democrazia urbana la città di tutti



da Eddyburg
 
La città: quale futuro?

Democrazia urbana a pedali
Data di pubblicazione: 01.10.2012

Un intervento di Marc Augé e un indipendente articolo economico di Fabio Tonacci uniti da un denominatore comune. La Repubblica, 1 ottobre 2012, postilla. (f.b.)

La Città di Tutti
di Marc Augé,

La città non smette di espandersi. La maggioranza della popolazione mondiale vive in città e la tendenza è irreversibile. L’urbanizzazione del mondo trasforma la città, potremmo notare andando un po’ oltre. Verso quale città quindi si precipitano oggi i migranti?Il fenomeno dell’urbanizzazione generalizzata corrisponde più o meno a quello che chiamiamo globalizzazione per designare la generalizzazione del mercato, l’interdipendenza economica e finanziaria, l’estensione delle vie di circolazione e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione elettronica. Da questo punto di vista, si potrebbe dire che il mondo è come un’immensa città. Il “mondo città”, come ho proposto di chiamarlo, è caratterizzato dalla mobilità e dalla standardizzazione.

Sotto un altro aspetto, le grandi metropoli si espandono e vi si trova ogni diversità (etnica, religiosa, sociale, economica), ma anche tutte le divisioni del mondo. Così si può opporre la “città mondo”, le sue divisioni, i suoi punti di stabilità e i suoi contrasti, al “mondo città”, che ne costituisce il contesto globale e che appone in maniera spettacolare su alcuni punti salienti del paesaggio urbano il suo marchio estetico e funzionale: grattacieli, aeroporti, centri commerciali e parchi di divertimento.

Più la grande città si espande, più essa si “decentra”. I “centri storici” diventano musei visitati da turisti stranieri e luoghi di consumi di ogni genere. I prezzi lì sono elevati e il centro delle città è sempre di più abitato da una popolazione agiata. L’attività produttiva e talvolta culturale si sposta “extra-muros”. I trasporti sono il problema principale dell’agglomerato urbano. Le distanze tra l’abitazione e il luogo di lavoro sono spesso considerevoli. Il tessuto urbano si espande lungo le vie di circolazione, i fiumi e le coste. (...) Come ritrovare la città perduta? Nel mondo globale la risposta si impone in termini di spazio: ripensare il locale. Malgrado le illusioni diffuse dalle tecnologie della comunicazione, dalla televisione a internet, noi viviamo là dove viviamo. L'ubiquità e l'istantaneità restano metafore. L'importante, con i mezzi di comunicazione, è prenderli per quello che sono: mezzi suscettibili di facilitare la vita, ma non di sostituirla. Da questo punto di vista, il compito da portare a termine è immenso.

Si tratta di evitare che la sovrabbondanza di immagini e di messaggi porti a nuove forme di isolamento. Per frenare questa deriva, già osservabile, le soluzioni saranno necessariamente spaziali, locali e, per dire tutto, nel senso largo del termine, politiche. Come conciliare nello spazio urbano il senso del luogo e la libertà del non-luogo? È da considerare l'idea di ripensare la città nel suo insieme e l'alloggio nei suoi dettagli?Una città non è un arcipelago, l'illusione creata da Le Corbusier di una vita centrata sulla logica e l'unità di abitazione collettiva ha portato ai palazzi a schiera delle nostre banlieues, abbandonate abbastanza velocemente dai commerci e dai servizi che dovevanorenderle eminentemente vivibili. È stata trascurata la necessità della relazione sociale e del contatto con l'esterno. (...) Cos'è che, nelle città reali, evoca qualcosa di quella che noi potremmo considerare come la città ideale? Mi vengono in mente due esempi. Io li idealizzo certamente, ma è proprio di questo che si sta parlando: trovare delle tracce di ideale.

Il primo esempio, di gran lunga il più convincente, è quello delle città di media grandezza del Nord Italia, come Parma o Modena. Nel centro di queste città la vita è intensa, la pubblica piazza resta un luogo di incontro, si gira in bicicletta,si costeggiano con naturalezza i luoghi storici importanti. Il visitatore di passaggio ha la sensazione di poter scivolare nell'intimità di questo mondo amabile senza farsi notare, di stabilire delle relazioni senza essere costretto e di passare d una città all'altra per il semplice piacere degli occhi.Ma, si obietterà, bisogna davvero chiuderli, gli occhi, per ignorare tutto ciò che contrasta questa visione da turista miope: la povertà, l'immigrazione, gli atteggiamenti di rifiuto... Ancora una volta, io mi soffermo qui sull'ideale, che esige, in effetti, una sorta di miopia. Altro esempio: la vita di quartiere in un distretto parigino; potrebbero essere citati ben altri esempi e si sa che nelle più grandi metropoli del mondo (Mexico, Chicago) sono intensamente attive alcune forme di vita sociale. La vita di quartiere è quella che si può osservare per strada, presso i commercianti, nei cafés... (...) Cosa concludere in pratica da questi indizi sparsi? Che ogni programma d'insieme e ogni progetto al dettaglio riguardanti la città dovrebbero associare vari tipi di riflessione: una riflessione da urbanista sulle frontiere e gli equilibri interni dei corpi della città; una riflessione da architetto sulle continuità e sulle rotture di stile; una riflessione antropologica sulle logiche odierne, che deveconciliare la necessità di aperture multiple verso l'esterno e il bisogno d'intimità privata.

Si tratta di una vasta opera di “rammendo” (nel senso che una volta le sartorie e le “rammagliatrici” rammendavano i vestiti strappati e i filati rozzi). Si dovrebbe, nella misura del possibile, ritracciare delle frontiere tra i luoghi, tra l'urbano e il rurale, tra il centro e le periferie. Delle frontiere, vale a dire delle soglie, dei passaggi, delle porte ufficiali, per far saltare le barriere invisibili dell'esclusione implicita. Bisogna ridare la parola al paesaggio. Si potrebbe assegnarsi a lungo termine il compito di rimodellare un paesaggio urbano moderno, nel senso inteso da Baudelaire, in cui gli stili e le epoche si mescolerebbero consapevolmente, come le classi sociali – i comuni e i distretti delle città in Francia hanno l'obbligo di una certa percentuale di “alloggi sociali”, ma, oltre al fatto che quest'obbligo è spesso aggirato, succede spesso che si produca un effetto di stigmatizzazione, attraverso lo stile e il materiale.

(...)Così formulato l'ideale è utopico e non è chiaramente di sola competenza dell'architetto. Ma la materia dell'ideale, o dell'utopia è già là. Torno per concludere all'immagine della sartoria e della rammagliatrice. Questa non è esclusiva né dei grandi progetti che possono offrire bellezza a ogni sguardo, né del rimodellamento dei grandi paesaggi dove ciascuno può perdersi e ritrovarsi. Vuole solamente ricordare che tutto comincia e tutto finisce con l'individuo più modesto, e che, se non lo riguardano almeno un po', le più grandi imprese sono vane.Forse un giorno il pianeta si presenterà come un insieme unico e compiuto. Noi cominciamo oggi a percepirlo così, dal momento in cui prestiamo attenzione alle opere di qualche grande nome dell'architettura che si fanno eco da un capo all'altro del pianeta o allo sviluppo dei mezzi di comunicazione elettronica che definiscono la “metacittà virtuale” di Paul Virilio. Bisogna sperare che quel giorno avremo trovato il mezzo per fornire a questo immenso mondo-città l'energia necessaria per il suo funzionamento armonioso. Ma bisogna anche dirsi che è sull'organizzazione delle relazioni tra gli esseri umani che si misurerà la riuscita o il fallimento di questa impresa, utopia realizzata o fine del mondo programmata, e quindi sulla nostra capacità di invertire il processo attuale di aumento dello scarto tra ricchi e poveri, colti e ignoranti. L'energia necessaria a questa impresa gigantesca, che è la sola che valga, perché in ogni individuo è scritto il necessario ideale di conoscenza proprio dell'uomo generico, è essenzialmente mentale e fa appello alle qualità fondamentali dell'individuo umano: intelligenza, volontà e immaginazione.

Il sorpasso a pedali così le biciclette vendute hanno superato le auto
di Fabio Tonacci

UNO scarto minimo, se la si butta in matematica. In realtà simbolico di come le due ruote stiano marciando alla conquista del cuore degli italiani. Perché è vero, la crisi, e sì, c’è maggiore attenzione all’ambiente, ma quel dato racconta una rivoluzione degli stili di vita.Rivoluzione positiva, se ha senso quel che ripeteva in continuazione lo scrittore inglese di fantascienza Herbert George Wells: “Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta penso che per il genere umano ci sia ancora speranza”. La fantascienza è diventata realtà, la bicicletta oggi si vende più della macchina. E anche se dall’altro lato della medaglia si scorge la più grave crisi del settore automobilistico degli ultimi decenni (il mercato è ripiombato ai livelli del 1964, ad agosto si è avuta la nona contrazione consecutiva a due cifre, con un meno 20 per cento di vendita rispetto al 2011), qualcosa si muove in avanti.

Anche perché alle biciclette vendute vanno aggiunti 200 mila restauri. Racconta Pietro Nigrelli, direttore del settore cicli di Confindustria Ancma: «Sempre più gente decide di recuperare vecchi modelli ritrovati in garage o in cantina. Con 100-150 euro i negozi specializzati, ce ne sono 2700 sparsi in Italia, ti propongono un restyling completo, seguendo le mode del momento: manubrio dritto, ruote colorate con lo scatto fisso (senza movimento libero dei pedali,ndr),telaio riverniciato. Così si valorizzano bici vecchie ma che erano fatte su misura, con telai d’acciaio».

Insomma, ci piacciono talmente tanto che andiamo a recuperarle tra i bauli e la polvere delle cantine. Ma perché? Cos’è cambiato? La crisi, il prezzo della benzina arrivato a 2 euro al litro ei 7 mila euro all’anno (calcolati da Federconsumatori) per mantenere l’auto ci hanno sicuramente convinto a pedalare di più. «Ma non è solo questo — sostiene Nigrelli — il segreto del successo stanel fatto che la bici èeasy,facile da usare, costa poco, è maneggevole, comoda, oggi anchehi-technelle versioni ibride ed elettriche. Su un tratto di 5 km batte qualsiasi altro mezzo». Sarà per questoche è l’unico mezzo di trasporto privato che non ha subito un crollo di vendita.

I produttori ne fanno di pieghevoli, a tre ruote, rétro, anfibie, senza pedali, placcate d’oro e inpelle di struzzo per chi vuole sì pedalare, ma conglamour.Si usa per andare al lavoro, per spostarsi in città, per fare le gite. Eccolo, un altro motivo del successo: la vacanza a pedali. «La tendenza è quella di ricercare sempre di più il “turismo personalizzato” — dice Franco Isetti, presidente del Touring Club Italiano — le persone scelgono da sole mete e itinerari non omologati, che uniscono la visita ai beni culturali, il tour enogastronomico e il contatto con l’ambiente e i centri storici. La bicicletta è il mezzo ideale, il più semplice per coniugare tutto questo. Oltretutto, con i modelli ibridi la pedalata assistita e la possibilità di sfruttare anche il motore elettrico, si è aperto ilmercato ai più anziani».

Il sorpasso della bicicletta sull’automobile è avvenuto anche in Germania. C’era da aspettarselo, lì le città sono decisamente “bikefriendly”,grazie al record europeo: 40 mila km di piste ciclabili. In Italia l’ultimo finanziamento ad hoc risale a 13 anni fa. «Questo rinnovato amore — ragiona Antonio Della Venezia, presidente della Federazione italiana amici della bicicletta — aprirà la mentalità a chi ha sempre usato soltanto l’auto. Non credo che l’Italia tornerà ai livelli di vendita di auto precedenti al 2008. È l’occasione per cambiare stile di vita».

Postilla
Giusto oggi il Corriere della Sera Milano ricorda in prima pagina:
“A migliaia in bicicletta con il Fai. È bastato un raggio di sole per mettere tutti in bicicletta. Oltre sedicimila persone hanno partecipato alla seconda edizione della «Via Lattea, alla scoperta del Parco agricolo Sud», evento organizzato dal Fai Lombardia con Expo. Una giornata nel verde. Tra boschi, cascine e canali navigabili”.
Un meritato successo che rischia però di offuscare per l’ennesima volta l’aspetto più interessante che accomuna i due articoli da Repubblica (del tutto indipendenti e in sezioni diverse del giornale) che qui si sono voluti accostare: il ruolo centrale che può avere un nuovo strumento tecnico apparentemente banale come la bicicletta nel ricostruire identità urbana e coesione sociale. Ovvero ben oltre gli aspetti abbastanza asetticamente ambientali con cui la si dipinge oggi.
Non a caso Augé cita l’urbanistica del razionalismo come momento di rottura novecentesco rispetto al tema del rapporto città-società: è proprio l’accettazione, tipica delle avanguardie, della full immersion nel ritmo della macchina ad aver in parte travisato il senso del rapporto fra spazi e vita, individuale e di relazione. Oggi, usciti almeno dal frullino industrialista, forse abbiamo l’occasione di cominciare a ripensare la metropoli del futuro, anche secondo questa prospettiva, senza dimenticarne altre ovviamente, come quelle legate allo sviluppo (crescita o non crescita) o al rapporto con l’ambiente in generale, tema che ad esempio sarà discusso questa settimana al grande convegno sulla Biodiversità Urbana di Hyderabad. Fondamentale, almeno per chi si dice progressista, è evitare - per questi aspetti come per altri di rivolgere troppo lo sguardo esclusivamente al passato, con mal poste nostalgie per il bel tempo che fu, e recuperare se mai per il presente e il futuro le intuizioni straordinarie che dalla storia ci arrivano. In urbanistica ad esempio la teoria dell’unità di vicinato, non nella versione avanguardista tecnocratica declinata dagli anni ’30 in poi, ma nelle radici sociologiche da cui nasce, e che sono precedenti alla prima guerra mondiale: riflessioni sui servizi, e solo successivamente sulle forme spaziali. Argomenti si cui anche in questo sito e dintorni si prova a tornare appena possibile (f.b.)