economia sostenibile: capire un nanotubo



da greenreport.it
 
Capire un nanotubo per un'economia sostenibile
4 marzo 2011

Gianfranco Bologna

ROMA. Poco più di una settimana dopo dall'uscita del GER, il Green Economy
Report del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) di cui ho parlato
nella scorsa rubrica, il 9 marzo prossimo a Roma, presso Palazzo De Carolis
(via del Corso, ingresso via Lata n.3) alle 10.30 Gunter Pauli, noto
economista e imprenditore, tra i fautori dell'impatto zero, fondatore della
Zeri Emissions Initiatives presso l'Università delle Nazioni Unite a Tokyo
negli anni Ottanta-Novanta, terrà l'Aurelio Peccei Lecture 2011.
Il tema della Lecture che è organizzata dal Wwf Italia e dalla Fondazione
Aurelio Peccei (Club di Roma Italia)  è quello del suo recentissimo libro
"Blue Economy" di cui ho curato l'edizione italiana (pubblicata da Edizioni
Ambiente) e del quale abbiamo già scritto in varie occasioni su queste
pagine.
Una critica che è stata sempre fatta all'impostazione che le Nazioni Unite
hanno dato al lancio di una Green Economy Initiative sin dal 2008 e che
tutta l'iniziativa è stata impostata con una forte accentuazione
all'internalizzazione delle ben note esternalità ambientali (al trovare cioè
meccanismi economici che consentano di far sì che il "costo" ambientale di
qualsiasi iniziativa venga correttamente contabilizzato e tenuto in conto
come componente di un costo complessivo e che non sia invece, "scaricato"
liberamente  sui sistemi naturali)  e all'accentazione dell'ecoefficienza
(fare cioè in modo che la produzione di beni e servizi preveda un minor
input di energia e materie prime).
Le motivazioni di questa critica sono abbastanza ovvie:
1. Non basta semplicemente incorporare i costi esterni scaturiti dai
processi economici perché ciò non risolve il problema ma è necessario, in
ogni caso, diminuire il nostro impatto, ridurre i flussi di materia e di
energia nei nostri sistemi sociali, basarci su approcci innovativi di
sufficienza:
2. L'ecoefficienza, e cioè fare lo stesso o di più (produzione di beni e
servizi) con meno input di energia e materia, non basta, serve solo a
guadagnare tempo; i "consumatori" stanno aumentando, oggi non sono solo i
paesi ricchi dell'area OCSE ad avere potere di acquisto da alti livelli di
consumo ma anche percentuali significative delle popolazioni di tanti altri
paesi (Cina ed India, Brasile e Sud Africa, Indonesia e Messico ecc.) e la
pressione esercitata sui sistemi naturali non fa che acuirsi, rendendo
sempre più difficile garantire le loro capacità rigenerative e ricettive.
E' evidente che siamo tutti consapevoli che le internalizzazioni e
l'ecoefficienza sono molto meglio di niente e che, quindi, nell'attuale
sistema economico vadano promosse e perseguite ma è altrettanto evidente che
la nostra prospettiva deve avere capacità di innovazione più significative e
importanti e che è ormai ineludibile lavorare tutti, per cercare realmente
di cambiare le basi sulle quali poggia il sistema economico attuale.
In questo quadro una prospettiva quale quella riassunta da Gunter Pauli,
diventa estremamente interessante e non è un caso che alla Blue Economy
partecipino anche l'UNEP e l'IUCN, l'Unione Mondiale per la Conservazione
che riunisce sia le organizzazioni non governative, tanti enti scientifici
ed istituti di ricerca e rappresentanze istituzionali di tanti paesi del
mondo (vedasi i siti
www.blueeconomy.de e www.zeri.org)
La prospettiva della Blue Economy è  quella di esplorare sempre di più le
possibilità, per i nostri modelli produttivi ed industriali, di imitare i
processi ed i flussi della natura, la biomimetica. Ottenere importanti
risultati in questo senso significa anche comprendere e oltrepassare le
distorsioni che oggi esistono nei nostri sistemi economici.
Ricorda molto opportunamente Pauli nel suo libro "Blue Economy"  che oggi i
laureati delle moderne facoltà di economia seguono l'assioma secondo cui
ogni iniziativa deve essere sottoposta a una rigorosa analisi
economico-finanziaria, producendo rapporti dettagliati e stabilendo precise
strategie per aver successo e contrastare i maggiori concorrenti. Si formano
gli amministratori delegati e i dirigenti d'azienda da cui ci si attende che
operino entro campi ben determinati, rispettando chiari parametri per una
buona riuscita. Se l'azienda non è competitiva non è economicamente valida.
Garantirsi una quota di mercato significa che i clienti comprano
ripetutamente un prodotto se offerto a una combinazione di qualità prezzo
percepita come ideale. Ma una volta accettato, questo modello è restio al
cambiamento e spesso ignora gli impatti negativi su ambiente e società. I
limiti di questo approccio a volte possono anche allontanare i dirigenti
dall'etica, distorcendo la morale. È incredibile come spesso le aziende
concludano che "fare meno danno" equivalga a fare del bene.
Negli ultimi cinquant'anni, i concetti di principale attività aziendale e di
competenze distintive hanno dominato il mondo imprenditoriale.
L'amministrazione aziendale avrà molte difficoltà ad accettare un nuovo
approccio che esula dal suo campo principale di competenza. Inoltre, non si
può introdurre sul mercato una nuova tecnologia basandosi solo sulle
caratteristiche intrinseche e salienti di un'impresa. Gunter Pauli
sottolinea che se anche si riuscisse a convincere un'azienda leader che una
nuova tecnologia rappresenta un'opportunità per acquistare un vantaggio
competitivo e relative quote di mercato, non c'è garanzia che si approverà
lo sviluppo di tale tecnologia. Sono gli imprenditori che non appartengono
ai cosiddetti leader di mercato ad avventurarsi più facilmente in questi
nuovi campi. Grazie al cambiamento delle piattaforme tecnologiche e al
bisogno di nuove competenze la società in fase di avviamento non ha bisogno
di esperienza nel settore.
Prendiamo in considerazione il pacemaker. Per 50 anni le irregolarità del
ritmo cardiaco sono state risolte con questo strumento impiantato
chirurgicamente.  Il pacemaker è alimentato da una batteria collocata vicino
alla clavicola. A causa dei nostri attuali stili di vita molto stressanti,
negli anni a venire, saranno necessari milioni di pacemaker, ognuno al costo
minimo di 50.000 dollari. Mentre tutti si stanno concentrando a sviluppare
batterie più efficienti, la soluzione di nuova generazione per regolare il
ritmo cardiaco non avrà bisogno né di interventi chirurgici né di batterie,
come Pauli dimostra nel volume. Il costo di questa nuova tecnologia
chirurgica potrebbe essere di soli 500 dollari; il costo dei nanotubi è
appena di qualche dollaro.
L'introduzione di un conduttore con nanotubi che trasmettono la corrente dai
tessuti sani alle zone colpite del cuore prende ispirazione dallo studio dei
canali delle cellule che garantiscono la conduttività nel cuore delle
balene. Un concetto non noto ai produttori di pacemaker. Nessuna azienda di
tecnologia medica tradizionale ha le basi per lanciarsi in questa nuova
attività. Questa innovazione ha bisogno di un conduttore, tubi di carbonio,
capacità comunicative, fonti di energia naturale e progettazione di chip.
Questa ristrutturazione implica un'enorme quantità di fattori sconosciuti ed
è per questo che i leader di mercato sono restii a investire. Questa specie
di "tecnologia dirompente" avrebbe inoltre bisogno di nuovo personale,
componenti e programmazione aziendale simili alla creazione di un nuovo
reparto produttivo. Ma la sfida più grande è rappresentata dal fatto che
l'adozione di questo approccio innovativo potrebbe anche intaccare il
proficuo flusso di introiti delle aziende che producono apparecchiature
mediche.
Chi si avventurerebbe in un nuovo campo, soprattutto durante un periodo di
recessione? I giganti del settore come la Boston Scientific e la Medtronic
non se la sentono di fare da pionieri. Se un importante dirigente d'azienda
ha deciso di acquistare, pagandolo a caro prezzo, un dispositivo con un
potenziale giro d'affari garantito e prodotto con una tecnologia comprovata
e di successo, perché dovrebbe promuovere il finanziamento della ricerca o
approvare un investimento che potrebbero comprometterlo? Chi favorirebbe il
passaggio a questo metodo non chirurgico quando i ricavi generati saranno
solo una frazione del flusso di denaro che ogni intervento chirurgico
produce per l'intero sistema sanitario, compresi i chirurghi, gli
anestesisti, le compagnie farmaceutiche e i produttori di batterie? La
risposta è ovvia: nessuno che trae beneficio dal mercato attuale.
Ecco perché tra i tanti obiettivi che dobbiamo raggiungere vi è anche quello
di impostare le nuove soluzioni per il nostro futuro con un grande impegno
di innovazione e di visioni, con una mentalità, come le definisce Pauli,
"fuori dal coro".
Impostare una nuova economia richiede visione, impegno, coraggio e capacità
di cambiamento non comuni. Ma dobbiamo farle emergere e promuoverle.