il nuovo ambientalismo



da Eddyburg
 
Il nuovo ambientalismo
Data di pubblicazione: 31.03.2011

Stefano Rodotà, Guido Viale e Carlo Petrini commentano una delle (non molte)
novità positive che rischiarano l'orizzonte. La Repubblica, 31 marzo 2011

Dall´energia sicura all´acqua il ritorno degli ambientalisti
di Stefano Rodotà

La vittoria elettorale dei Grünen in Germania e la mobilitazione per i
referendum segnalano una ripresa della sensibilità per i temi verdi

Le coincidenze non sono mai figlie del caso. Soprattutto in politica. Di
questo bisogna tener conto nel valutare avvenimenti come il successo
elettorale dei Verdi tedeschi nel Baden-Wuerttemberg e nella
Renania-Palatinato, il raddoppio dei voti dei Verdi francesi nel primo turno
delle elezioni cantonali, la manifestazione italiana di sabato contro la
privatizzazione dell´acqua, che ha confermato un grande sostegno popolare
già reso visibile dal milione e mezzo di firme raccolte per promuovere il
referendum. Commentando il risultato di domenica, si è detto che uno tsunami
si è abbattuto sul sistema politico tedesco: un uso malizioso della parola,
con la quale si è voluto alludere sia ad una impetuosa crescita di consensi
che per la prima volta porterà un esponente dei Verdi a presiedere una delle
più importanti regioni della Germania; sia al molto più drammatico tsunami
giapponese, dando così al voto il significato di un referendum pro o contro
il nucleare, in qualche modo ridimensionando la portata politica del
successo verde.

Se è giusto non trarre frettolose e entusiastiche valutazioni dal voto
tedesco, è altrettanto vero che sarebbe sbagliato sottovalutare le ragioni
che indirizzano le attenzioni dei cittadini verso il movimento verde, quasi
che si trattasse di un riflesso emotivo destinato, prima o poi, ad essere
complessivamente riassorbito. L´ambientalismo delle origini si è affrancato
da molti schematismi, ha maturato analisi accorte delle dinamiche economiche
e sociali, ha contagiato settori diversi da quelli direttamente legati alla
tutela dell´ambiente naturale. È stata così messa a punto una agenda
politica rinnovata, sempre meno ideologica, anche se fondata su una
sottolineatura forte della necessità di una radicale messa in discussione di
alcuni criteri che continuano ad ispirare molte scelte economiche e
politiche, in primo luogo quelle volte ad una sorte di modernizzazione
forzata non accompagnata da una valutazione adeguata di tutte le sue
possibili conseguenze.

Due parole d´ordine degli ambientalisti - "disinquinare", valutare
l´"impatto" di decisioni pubbliche e private - sono divenute d´uso corrente
nel più generale lessico politico. E l´operazione di disinquinamento viene
riferita anche allo stesso ambiente politico, tanto che alcuni commentatori
hanno colto nel voto tedesco una forte richiesta di etica pubblica. Non è un
caso che quel voto abbia fortemente penalizzato i liberali, la cui immagine
era stata appunto inquinata dalla scoperta di un loro ministro in flagrante
peccato di plagio per la sua tesi di dottorato, e le cui immediate
dimissioni non sono riuscite ad arginare il discredito per il suo partito.
Vero è che l´Italia del centocinquantenario sembra ormai mitridatizzata
verso qualsiasi immoralità pubblica: ma forse il caso tedesco può dirci
qualcosa sulla convenienza politica di non fare sconti in tema di etica
civile.

Nell´agenda dei Verdi compare il reddito minimo garantito, al quale si
guarda come ad uno strumento che può eliminare molti inquinamenti
dell´ambiente sociale. Qui si coglie una significativa sintonia con una
sentenza della Corte costituzionale tedesca che, nel febbraio dell´anno
scorso, ha dichiarato illegittime alcune norme che contrastavano con il
"diritto fondamentale alla garanzia di un minimo vitale dignitoso". Ma i
Verdi seguono pure una indicazione che si trova nella Carta dei diritti
fondamentali dell´Unione europea, che in Italia ispira l´azione del neonato
Basic Income Network e che gli ambientalisti nostrani dovrebbero seriamente
prendere in considerazione se davvero vogliono intraprendere un non retorico
cammino costituente. Vi è poi il tema del disinquinamento dell´ambiente
informatico, che esige continue valutazioni d´impatto delle innovazioni,
come ci ricorda l´ultimo numero della rivista "Terminal", appena uscito in
Francia.

Ma l´ambientalismo ha trovato uno dei suoi più forti caratteri distintivi
nella centralità attribuita ai beni comuni - aria, acqua, salute, cibo,
conoscenza. Qui la frizione con la pura logica di mercato si fa più marcata
e i beni comuni si presentano come la proiezione nel mondo dei diritti
fondamentali che devono accompagnare ogni persona quale che sia il luogo in
cui si trova, quale che sia la sua condizione. Beni comuni e diritti di
cittadinanza si congiungono, dando all´azione politica anche una forte
portata simbolica, individuando le stesse precondizioni della convivenza
democratica. È bene non dimenticare, per evitare letture troppo appiattite
sulla sola vicenda nucleare, che poche settimane fa i cittadini di Berlino
avevano votato proprio contro la privatizzazione della gestione dell´acqua.
E si può aggiungere che in un´altra grande capitale, Parigi, il ritorno
della gestione dell´acqua in mano pubblica è stato voluto dal sindaco
socialista, Bertrand Delanoe, la cui elezione era stata resa possibile
dall´alleanza con i Verdi. Se, dunque, si vuole seriamente guardare al modo
in cui si costruisce oggi una agenda politica, il tema dei beni comuni è
destinato a rappresentare un riferimento ineludibile (che malinconia vedere
che il Pd si divide proprio sul referendum sull´acqua). Solo così, peraltro,
è possibile congiungersi con una Europa dove è necessaria un´azione convinta
per sfruttare tutte le opportunità offerte dalla Carta dei diritti con i
suoi riferimenti alle generazioni future, alla tutela dell´ambiente, allo
sviluppo sostenibile.

QUEI PROFETI DELL´AMBIENTE
di Guido Viale

La lezione del Club di Roma sui limiti dello sviluppo è stata completamente
dimenticata. E molti credono ancora che sia possibile il modello che prevede
una crescita e un prelievo di risorse illimitati

L´ambientalismo ha molti padri. Tra questi il primo è l´ecologismo in senso
stretto, che individua nell´interconnessione tra le diverse specie di un
territorio l´equilibrio che determina la "capacità di carico"
dell´ecosistema: oltre il quale vengono meno le basi della sopravvivenza.
Questo vale anche per il "carico" che la specie umana impone all´ambiente.
Pioniere di questo approccio, con una forte impronta etica, il naturalista
statunitense Aldo Leopold (1887-1948). Il secondo padre è consumerismo:
l´attenzione per i rischi connessi ai nostri consumi è stata gradualmente
estesa al ciclo di vita di questi beni e al loro impatto. In Germania
l´ambientalismo ha avuto fin dagli inizi fondamenti scientifici solidi
perché si è innestato su una cultura di del consumatore che in Italia è
stata sottovalutata; tanto che la proposta di Vittorio Foa (1910-2008) di
includere nella Costituzione la tutela del consumatore era stata bocciata.
In Italia hanno avuto invece un peso notevole, anche culturale, le lotte
sindacali per la tutela della salute e per il risanamento dei luoghi di
lavoro. Tra i padri di questa cultura, Ivar Oddone della Cgil di Torino e
Giulio Maccaccaro (1924-1977) dell´Università di Milano.

Un quarto filone è costituito dalle campagne per la tutela del paesaggio e
dei beni culturali. In prima fila fin dall´inizio in questo campo Italia
Nostra e il giornalista Antonio Cederna (1921-1996). Queste campagne, oggi
purtroppo trascurate, hanno innescato le mobilitazioni contro le centrali
nucleari che hanno tenuto a battesimo il movimento ambientalista italiano
negli anni ´80. C´è infine l´ambientalismo dell´establishment promosso dal
Club di Roma - fondato dall´italiano Aurelio Peccei (1908-1984) - con il
rapporto I limiti dello sviluppo (1972): uno studio che segnalava
l´impossibilità di procedere con una crescita economica e un prelievo di
risorse illimitati. Purtroppo le classi dirigenti di tutto il mondo hanno
dimenticato quella lezione e ripetono come un disco rotto che l´economia
deve "tornare a crescere". Alcuni paesi ci riescono, altri no; ma stanno
sempre peggio sia gli uni che gli altri.

Sembrava che con il summit mondiale di Rio de Janeiro (1992) fosse
intervenuto un ripensamento. Ma non era così. Oggi, eredi di quel tema - lo
"stato stazionario" dell´economista Herman Daly - sono i fautori delle
"decrescita felice": un obiettivo sacrosanto, in una formula che rasenta
l´ossimoro. Che provenisse dai vertici governativi, da sparuti gruppi
fondamentalisti o dall´associazionismo democratico, l´ambientalismo ha
vivacchiato per anni ai margini dei processi che governano l´economia
globale. Gli ambientalisti erano "per antonomasia" quelli che sanno dire
solo No. Le cose serie si facevano altrove, con l´industria, il petrolio, il
nucleare, gli ogm, la speculazione edilizia, gli inceneritori, la guerra.
«Volete ripulire il mondo? - ci veniva detto - Fate pure. Ma lasciatecelo
inquinare in pace; per il bene di tutti».

Non è più così. Le pratiche marginali e le battaglie di principio hanno
ceduto il passo alla consapevolezza che difendere l´ambiente è questione di
vita o di morte per l´intero pianeta; per salvarlo occorre prendere di petto
il sistema industriale e il modello di consumi che lo alimenta e promuovere
una riconversione radicale dell´apparato produttivo. "Conversione ecologica"
la chiamava Alex Langer (1946-1995). I semi del suo insegnamento
germogliano. Per ora sono solo idee e "buone pratiche". Presto saranno
fatti: imposti dalla forza e dalle ragioni di miliardi di uomini.

L´azione quotidiana
di Carlo Petrini

Un numero sempre crescente di persone considera la scelta del cibo come una
partecipazione al lavoro degli agricoltori che va remunerato per i servizi
che rende e non per i beni che immette sul mercato

Cosa c´è di nuovo in quello che si chiama "neo-ecologia"? Forse la novità
sta nella consapevolezza che quel che ci hanno insegnato, da bambini, a
chiamare "rispetto dell´ambiente" è fatto di tante cose legate tra di loro.
Oggi parliamo di sostenibilità, un concetto importante legato a un´idea
antica, il tempo. Ovvero il "quanto a lungo può reggere". È una bella parola
con una bella origine: si riferisce a un pedale del pianoforte, detto in
inglese "sustain", quello che serve per allungare le note, farle durare nel
tempo. Non per niente i francesi traducono con "durabilité", capacità di
durata.

La consapevolezza che quel che ci proponiamo di intraprendere, a livello di
comportamenti privati o pubblici o imprenditoriali deve poter durare nel
tempo e a tanti livelli (sociale, economico e ambientale) è uno degli
elementi chiave dell´ambientalismo di oggi. Quello di quarant´anni fa diceva
che l´Italia doveva puntare sul turismo e non sulla siderurgia. Ma poi non
controllava la devastazione di territorio che derivava dall´interpretare il
turismo come pura ricezione alberghiera. Rapinare le risorse naturali, farne
profitto privato e non pensare al futuro. Oggi al futuro ci si pensa, perché
nell´idea di sostenibilità c´è anche la consapevolezza che il futuro non è
roba nostra, così come non lo sono le risorse naturali. Sono patrimoni
condivisi, che tocca alle generazioni in vita preservare per quelle che
verranno.

Ma c´è di più. Per proteggere tutto quello di cui vogliamo godere e
tramandare non c´è un solo livello di azione: servono le grandi impostazioni
dei governi e le leggi. Ma servono, allo stesso modo, i gesti quotidiani e
le scelte individuali, i quali non sempre danno la precedenza al guadagnare
tempo e risparmiare denaro. Un crescente numero di cittadini, infatti,
considera il tempo speso nella scelta del cibo, come tempo investito nella
cura della propria salute e dell´ambiente, e i soldi utilizzati per
acquistarlo come una partecipazione a un mestiere, quello dell´agricoltore,
che va remunerato per i molti servizi che rende alla società e non solo per
i prodotti che immette sul mercato. Come, ad esempio, il modello dei Gas, i
gruppi di acquisto solidale.

Certo, c´è un lato meno luminoso, dove la parola "neo-ecolgismo" suona come
un rimprovero verso la politica "ufficiale". Proprio loro, che dovrebbero
guardare lontano, pianificare e proteggere, sono i primi a non vedere le
connessioni che risultano chiare a un numero crescente di famiglie. Perché
il livello degli individui è uno dei tanti, e oggi è certamente il più
attivo. Mentre il livello della politica, in particolare nel nostro paese, è
quello più svagato, più assente. Ecco perché oltre ai movimenti per
promuovere saggi comportamenti quotidiani si affiancano quelli contro il
nucleare, il consumo del territorio, o la privatizzazione dell´acqua. Non
siamo più nell´ambito privato: il movimento arriva dove la politica e le
istituzioni chiaramente falliscono. Si tratta di inediti protagonisti, quasi
sempre giovani, volti nuovi e sensibili al bene comune. Sarebbe auspicabile
che il palcoscenico dei media guardasse a queste persone, specie in
occasione dei prossimi referendum. Sono preparati, parlano linguaggi
accessibili e non sono inclini alle insopportabili risse televisive di una
casta che ormai bivacca nelle nostre televisioni.

È un ruolo importante quello assunto, in tanti modi e in tante forme, dai
neo-ecologisti: crescere come individui e come società e al contempo cercare
di limitare i danni creati da una politica inadeguata al momento e agli
obiettivi.