R: se anche il mercato riprendesse la fiat arriverebbe in ritardo.



INTERVENTO DI RISPOSTA.


Non é ben chiaro se le critiche dell'articolo sottostante sono rivolte alla Fiat la quale una volta produceva milioni di vetture di tutto rispetto, ai Sindacati che pretendevano di Governare le Industrie con il rischio e i capitali degli altri, alla Politica di scialacquoni che hanno distrutto il Paese con i costi esuberanti della Politica, che fra l'altro aveva creato un pozzo della finanza disponibile a volontà e piacere dei super Nababbi della Politica.


Oggi naturalmente parlano i meno adatti alle critiche non soltanto verso la Fiat, l'Ilva di Taranto, l'Alcoa in Sardegna, e le migliaia di Ditte che a livello Nazionale hanno chiuso i battenti o trasferite all'estero, le quali producevano lavoro e risorse per il Paese.


Abbiamo visto ed accertato che il danno che noi tutti stiamo vivendo da nord a sud dello Stivale, é stato provocato da una guerra aperta dappoi la costituzione della Repubblica dai vari Partiti Politici contro i voleri cittadini, e ancora oggi hanno mantenuto privilegi particolari ai danni della Nazione.

Oltre alle rimunerazioni ed addizionali del Potere dello Stato, siamo considerati il Paese con il maggior numero di corrotti Politici con un sistema di tassazione che uccide ogni fantasia di intraprendenza Industriale.


Il nuovo Governo che avrebbe dovuto punire lo sciacallaggio politico vecchio e nuovo per dare vita all'innovazione del Paese, ha seguito il sistema tradizionale, funzionando da salva gente per la Politica di coruzione e riversando sul Paese i danni di sessant'anni di misfatti con un debito pubblico da capogiro, la chiusura delle maggiori industrie, disoccupazione allarmante, perdita di rispetto all'estero, le prigioni super affollate in conseguenza di politiche di parte, Sindacati inestenti al bisogno dei cittadini, e una massa di grandi parlatori senza alcun senso verso la realtà attuale.


Anni fa feci due proposte costruttive per il Paese, indirizzandole al Governo, alla Repubblica, al Ministero dell'Economia e dell'industria:

La prima consisteva nella costituzione di un Ente per risolvere tutte le mascalzonate commesse liberamente dalle Istituzioni a contatto diretto con i cittadini.

La seconda proponeva lo sviluppo di una scoperta per sfruttare una nuova Energia Naturale disponibile giorno e notte, pulita e per giunta gratuita la quale avrebbe ridotto il costo dell'energia elettrica ad un ventesimo del costo attuale. Il progetto significava una ripresa del nostro potere concorrenziale perso dal gravoso sistema attuale di produrre Energia Elettrica di cui circa il 70/80% di importazione del combustibile.


Per favore, non insistete nel proporre il Nucleare, le Pale Eoliche, il Fotovoltaico di cui siete a conoscenza aprossimativa della realtà.


I politici hanno sempre adottato il linguaggio delle capre, se qui non c'é più erba da mangiare vi auguriamo di trovarla più in la, in la, in la, ancora in la, mentre gli anni passano sul filo delle speranze, delle illusioni e della continuita strategica della Politica di parte.


Non si rendono conto che il Paese é (fu tutto) usando una espressione poetica settecentesca la quale era ed é sempre in attesa del messia politico capace di guidare la Nazione con determinazione etica ed onestà, nel rispetto del diritto alla vita con dignità. 


Anthony Ceresa.



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----Messaggio originale----
Da: lonanoda at tin.it
Data: 02/10/2012 11.33
A: "economia"<economia at peacelink.it>
Ogg: se anche il mercato riprendesse la fiat arriverebbe in ritardo

da Eddyburg
 

Se anche il mercato si riprendesse Fiat arriverebbe in ritardo
Data di pubblicazione: 24.09.2012

Autore: Gallino, Luciano

Nell’intervista di Oreste Pivetta l’autore di Finanzcapitalismo ricorda le ragioni di fondo della crisi della società opulenta (e dell'auto). L’Unità, 24 settembre 2012

Forse era tutto scritto nell’accordo Fiat-Chrysler: tecnologie agli americani, soldi agli azionisti italiani, cioè alla famiglia Agnelli, stabilimenti storici, da Mirafiori a Pomigliano, in vita finché la domanda di mercato avesse retto.

Le promesse di Marchionne, il progetto Italia, i venti miliardi di investimenti, un libro dei sogni che politica e buona parte del sindacato hanno letto, con malizia o con ingenuità, come un modo per tirare a campare, illudendo se stessi e illudendo buona parte di quanti nelle fabbriche Fiat si sono guadagnati da vivere e ci contavano ancora.

«Chi ha mai letto – commenta Luciano Gallino, sociologo e grande studioso dell’industria e del lavoro in Italia – una pagina di quel programma. Nelle mani di chi è mai stato consegnato un volume di centinaia di pagine in cui si dettagliassero progetti per la Fiat e conseguenze per l’indotto, in un quadro di enorme complicazione: basti dire che il futuro Fiat si sarebbe dovuto misurare con la realtà di ottocento fornitori. Niente. Quanto ci è stato riferito adesso, quanto siamo venuti a sapere, non aggiunge nulla, se non ancora una promessa, la promessa di Marchionne di investire quando il mercato riprenderà quota. Vaghe e soprattutto strane parole. Perché se davvero le vendite prima o poi dovessero riprendere, la Fiat arriverebbe inevitabilmente in ritardo, seguendo la strada indicata da Marchionne. Sappiamo bene quanto tempo sia necessario per progettare e mettere in produzione un nuovo modello. Due, tre anni? In un mercato ipoteticamente in rilancio, Marchionne si ripresenterebbe con modelli vecchi? Per perdere un altro giro? Siamo alla ripetizione di una scena già vista: non abbiamo ascoltato null’altro che dichiarazioni generiche, senza una prospettiva, senza una novità, senza una invenzione. Faccio un esempio: una grande impresa automobilistica non è detto debba produrre solo proprie automobili, potrebbe realizzare anche parti per altre imprese, motori o pianali. Non mi sembra che Marchionne abbia mai esplorato una
sibilità del genere».

Il manager italiano più americano, come lo hanno definito alcuni, o il solerte funzionario di un dipartimento Usa, come lo hanno definito altri, probabilmente sa di finanza, molto meno di auto. Ma, allora, professor Gallino, dobbiamo rassegnarci al ridimensionamento e al declino della Fiat in Italia?

«Ridimensionamento e declino appartengono alla storia degli ultimi decenni. Negli anni novanta la Fiat produceva due milioni di vetture, che sono diventate un milione, ottocentomila, mezzo milione. Adesso siamo a quattrocentomila. Queste sono cifre che dicono tutto. A proposito del passato e a proposito del futuro. Pensiamo al calo degli occupati, anche se in questo caso entrano in gioco nuove tecnologie che hanno consentito di ridurre pesantemente il numero degli addetti».

Il governo deve accontentarsi di ascoltare Marchionne o ha strumenti per intervenire? Ammesso che abbia i soldi...


«È difficile immaginare nuovi incentivi. In passato si usò l’arma della rottamazione. Adesso si finirebbe con il favorire i produttori stranieri più che la Fiat. Se la Fiat non avesse chiuso Irisbus, si sarebbe potuto pensare a un intervento di Stato e Regioni per rinnovare un parco autobus obsoleto, inquinante. Sarebbe stato un bel modo per favorire una mobilità sostenibile e collettiva, alternativa al mezzo privato. Ma non s’è mosso lo Stato, non si sono mosse le Regioni e non c’è più Irisbus. Peraltro costruire autobus non prevede l’automazione in atto nella produzione di auto. L’operazione è più complicata, chiede manodopera specializzata, vi sarebbe stato un bel vantaggio anche per l’impiego. Un autobus, a bilancio, pesa come cinque o dieci auto».

Le chiedo di nuovo: dobbiamo rassegnarci a perdere l’auto italiana?

«Non si può pensare di produrre all’infinito e con la stessa intensità di un tempo macchine, frigoriferi, elettrodomestici o altri tradizionali beni di consumo. Nell’auto non si tornerà mai ai livelli di produzione del 2007. Bisogna immaginare altri modelli di sviluppo, con il realismo di chi sa che non si cambia con un clic e sa che cosa significa dal punto di vista dell’occupazione l’auto, rampo di attività produttiva che riguarda chi costruisce,chi fornisce, chi (dai gommisti ai benzinai) garantisce la funzionalità del sistema. Detto questo bisogna pensare ad altro...».

Ma ci sono le idee? Soprattutto ci sono i soldi?


«Le idee ci sono. Dove intervenire: il dissesto idrogeologico, la scuola, i beni culturali, l’energia... Settori ad alta intensità e qualità professionale. I soldi? Quanti miliardi di euro ha consumato l’Unione europea per tenere in piedi banche e finanza? Poi ci si dice che non si può spendere per rilanciare l’industria».

L’ultima fotografia è quella di un governo che assiste impotente...


«Come sempre, quando non si sa che cosa, si istituisce una commissione che studierà oppure si apre un tavolo di trattativa. Politica industriale non se n’è fatta da tempo. Il governo dei professori è preda di una cultura neoliberale: aspettano che siano gli imprenditori e il mercato ad aggiustare le cose. Considerano lo Stato come il nemico e in frangenti come questi ritengono che lo Stato non debba far nulla. Salvo, appunto, pagare le banche».