenza,
oggi appare difficilissimo, per non dire impossibile 
tornare indietro, poter ricostruire le società, nel
diritto di tutti e di ciascuno.
Se guardiamo al conflitto irakeno, si e’ raggiunto un
punto di non ritorno, per cui qualunque scelta e’
incapace di avviare processi di ricomposizione della
società irakena e continua giorno dopo giorno la serie
infinità di attentati, con numeri di morti imponenti.
Anche il nostro ritiro, che pure abbiamo voluto in
modo determinato sembra un pallido ricordo di fronte a
questa metastasi della violenza senza fine, che sta
portando l’intero paese sull’orlo dell’abisso.
Dopo il ritiro, siamo senza politica e afoni di fronte
agli immensi e sempre più gravi problemi che devastano
la società irakena.
La vicenda afgana e’ certo diversa, ma con conclusioni
simili. E’ chiaro che in quel paese nessuno vincerà la
guerra e le azioni di Isaf, che a partire dal febbraio
2006 si sono fuse con l’iniziativa americana, non
potranno mai ottenere risultati significativi sul
piano militare, data la conformazione del territorio e
la tipologia del nemico da combattere e il suo
radicamento sul territorio. La continua uccisione di
civili rende visibile il fallimento politico e morale
di questa strategia, e allontana in modo drammatico
una prospettiva di cooperazione, sulla quale definire
una effettiva road map per quel paese. La forte
testimonianza di Emergency, che da dieci anni opera in
quel paese, avendo curato oltre un milione di afghani,
guadagnandosi una stima indiscussa tra la popolazione,
mostra che e’ possibile una alternativa alla guerra,
capace di ricomporre la società e spezzare il terrore
.

4) La cruna d’ago del Medio Oriente.
Ma la cruna d’ago della pace e della guerra e’ il
Medio Oriente. Solo se si farà pace a Gerusalemme,
sarà possibile debellare il fondamentalismo religioso
e politico, costruire relazione nuove in tutta l’area,
nel dialogo fecondo ed efficace tra le  grandi
religioni monoteiste e bonificare i giacimenti di odio
del terrorismo.
Dopo la crisi libanese dell’anno scorso e lo scontro
militare a Gaza tra i movimenti politici palestinesi,
tutto sembra complicarsi e l’iniziativa politica
dell’Onu e del quartetto sembra procedere a sprazzi.
La nomina spettacolare di Tony Blair e l’attivismo di
Sarkozy sembrano rivelare più azioni di superficie che
interventi coraggiosi e lungimiranti in profondità.
In Libano per la prima volta su richiesta del governo
libanese e del governo israeliano si e’ creata una
forza di interposizione Onu, attualmente a guida
italiana, che ha fermato la guerra e creato le
condizione per la ripresa di una iniziativa
diplomatica e di cooperazione in tutta l’area. Il
nostro stesso paese, che pure ha avuto un ruolo
decisivo per risolvere il conflitto dell’estate 2006,
dovrebbe accompagnare la presenza militare di
interposizione con una azione politica e di
cooperazione più costante e meno frammentaria, in un
contesto dagli equilibri complicatissimi e
difficilissimi. Il dialogo va fatto con tutti,
assumendosi ciascuno impegni precisi in ordine alla
pace, cercando vie originali alla soluzione del
conflitto.
Il precipitare della crisi palestinese, con un unico
popolo e due governi, domanda una vera e propria
svolta nell’azione delle Nazioni Unite, dell’Europa e
anche del nostro paese, che oggi appare un
interlocutore assolutamente apprezzato e di prestigio
di fronte ai due popoli,che cercano la pace. Non basta
una soluzione diplomatica, pur difficilissima. E’
necessario coinvolgere le due società civili
organizzate, partendo dai bambini palestinesi,
defraudati di futuro da una politica violenta, e dalla
domanda di esistenza e di sicurezza del popolo
d’Israele. Mai come in questo conflitto è necessario
partire da qui, per costruire processi di
riconciliazione tra le due società e per ascoltare la
nuova agenda della politica, che pone la pace al primo
posto, rispetto agli interessi di ciascuno. L’Italia
può avere un ruolo importantissimo in questo processo,
per la molteplicità dei soggetti che riesce a mettere
in campo in tutto il Medio Oriente, avendo un ruolo di
punta nell’attività di cooperazione. Una cooperazione
per la riconciliazione. Questo e’ il punto decisivo:
si costruisce la pace non solo con la diplomazia e con
i governi, ma cooperando per far risorgere le società,
a partire da coloro che pagano il prezzo più alto del
conflitto. E’ un’azione convergente che parte dalla
vita dei piccoli, che mobilità le forme organizzate
della società civile, per arrivare al tavolo della
diplomazia e dei capi di governo. Solo così il Medio
Oriente potrà sperimentare una nuova via alla pace,
che alimenti la speranza in un futuro diverso. La
riconciliazione genera il tempo della speranza e la
speranza apre alla riconciliazione.
 In questo quadro si devono trovare tempi e modi del
dialogo,del dialogo con tutti, ma senza timidezze e 
opportunismi, senza doppiezze e astuzie. E’ netto il
sostegno alla ANP e all’azione di Abu Mazen, senza
demonizzare Hamas e senza pensare a forme rapide di
dialogo. Va sostenuto il governo israeliano in una
politica che arrivi in tempi brevi alla pace, in
quadro di stabilizzazione di tutta l’area. La pace
sarà possibile se nei due popoli crescerà la cultura
della riconciliazione e ciascuno saprà assumere il
dolore e il diritto dell’altro.

5)Un nuovo partenariato Europa –Africa.
 Nella sfida del futuro l’Europa e’ chiamata a
costruire nuovi rapporti con l’Africa. Da sola non
riuscirà a reggere il confronto con la grande Asia e
con le Americhe. L’Africa sta faticosamente
cominciando a muoversi e può e deve diventare partner
essenziale dell’Europa. Solo  un partenariato
euroafricano forte potrà avere un peso specifico tale,
da pesare nel nuovo ordine politico ed economico del
mondo. Nella nuova politica dell’Europa per l’Africa,
un ruolo decisivo lo può avere il nostro paese. Non
siamo vincolati dal peso di una ingombrante stagione
coloniale, c’e’ solo bisogno di ritessere i fili di
rapporti, che nel tempo si sono consumati. Dopo anni
di assenza il Presidente della Repubblica, il
Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri
sono tornati a visitare i paesi africani e a diventare
protagonisti di questo nuovo dialogo euroafricano, con
risultati significativi e importanti.
Deve crescere in modo significativo l’impegno della
nostra cooperazione, non solamente come assistenza
allo sviluppo o come generica azione umanitaria, ma
come parte costitutiva e fondamentale di una grande
politica di pace e di sviluppo, di diritti e di
democrazia. Da questo punto di vista non si tratta
solo di investire ulteriori risorse finanziarie, pur
necessarie per raggiungere nel 2011 l’0,70 del PIL, ma
di costruire un dialogo euroafricano di tipo nuovo,
dove ciascuno e’ davvero protagonista alla pari,
nell’ascolto gli uni degli altri, per elaborare una
politica comune e condivisa, che favorisca la crescita
insieme dell’Unione Africana e dell’Unione Europea.
Oggi l’Africa ci consegna la grande cultura di Nelson
Mandela e domanda pace e riconciliazione, abbattendo
il muro di povertà che divide il sud dal nord del
mondo. L’Europa e l’Italia devono essere all’altezza
di questa sfida, favorendo il rinnovamento della
classe dirigente africana, sostenendo il decentramento
politico e amministrativo, che oggi appare uno dei
luoghi decisivi, su cui costruire il  nuovo governo
del continente. Si sconfiggono le grandi pandemie, che
uccidono milioni di bambini, e si abbatte la fame e la
siccità, non con la retorica dell’assistenza e
dell’umanitarismo compassionevole, ma con grandi
politiche, che valorizzino la società civile africana
nelle sue forme di autogoverno, e che sostengano i
governi africani più coraggiosi e innovativi. L’Africa
ha grandi risorse umane ed economiche e riconciliarsi
con l’Africa significa non solo riconoscere gli errori
di una politica europea coloniale, che ha puntato al
dominio, una politica che ha ucciso generazioni di
africani, ma costruire una politica nuova, che faccia
dell’Europa e dell’Africa un unico soggetto di pace,
di sviluppo e di stabilità nel mondo.

Questi cinque punti, sono per il partito democratico
come i cinque libri della Legge. Senza misurarsi su di
essi, la pace diventa retorica, parola vuota e
insignificante. Assumendo questi cinque punti è
possibile costruire una nuova cultura della pace .
In questo contesto e’ necessario arrivare il più
rapidamente possibile all’approvazione della nuova
legge sulla cooperazione internazionale, che dia
strumenti nuovi per una cooperazione all’altezza dei
tempi, che sappia coniugare riconciliazione e
democrazia, sviluppo e diritti umani. La cooperazione
come pezzo di una grande politica estera di pace con
il sud del mondo e con i paesi in guerra,uscendo dai
fragili e resistenti recinti dell’umanitarismo
compassionevole e dell’economicismo sviluppista.
Su questo chiediamo una risposta seria e vigorosa ai
candidati alla responsabilità di segretario. A noi
preme una politica di pace, che non si chiuda nei
vecchi recinti dell’ideologia, ma che sappia misurarsi
sulle sfide drammatiche del mondo, la dove si gioca la
vita di milioni di persone. Affidiamo questa
riflessione a tutto il nuovo partito, che sta
nascendo, perchè sulla pace non si può essere timidi.
La pace e la riconciliazione sono i nuovi nomi del
futuro. 
                                                      
                              
    Massimo Toschi
    

















> 
> 
> Cara amica, caro amico,
> 
> non c'è pace senza una politica di pace. Lo abbiamo
> detto e 
> ripetuto tante volte. Se il mondo continua ad andare
> nella direzione 
> sbagliata è perché c'è una politica malata, una
> politica basata 
> sulla guerra, sulla volontà di potenza e sullo
> sfruttamento. Ma non 
> c'è un'alternativa alla mala politica se non
> costruirne una 
> nuova, davvero nuova, fondata sui diritti e i
> bisogni delle persone.
> 
> La prossima Marcia Perugia-Assisi vuole riunire
> tutti coloro che si 
> vogliono impegnare a costruire la pace costruendo,
> dal basso, una 
> nuova politica genuinamente nuova che si impegni a
> salvare dalla 
> morte certa coloro che sono ancora privati dei
> fondamentali diritti; 
> una politica che metta al bando la guerra e
> riconosca la pace come 
> diritto fondamentale della persona e dei popoli; una
> politica 
> impegnata a costruire la pace tra i popoli e tra le
> persone, tra gli 
> stati e dentro gli stati; una politica tesa a
> difendere e attuare, 
> secondo principi di giustizia fatti propri dal
> diritto internazionale 
> dei diritti umani, il bene comune universale e a
> costruire un ordine 
> internazionale pacifico e democratico; una politica
> impegnata a 
> riconoscere, garantire e promuovere i diritti umani,
> la solidarietà e 
> la responsabilità di tutti.
> 
> Questo abbiamo scritto nell'appello di convocazione
> della Marcia per 
> la pace Perugia-Assisi che si svolgerà domenica 7
> ottobre 2007 con lo 
> slogan "tutti i diritti umani per tutti".
> 
> Ti invitiamo a diffondere questo appello e a fare
> ogni sforzo per 
> sollecitare la più ampia partecipazione alla Marcia
> e alle iniziative 
> che la precederanno. La settima Assemblea dell'Onu
> dei Popoli e la 
> terza Assemblea dell'Onu dei Giovani, convocate
> rispettivamente a 
> Perugia e a Terni il 5 e 6 ottobre prima della
> Marcia, saranno 
> un'occasione unica per approfondire questi temi e a
> rafforzare il 
> nostro comune impegno.
> 
> Come sai, puoi trovare tutte le informazioni sul
> sito www.perlapace.it.
> 
> Contiamo sulla tua collaborazione.
> 
> 
> Flavio Lotti e Grazia Bellini
> Coordinatori nazionali
> 
> Tavola della pace
> 
> 
> 
> Perugia, 22 settembre 2007
> 
> 
> Allegato: Appello Marcia per la pace Perugia-Assisi
> - 7 ottobre 2007
> 
>   ***
> 
> "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in
> dignità e diritti."
> 
> Eppure, ancora oggi, alla vigilia del 60°
> anniversario della 
> Dichiarazione Universale dei Diritti Umani,
> centinaia di milioni di 
> persone sono costrette a sopravvivere e spesso a
> morire senza 
> conoscere il sapore della pace, della libertà, della
> giustizia e 
> della democrazia. E' intollerabile!
> 
> 
> Domenica 7 ottobre 2007
> 
> Marcia Perugia-Assisi
> 
> per la pace e la giustizia promuoviamo insieme
> 
> "tutti i diritti umani
> 
> per tutti"
> 
> 
> 
> Appello
> 
> "La riduzione del fatto "guerra" va accompagnata con
> la 
> capacità di costruire la pace, di dare un sale ad
> essa, di riferirla 
> ad un nuovo uomo, e nuova società, e nuova realtà".
>   Aldo Capitini
> 
> 
> Il mondo ha bisogno urgente di una politica nuova e
> di una nuova 
> cultura politica nonviolenta fondata sui diritti
> umani. Appelli, 
> allarmi, rapporti e proposte continuano ad essere
> deliberatamente 
> ignorati da coloro che hanno il dovere e la
> possibilità 
> d'intervenire. Più passa il tempo più i problemi si
> aggravano e le 
> soluzioni che ieri sembravano a portata di mano oggi
> diventano più 
> difficili. Sempre più spesso la politica interviene
> quando 
> l'emergenza è esplosa, rivelando così la sua
> crescente incapacità 
> di prevenire e risolvere i problemi. Il risultato è
> che il mondo 
> diventa sempre più fragile, violento, ingiusto e
> insicuro. Crescono 
> le sofferenze delle persone, le disuguaglianze, le
> ingiustizie, lo 
> sfruttamento, l'esclusione, l'illegalità, le
> violazioni dei 
> diritti umani, l'intolleranza, il razzismo,
> l'impoverimento, la 
> disoccupazione, la precarietà e la violazione dei
> fondamentali 
> diritti del lavoro, la devastazione ambientale e la
> distruzione delle 
> risorse naturali, la mercificazione dei beni comuni
> universali, il 
> ricorso alla violenza, alla guerra e alla giustizia
> "fai-da-te", i 
> traffici di ogni tipo di arma. Per questo si
> diffondono tra le 
> persone, anche nel nostro paese, preoccupazione e
> insicurezza, 
> risentimenti, nazionalismi e conflitti e, allo
> stesso tempo, si 
> aggrava l'indifferenza e l'egoismo.
> Eppure la storia non è fatale. Per quanto la
> situazione 
> dell'umanità sia grave e complicata, c'è sempre la
> possibilità 
> di trovare un'alternativa. Guardiamo ai segni dei
> tempi, ci 
> accorgeremo che le alternative esistono e che le
> esperienze positive 
> non mancano. Quello che manca, e che dobbiamo invece
> rivendicare con 
> forza, è una politica genuinamente nuova che si
> impegni a salvare 
> dalla morte certa coloro che sono ancora privati dei
> fondamentali 
> diritti; una politica che metta al bando la guerra e
> riconosca la 
> pace come diritto fondamentale della persona e dei
> popoli; una 
> politica impegnata a costruire la pace tra i popoli
> e tra le persone, 
> tra gli stati e dentro gli stati; una politica tesa
> a difendere e 
> attuare, secondo principi di giustizia fatti propri
> dal diritto 
> internazionale dei diritti umani, il bene comune
> universale e a 
> costruire un ordine internazionale pacifico e
> democratico; una 
> politica impegnata a riconoscere, garantire e
> promuovere i diritti 
> umani, la solidarietà e la responsabilità di tutti.
> 
> In presenza di un pericolo maggiore occorre
> mobilitare maggiori 
> energie. Quanto più si aggrava la crisi della
> politica, 
=== message truncated ===





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