come rottamare la bellezza della città





Come rottamare la bellezza della città (Milano)

di Lodo Meneghetti  
giovedì 4 aprile 2013 
 
Si è cominciato tre decenni
fa con i parcheggi sotterranei, inventati da un'amministrazione di sinistra,
e si è continuato intensamente

1 - Si è cominciato tre decenni fa con i parcheggi sotterranei, inventati da
un'amministrazione di sinistra, e si è continuato intensamente con le giunte
di Formentini, Albertini, Letizia Moratti oscillanti fra leghismo e
centrodestra. Sono stati presi di mira gli spazi urbani più belli,
soprattutto le piazze monumentali e/o alberate, i giardini, certe strade
tranquille. Localizzazione preferita il centro storico, la parte di città
all'interno della circonvallazione dei bastioni spagnoli, quasi che si
volesse, anche, contrastare qualsiasi ipotesi di moderazione del traffico,
giacché i garage, giustificati come utili ai residenti, funzionano in buona
parte come parcheggi a rotazione per le provenienze extra-moenia e
richiamano le auto come una lampada le farfalle notturne.

Luoghi amati dai milanesi per la loro affabilità hanno subito inaudite
violenze. Lunghe citazioni servirebbero a poco a chi non conosce Milano. Mi
limito a segnalare, fra due centinaia di casi, due fra quelli più
scandalosi: il primo dei parcheggi realizzati in pieno centro monumentale,
Piazza Borromeo (chiesa, palazzo, tipiche case milanesi), sei piani
sotterranei, superficie completamente stravolta dalle rampe e dal forte
rialzo per metà piazza, necessario a quei tempi per garantire diverse
provvidenze tecnologiche; uno degli ultimi, tuttora in costruzione, quello
di Piazza Sant'Ambrogio, pressoché addossato al fianco della basilica. È
questo il parcheggio che l'attuale amministrazione non ha potuto o voluto
cancellare a causa, si è detto, di obblighi contrattuali fra impresa di
costruzioni e municipio. Sant'Ambrogio non ha fatto il miracolo richiesto.

Per qualche altro luogo, incredibilmente prescelto nonostante l'altissima
qualità urbana e architettonica, la giunta comunale è riuscita ad ottenere la cancellazione o, per ora, la sospensione del progetto. Come Piazza
Lavater, uno spazio contraddistinto da numerosi e grandi celtis (bagolari)
sottoposto a un progetto di distruzione dell'inusuale bellezza arborea, però
difesa con lotta indefessa dai residenti alla fine vincenti. Come, poi, i
due casi di certo noti fuori dei confini milanesi tanto sarebbe stata
assurda, spaventosa la realizzazione: il silo sotto la darsena dei Navigli a
Porta Ticinese (proprio di sotto all'acqua del "Porto di Milano", non si
vorrà credere) e quello di Piazza Fontana, lo spazio a poche decine di metri
dall'abside del Duomo ruotante attorno all'incantevole fontana del
Piermarini e al cerchio dell'alberatura.
Onore all'amministrazione comunale per questi successi, ma resta la gran
quantità di profonde ferite apportate alla città da una politica insensata e
nessuno potrà guarirle.

2 - Come a far da contrappeso allo sconvolgimento di suolo e sottosuolo,
vige da oltre tre lustri la politica edilizia del "riutilizzo abitativo" dei
sottotetti in origine non abitabili. La quale, sempre più allargata a
modalità esecutive liberiste, ha prodotto non solo orribili fastigi su bei
palazzi dell'Ottocento e del Novecento ma si è risolta infine in liberi
sopralzi di uno e due piani specialmente nel centro storico, memorabili per
incoerenza e bruttezza. Dieci anni fa i casi accertati erano circa 4.500;
quanti saranno ora che nessuna strada o piazza fra le più pregiate dal punto
di vista storico e urbanistico-architettonico è stata risparmiata? Persino
la più famosa strada di Milano, Via Dante, che apre l'eccezionale
prospettiva verso il Castello, la strada di palazzi ottocenteschi sorta
attraverso la pianificazione e il coordinamento delle sue parti
architettoniche, non ultima la comune altezza di gronda, presenta ormai
diversi sopralzi accettati nelle loro stupide differenze, quasi a porre
l'accento su una sorta di liberismo architettonico sbeffeggiante l'esigenza
estetica originaria tutta rivolta all'unitarietà.

"La distruzione della linea del cielo milanese", questo il titolo di un mio
articolo apparso in eddyburg il 10 dicembre 2003, poi completato da altre
informazioni sotto lo stesso titolo parte seconda il 24 giugno 2004. Sono
passati dieci anni, è cambiata l'amministrazione comunale ma niente è
cambiato sotto il cielo. La giunta di sinistra non ha voluto ostacolare
questo volo di corvi sui bei tetti tegolati milanesi. Anzi, pare favorirlo
poiché ora i sopralzi non si riferiscono necessariamente alla presenza di
sottotetti, si chiedono uno o due piani in più, in qualsiasi situazione si
presenti il palazzo in causa, e si ottengono. Non escludo che abbia
funzionato una delle false motivazioni originarie dei legislatori regionali,
l'opportunità di "contenere il consumo di suolo" (locuzione che ormai fa
raggrinzire la pelle tanto è frusta, inflazionata dall'uso a sproposito).

Ma quale risparmio di suolo. Nell'ultimo decennio, mentre imperversa la
devastazione della città storica, spacciata per moderna "densificazione"
(altro termine insopportabile), vi si affiancano grandi interventi del tutto
privi di definizione e coordinamento urbanistici, per lo più in forma di
bizzarri grattacieli e comunque invadenti spazi ben altrimenti restituibili
alla forma della città. Così la Milano una volta ricca di senso urbano e
sociale è accompagnata verso la sua disintegrazione (City Life - area della
vecchia Fiera, Garibaldi Repubblica, l'Isola, Montecity Rogoredo, Pioltello
ex Alfa, Cascina Merlata, la Stephenson dai desiderati cinquanta
grattacieli, aree presso la zona dell'Expo, l'Expo stessa preludio della
futura speculazione immobiliare garantita ai proprietari dei suoli agricoli,
diverse altre aree sparse qua e là ma sempre contrassegnate da volumi
immensi, irrilevante essendo l'eventualità che restino vuoti.

3 - Ultimo attacco alla bellezza urbana. Un ordine del giorno proposto in
Consiglio comunale dalla minoranza di centrodestra, condiviso dal sindaco,
da tutto il centrosinistra e dai Consigli di zona vuole imporre la
sostituzione con l'asfalto delle antiche pavimentazioni in grossi masselli
di pietra (pavé) e mette in discussione persino le strade in cubetti di
porfido oltre a quelle, poche e magnifiche, ancora dotate dei ciottoli di
fiume e delle grandi lastre di granito per il trottatoio e i marciapiedi non
rialzati. Riguardo ai masselli, largamente predominanti, i giunti fra le
lastre e le frequenti sconnessioni sarebbero un grave pericolo per le
biciclette e soprattutto per le motociclette che, come ho già segnalato in
Eddyburg, sfrecciano a sciami dappertutto a forte velocità e invadono anche
ogni spazio improprio come i marciapiedi e i portici. L'abolizione delle
lastre sembrava inizialmente limitata alle zone fuori dal centro storico per
il quale esiste un vincolo della soprintendenza.

Ma i proponenti, forse accortisi della scarsa o nessuna presenza lì di
questo tipo di pavimentazione, ora speculano sulla parola "centro" e
accetterebbero la conservazione dei masselli solo all'interno della cerchia
del Naviglio, il piccolo nucleo "centrale" poco abitato e dominato dalle
attività commerciali e finanziarie oltre che dal turismo. Ma poiché è
proprio il pavé a identificare una parte rilevante dello spazio compreso fra
la cerchia del Naviglio e la cerchia spagnola, è qui che si concentrerà la
trasformazione della bellezza lapidea in bruttezza e brutalità dell'asfalto.
È sorprendente la mancanza di opposizione a tale programma da parte sia
della politica di sinistra sia della cultura urbanistica e architettonica.
Nella narrazione di storie milanesi, per l'epoca in cui circolavano
biciclette ben più di adesso, come in tutte le città di pianura, non ci sono
accenni a proteste contro il fondo stradale ora tanto colpevolizzato.

Perché non scegliere la soluzione più logica e conveniente: una manutenzione
accurata della superficie, in particolare riguardo alle sconnessioni e alla
verifica dei giunti con eventuale sigillatura. Manutenzione mai
effettivamente eseguita a regola d'arte negli anni correnti. Quanto alle
motociclette, il mezzo di trasporto che sembra stare più a cuore agli
amministratori e alla polizia locale tanto è diffuso l'abuso di
comportamento accettato se non favorito: perché non stabilire un basso
limite di velocità che ostacoli quell'impressionante correre per il centro
come fosse un autodromo in tempo di gare? È questo, non il pavé, il vero
pericolo per gli stessi motociclisti e per tutti gli altri utenti della
strada.

Milano, 4 aprile 2013