una colata di cemento si divora il paesaggio



da Eddyburg.it
 
Una colata di cemento si divora il paesaggio
Data di pubblicazione: 28.05.2009

Autore: Erbani, Francesco

Continua la distruzione del nostro paesaggio. E del nostro futuro. Da la Repubblica, ed. Napoli, 28 maggio 2009 (m.p.g.)

"Bisogna riaccendere la fiammella dell’edilizia per riavviare lo sviluppo economico nella nostra regione". Poche parole sintetizzano un clima politico. Quelle che ha pronunciato qualche giorno fa il presidente della Sardegna, Ugo Cappellacci, disegnano lo scenario del presente e del prossimo futuro. In Sardegna si chiude la stagione di un rigoroso controllo dell’espansione edilizia e si apre quella di una riscossa del cemento. Il piano paesaggistico di Renato Soru era considerato il baluardo a difesa di un paesaggio costiero violentato da un tappeto di villette e di villaggi turistici. E la base di partenza per uno sviluppo non segnato dallo spreco di suolo. Ma alle elezioni regionali di febbraio, in 67 dei 72 Comuni sardi affacciati sul mare ha vinto il centrodestra: si è valutato che è meglio l’utile a breve assicurato dal tirar su case usate un mese l’anno, anziché la risorsa che garantisce a lungo termine la stessa economia turistica.

Molta parte del discorso sul paesaggio risponde a una strategia schiacciata sul presente, elevato a misura dell’agire politico. Non è una novità nella nostra storia recente. La politica, le amministrazioni pubbliche, faticano a contenere gli interessi che si condensano intorno all’edilizia e non riescono a governare le trasformazioni che investono il territorio. Il cosiddetto piano-casa, di cui si stanno perdendo le tracce, non si propone di rimettere in sesto le parti di città in cui la qualità urbana è smarrita, di ricostituire spazi e dimensione pubblica nei quartieri costruiti dagli anni Cinquanta in poi, cioè quasi i nove decimi di quel che vediamo edificato intorno a noi. E invece incentiva l’ampliamento degli appartamenti, come se il benessere dell’abitare fosse solo un affare privato.

I regali di cubature non sono un salto di qualità nell’atteggiamento culturale verso territorio e paesaggio. Proseguono e intensificano un indirizzo sperimentato. Negli ultimi dieci anni si sono costruiti 3 milioni e mezzo di appartamenti, come nel dopoguerra. 340 mila appartamenti nel 2007, di cui 30 mila abusivi. E poi gli stabilimenti (7 mila nel 2005, tanti quelli già sfitti) e le cave (6 mila attive e circa 10 mila dismesse). Tutto questo cemento non risponde a necessità se non degli immobiliaristi. Non intacca il fabbisogno di case (che, per un numero crescente di italiani, è una tragedia). Inoltre si abbandona a se stesso il fenomeno della dispersione abitativa.
In tutta Europa - la vicenda è ampiamente analizzata - le città perdono i caratteri di finitezza e vedono svanire ovunque la loro forma. Gli insediamenti si spalmano e si riaddensano. Ma in Italia, a differenza che altrove, questo processo è regolato prevalentemente dalla rendita, che mira ai luoghi più preziosi, scardinando anche consolidate tradizioni di buongoverno: ogni giorno in Emilia Romagna viene consumato l’equivalente di 11 campi di calcio. Ogni giorno. Anche la progressione storica indica un fenomeno travolgente. A metà dell’Ottocento le aree urbanizzate della pianura erano l’1,5 per cento del totale. Negli anni Cinquanta del Novecento erano il 2,5, diventato il 7,5 negli anni Settanta e il 13 nel 2001. Praticamente il raddoppio dell’edificato in trent’anni.

Sotto i colpi di questa cavalcata si banalizzano, si riempiono di detriti o semplicemente spariscono molti paesaggi italiani, teoricamente protetti da una maglia di norme fitta al centro che perde densità più si scende nella dimensione locale. I paesaggi italiani - dicono storici, agronomi, urbanisti - hanno poco di naturale e sono fortemente caratterizzati dalle manipolazioni dell’uomo. Tanti studiosi parlano di paesaggi culturali, raffigurando così l’intreccio di questioni fisiche e antropologiche che ne stabiliscono gli assetti: dal Delta del Po ai terrazzamenti della Costiera Amalfitana. Eppure, scrive Rosario Assunto in un libro uscito a metà degli anni Novanta, gli italiani sono còlti da una specie di "voluttà sostitutiva, derivata dal sentirsi artefici di una vera e propria rivoluzione culturale, al negativo, che si avventa contro il paesaggio della memoria e della fantasia per ridurlo a semplice spazio della geometria". Quando si parla di trasformazioni del paesaggio è prevalentemente al cemento che si pensa. Perché, per una consolidata opinione, è la potenziale trasformazione edilizia il diritto più vantaggioso iscritto nel possesso di un suolo: altra anomalia italiana.

Il paesaggio non è solo una "veduta", è piuttosto una dimensione complessa che spiega la nostra cultura, la nostra politica, il nostro essere comunità e cittadini. Secondo Luis Fernàndez-Galiano, architetto madrileno, "avremo il paesaggio che ci meritiamo, perché il paesaggio è una geografia volontaria". Il paesaggio si presta a essere laboratorio di idee e di progetti, sempre che non venga considerato come puro spazio da riempire e se interpretato come vera risorsa. Per molti, fortunatamente, resta questo il punto su cui agire per una difesa attiva dei paesaggi, vincolando, ma andando anche oltre: conoscerli, analizzarne il rapporto con le comunità, individuarne gli statuti, pianificarne l´organizzazione e stabilire quali usi siano compatibili e quali no, quali risorse essi producono e quanto valga il loro essere concepiti come un sistema. Era, più o meno, quello che si è tentato di fare in Sardegna.
"Per uno sviluppo sostenibile e durevole del territorio" è il tema della tavola rotonda coordinata da che si tiene alle 17 al centro congressi in via Partenope 36, a cui partecipano Alberto Asor Rosa (presidente della rete dei comitati toscani per la difesa del territorio), Paolo Maddalena (giudice della Corte costituzionale), Michele Scudiero (ordinario di Diritto costituzionale nella Federico II), Salvatore Settis (direttore della scuola Normale superiore di Pisa), Massimo Marrelli (presidente del Polo scienze umane e sociali della Federico II) e Mirella Stampa Barracco (presidente della fondazione Napoli Novantanove)