nucleare impossibile



da ecologiapolitica.it
 
Virginio Bettini e Giorgio Nebbia, "Il nucleare impossibile", Torino, Utet, 2009, p. 3-18

"La storia del nucleare non depone a suo favore"

Giorgio Nebbia

Atto primo

Il 22 maggio 2008 è una data storica. Un ministro del IV governo Berlusconi ha annunciato, davanti all'assemblea della Confindustria, che il governo italiano prevede la costruzione "di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione" capaci di "produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell'ambiente", la cui "prima pietra" dovrebbe essere posta entro il 2013. E' questo il secondo atto di una commedia già sentita che merita di essere ricordata.

Di nucleare in Italia si era già parlato dopo l'annuncio, da parte del presidente degli Stati Uniti Eisenhower, l'8 dicembre 1953, che il suo paese intendeva mettere a disposizione le conoscenze nucleari per un grande programma "Atomi per la pace". Le controverse iniziative italiane degli anni sessanta del Novecento sono raccontate nel libro di Mario Silvestri, "Il costo della menzogna", del 1968, in tanti altri libri e in un interessante Quaderno dell'Ufficio Studi della Banca d'Italia del 2002: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/pubsto/quaristo/qrs4/Q4_Rigano.pdf

L'Italia arrivava agli inizi degli anni settanta con tre centrali nucleari in funzione, quella del Garigliano, BWR da 150 MW, la prima costruita, entrata in funzione nel 1964, spenta dopo un incidente l'8 agosto 1978 e disattivata nel 1982; quella di Latina, del tipo gas/grafite da 216 MW, entrata in funzione nel 1964 e fermata nel 1986; e quella di Trino Vercellese del tipo PWR da 270 MW, entrata in funzione nel 1965 e chiusa nel 1987. Nel 1971 era cominciata la costruzione a Caorso (PC) della centrale BWR da 850 MW che sarebbe diventata operativa nel 1981 e fermata nel 1988.

I dubbi sulla convenienza e la sicurezza del nucleare circolavano già nei primi anni settanta, in quella "primavera dell'ecologia", ma la vera crisi è cominciata con il primo, di una lunga serie, di aumenti del prezzo del petrolio a partire dall'ottobre 1973, anche se già nel 1974 era in corso una discussione critica sull'impianto di Trisaia a Rotondella, in Basilicata. Tale impianto era stato costruito dall'allora CNEN, Comitato Nazionale Energia Nucleare (poi ENEA) per ritrattare il combustibile irraggiato delle centrali nucleari presenti e future e anche per ritrattare il combustibile che era stato prodotto nella centrale a torio-uranio di Elk River, negli Stati Uniti, peraltro rimasta in funzione solo tre anni e poi abbandonata: un'impresa che all'Italia non avrebbe dato alcun vantaggio ma solo guai ambientali fino ai nostri giorni. Il ritrattamento, cominciato alcuni anni dopo, fu infatti fonte di inquinamenti radioattivi e le relative scorie sono ancora lì, sul mar Ionio.

Davanti alle prospettive di scarsità e di crescente costo dell'energia, agli inizi del 1974 fu svolta alla Camera dei Deputati una indagine conoscitiva sull'energia nella Commissione Industria, presieduta da Misasi. Intanto negli anni 1973-1974 l'ENEL, l'Ente Nazionale Energia Elettrica, allora unico gestore dell'elettricità, aveva ordinato quattro centrali nucleari da 1000 megawatt ciascuna destinate due a un qualche posto nell'Alto Lazio (sarebbe poi stato Montalto di Castro) e due per il Molise (si era parlato di Campomarino vicino Termoli).

Il 29 luglio 1975 venne presentato al CIPE, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, il documento RES(75)31, redatto dal CNEN, intitolato "Programma Energetico Nazionale" (sarebbe poi stato indicato come PEN). approvato dal CIPE il 23 dicembre 1975. Il PEN presentava varie previsioni dei consumi di energia italiani. Per la copertura dei fabbisogni elettrici dal 1982 al 1985 il PEN prevedeva una potenza nucleare installata al 3 dicembre 1982 di 7.400 MW, la costruzione, nel periodo 1983-1985, di nuovi impianti nucleari per una potenza da 13.000 a 19.000 megawatt (a seconda della tendenza dei consumi) in modo che la potenza nucleare in servizio nel 1985 avrebbe dovuto essere compresa fra un minimo di 20.400 e un massimo di 26.400 megawatt.

Il PEN prevedeva inoltre che nel quinquennio 1986-1990 entrassero in servizio altri nuovi impianti nucleari per una potenza compresa fra 26.000 e 36.000 megawatt. "La potenza degli impianti nucleari in servizio nel 1990 --- prosegue il testo citato --- sarà pertanto compresa fra un minimo di 46.100 MW e un massimo di 62.100 MW". "I vantaggi di costo esistenti a favore della produzione di un kWh di origine elettronucleare, rispetto ad un kWh di origine termoelettrica sono al momento attuale --- era scritto nello stesso PEN del 1975 --- innegabili e difficilmente essi potranno essere cancellati in futuro".

Dove mettere tante centrali nucleari ? Niente paura

Nel paragrafo 3.3.2 del PEN citato è scritto che l'ENEL era "pervenuto ad individuare le seguenti aree geografiche del Paese nelle quali le indagini preliminari hanno fornito indicazioni sulla esistenza di luoghi adatti alla installazione delle nuove centrali nucleari, oltre a quelle già previste per l'ubicazione delle quattro unità ordinate nel 1973-74 (Alto Lazio e Molise):
--- Arco Alpino Lombardo
--- Piemonte orientale
--- Costa Ionica (Basilicata)
--- Lombardia Orientale (la localizzazione di una centrale nucleare sul Po sarebbe stata indicata da Angelini, allora direttore generale dell'ENEL)
--- Costa dell'Alto Tirreno (Toscana centrale)
--- Costa del Basso Tirreno (Campania)
--- Costa Marchigiana Meridionale o Abruzzo
--- Arco Alpino Piemontese
--- Costa dell'Alto Adriatico (Romagna settentrionale)
--- Costa del Medio Tirreno (Lazio meridionale)
--- Costa della Venezia Giulia
--- Costa meridionale della Puglia (Ionica o Adriatica).

Le procedure per le autorizzazioni erano state definite nel DPR 185 del 1964 e quelle per la localizzazione delle centrali nucleari erano fissate dalla Legge 393, approvata il 2 agosto 1975. Un lavoro a tambur battente: 29 luglio presentazione del PEN al CIPE, 2 agosto legge sulle localizzazioni, 23 dicembre approvazione del PEN da parte del CIPE.

A dire la verità i criteri di localizzazione non avevano tenuto conto dei risultati pubblicati poco prima, nell'ottobre 1975, nel documento americano sulla sicurezza dei reattori nucleari, "Reactor safety Study" (WASH-1400, poi NUREG-75/014), noto come "Rapporto Rasmussen" dal nome del presidente della Commissione che lo aveva elaborato, Norman Rasmussen, un professore del MIT. Tale rapporto identificava la necessità di una zona si sicurezza intorno alle centrali per un raggio di 16 chilometri, un criterio che sarebbe stato confermato dalla Nuclear Regulatory Commission nelle norme per la localizzazione delle centrali nucleari note come NUREG-0396 del 1978.

Le cose col PEN non andarono comunque tanto lisce; ben presto apparve che le previsioni dei fabbisogni elettrici erano esagerate, che i soldi richiesti per costruire un così grande numero di centrali nucleari non c'erano. La legge 393 del 1975 previde l'installazione di due unità da 1000 megawatt ciascuna nel Molise, ma già nel 1976 cominciava la contestazione di questa scelta; la centrale non avrebbe creato occupazione sul posto e avrebbe avuto un effetto negativo sull'ambiente.

Nel frattempo l'ENEL era intervenuta con un terzo del capitale nella costruzione del reattore "veloce" francese Superphenix, "raffreddato" a sodio metallico. L'Italia partecipava con il 25 % al capitale dell'impianto francese di arricchimento dell'uranio per diffusione gassosa Eurodif, in cambio del diritto di ottenere uranio arricchito Anzi nel settembre 1976 cominciarono a circolare proposte di installare o a Pianosa o a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi un secondo impianto di arricchimento Coredif alimentata da quattro centrali nucleari da 1000 MW ciascuna; proposta saltata non appena se ne cominciò a parlare e contro la quale si espresse, nello stesso settembre 1976, Italia Nostra con un intervento del suo presidente Giorgio Bassani, e si tenne una manifestazione a Capalbio nel gennaio 1977.

Nello stesso tempo si moltiplicavano manifestazioni, petizioni, proteste e anche critiche tecnico-economiche al programma energetico. Il 27 marzo 1976 Italia Nostra pubblicò una dichiarazione firmata dal presidente Giorgio Bassani, dal direttore generale Bernardo Rossi Doria e da altri fra cui Antonio Cederna, Fabrizio Giovenale, Elena Croce, Mario Fazio, Alfredo Todisco, Adriano Buzzati Traverso, Natalia Ginzburg, Gianfranco Amendola e altri fra cui io stesso.

"Di fronte ai programmi di sviluppo della produzione di energia nucleare adottati dalle pubbliche autorità, che prevedono, entro il l985, la costruzione di 20 centrali da 1000 megawatt, i sottoscritti cittadini ritengono che si tratti di decisioni estremamente azzardate assunte senza le necessarie cautele e senza la cosciente partecipazione della popolazione

I sottoscritti chiedono pertanto l'appoggio e l'impegno di tutti sulla seguente dichiarazione:

1. L'energia elettrica ottenuta per via nucleare non è né economica, né pulita, né sicura.

2. Le valutazioni della presunta convenienza economica sono state fatte sulla base di costi degli impianti non aggiornati che non tengono conto delle spese necessarie per la custodia e lo smaltimento dei residui radioattivi e degli impianti fuori uso ineliminabili.

3. La scelta nucleare proposta condanna ugualmente l' Italia ad una dipendenza, inevitabile in ogni grande processo produttivo, da capitali stranieri e da brevetti, forniture e tecnologia, detenuti da pochi gruppi monopolistici, con tutte le conseguenze politiche che ne derivano; tale scelta crea, anzi, condizioni peggiori di quelle attuali di dipendenza da combustibili tradizionali che almeno sono intercambiabili fra loro e possono essere acquistati su mercati diversi.

4. La scelta nucleare implica altresì rischi di incidenti catastrofici di portata e scala imprevedibili, che possono essere determinati anche da sabotaggi: variazioni climatiche e alterazioni agli ecosistemi naturali, che possono derivare dal grave inquinamento termico; la produzione di crescenti quantità di sottoprodotti radioattivi altamente pericolosi e difficilmente conservabili in maniera sicura.

5. Alcuni di questi sottoprodotti radioattivi costituiscono la materia prima per le bombe atomiche cosicché la scelta nucleare contribuisce alla diffusione degli armamenti e alla instabilità internazionale contraria agli interessi della pace.

6. I problemi prioritari dell'occupazione non trovano alcuna soluzione con la semplice moltiplicazione dei consumi e con la produzione di grandi quantità di energia, che favorisce solo lo spreco e lo sviluppo di industrie ad alto impiego di capitale e di energia per addetto.

Tutti questi problemi sono tenuti nascosti nel programma energetico nazionale impedendo alla popolazione di assumere una chiara coscienza dei rischi, delle conseguenze e delle possibili alternative che sono connesse alla politica energetica in corso.

Pertanto, i sottoscritti chiedono che le ipotesi di sviluppo del consumo di energia vengano rivedute, tenendo conto delle maggiori possibilità di occupazione offerte da una politica di risparmio dell'energia e dopo aver chiarito come, cosa si intende produrre e per chi.

Domandano, infine, che venga sospesa l'approvazione del programma nucleare e che gli altissimi investimenti previsti per le centrali nucleari, ben più alti di quelli indicati all'opinione pubblica, vengano utilizzati in opere pubbliche ad alto impiego di mano d'opera, con priorità per i servizi collettivi relativi alla difesa del suolo e alla riforestazione, all'educazione, alla salute, alle abitazioni e vengano impiegati per ricerche dirette alla migliore utilizzazione e al risparmio dell'energia disponibile e all'impiego di fonti di energia alternativa."

Si erano intanto messe in moto, superando peraltro dure contestazioni, le procedure per la localizzazione e costruzione della centrale da 2000 megawatt di Montalto di Castro, contestata da gruppi di intellettuali, dagli "Amici della Maremma", da Italia Nostra e dai radicali. Nel giugno 1976 veniva prodotto uno studio di valutazione ambientale, l'inizio di un processo che si sarebbe concluso con l'autorizzazione alla costruzione all'inizio del 1979. Su questi eventi del 1976-1977 si può vedere il sito http://www.radioradicale.it/scheda/170788/speciale-nucleare-la-lotta-di-montalto-di-castro-contro-le-centrali

Per dare una misura della vivacità delle lotte antinucleari, per esempio contro la localizzazione della centrale nucleare in Lombardia, si può ricordare che, subito dopo il convegno, organizzato il 12 marzo 1976 a Cremona dalla Regione Lombardia con le Regioni bagnate dal Po per discutere il PEN e la proposta dell'ENEL di localizzare in Val Padana alcune nuove centrali, cominciarono le contestazioni nei Comuni che sarebbero stati coinvolti nella scelta. Il 2 ottobre 1976 si svolse un dibattito nel Consiglio Comunale di San Benedetto Po; nel novembre 1976 la Regione Lombardia istituì una Commissione di studio sulle centrali nucleari e il 13 dicembre 1976 si costituì a San Benedetto Po il "Comitato per l'opposizione alle centrali termonucleari", in collaborazione con Italia Nostra e il WWF. L'11 febbraio 1977 si tenne a San Benedetto Po una tavola rotonda indetta dal Comune con la partecipazione del sindaco e, davanti al montare della protesta, la Regione Lombardia indisse un convegno a Bruzzano il 4-5 marzo 1977.

Il 15 marzo 1977 Carlo Donat Cattin, ministro dell'Industria nel III governo Andreotti, dal giugno 1976 al marzo 1978, cioè proprio negli anni di fuoco della prima contestazione antinucleare, pose un ultimatum alle regioni perché indicassero i siti delle centrali nucleari: per la Lombardia, nel Mantovano, fra Torre d'Oglio, Viadana o San Benedetto Po, e nel Pavese fra Sartirana di Lomellina e Monticelli Pavese, una cittadina la cui popolazione sembrava favorevole all'insediamento.

Il 22 marzo 1977 veniva reso noto un "Documento della Regione Lombardia" sulle centrali nucleari in Lombardia e seguirono subito manifestazioni contrarie a Viadana il 24 marzo, a San Benedetto Po e a Suzzara l'11 aprile 1977. Nel giugno 1977 la Regione Lombardia chiedeva, all'Istituto Superiore di Sanità un parere che fu espresso il 15 gennaio 1978.

In risposta a questo movimento la Commissione Industria della Camera, presieduta dall'on. Fortuna, avviò una indagine conoscitiva che durò dal novembre 1976 all'aprile 1977 e che, nel maggio 1977, produsse un documento destinato al governo e al CIPE. Su questa lunga indagine si può utilmente leggere il resoconto del radicale Mario Signorino, http://www.radicali.it/search_view.php?id=45876&lang=IT&cms=
http://www.radicali.it/search_view.php?id=45877&lang=IT&cms Al lungo dibattito fecero seguito altre manifestazioni come il convegno tenuto dai radicali alla Sala Borromini a Roma nel luglio 1977. Seguì, nell'ottobre, un ampio dibattito alla Camera dei Deputati.

Comunque il ministro dell'industria, ancora Donat Cattin, disponeva un nuovo piano energetico nazionale (il secondo) che veniva approvato dal CIPE nella riunione del 3 dicembre 1977. La conclusione fu la decisione di costruire subito soltanto 12-13 centrali nucleari, invece di venti, e altre otto da avviare dopo il 1985.

Come risposta, in tutto il 1978 si susseguirono manifestazioni di protesta, nel Mantovano a Viadana, a San Benedetto Po, a San Matteo delle Chiaviche. Anche il Molise si stava mobilitando contro l'insediamento di una centrale nucleare nel Medio Adriatico, a Campomarino e per protesta il 2 dicembre 1978 s svolse una grande marcia popolare con comizio in piazza a Termoli; Donat Cattin si era appena dimesso, il 25 novembre, dal IV governo Andreotti, ma tutti se la prendevano ancora col "decreto Donat Cattin". E così anche Termoli venne cancellata dall'elenco dei possibili "siti". Intanto nell'agosto 1978 era stato spento il reattore della centrale del Garigliano (costruita nel 1964) dopo vari incidenti.

Quando si dice: "le fatalità"; il nulla osta e l'autorizzazione alla costruzione della centrale di Montalto di Castro furono rilasciate dal Ministro dell'industria Prodi, del IV governo Andreotti, con un decreto del 19 febbraio 1979, alla vigilia di eventi tempestosi.

Il 28 marzo 1979 si verificò un grave incidente al reattore nucleare di Three Mile Island, vicino Harrisburg, in Pennsylvania, negli Stati Uniti; non morì nessuno (almeno per il momento) ma la favola della sicurezza delle centrali nucleari venne messa in discussione. Ironia della sorte negli stessi giorni usciva nelle sale cinematografiche il film "Sindrome cinese" con Jane Fonda, che immaginava un incidente ad un reattore nucleare, dovuto a difetti di costruzione tenuti nascosti dai fabbricanti, con la fusione del nocciolo e col pericolo che il reattore sprofondasse uscendo all'altro capo del mondo … in Cina, appunto. Fisicamente un reattore non avrebbe potuto attraversare il pianeta, ma il pericolo di fusione del nocciolo di un reattore erano ben reali.

A seguito dell'incidente di Three Mile Island (il V governo Andreotti era caduto il 3 marzo poco dopo l'incidente e si era in piena campagna elettorale e le elezioni ci sarebbero state il 3 giugno successivo), il 19 maggio 1979 si svolse una grande marcia antinucleare a Roma.

Nel giugno 1979 fu pubblicata dalla "Commissione speciale per i problemi ecologici" del Senato il documento conclusivo di una indagine conoscitiva svolta nel corso del 1978 sulle misure d protezione dell'ambiente in relazione alle centrali nucleari; si trattava della raccolta delle risposte date da diversi studiosi, enti e associazioni, fra cui Italia Nostra e WWF, ad un questionario comprendente 12 domande. Le risposte erano tutte imprudentemente favorevole alle centrali nucleari, ad eccezione di quelle di Italia Nostra, del WWF e del prof. Pavan che era stato uno dei membri della Commissione speciale per l'ecologia che l'allora presidente del Senato Fanfani aveva istituito nel "lontano" 1971 per informare il Parlamento sui problemi ecologici.

Per capire come si potevano migliorare le condizioni di sicurezza delle centrali nucleari, subito dopo l'incidente di Three Mile Island negli Stati Uniti fu istituita una commissione, presieduta da John Kemeny, che presentò al presidente Carter il 31 ottobre 1979 una relazione in cui le compagnie che gestivano centrali nucleari erano invitate a cambiare radicalmente la loro attitudine nei confronti della sicurezza e la regolamentazione. Le centrali avrebbero dovuto essere installate in località lontane da centri abitati e avrebbero dovuto essere dotate di piani di emergenza approvati da una agenzia federale per la sicurezza. Un'altra commissione, presieduta da Mitchell Rogovin, indicò che, nel caso di un incidente come quello di Three Mile Island, era realistica la necessità di evacuare la popolazione residente in un raggio di 20-25 miglia (30-40 chilometri) dalla centrale. Una critica alle proposte di localizzazione delle centrali in Italia era stata espressa nel rapporto "Impianti nucleari e scelte geologiche", pubblicato dall'Ordine nazionale dei geologi, alla fine del 1979.

In queste condizioni Bisaglia, ministro dell'Industria nel I governo Cossiga, fu costretto a far svolgere una indagine sulla sicurezza nucleare. La commissione, presieduta dal prof. Salvetti, lavorò dal settembre al dicembre 1979 e produsse un documento che fu approvato con i voti contrari di Carlo Mussa Ivaldi, Aurelio Peccei e Giorgio Nebbia. Mussa Ivaldi e Nebbia presentarono una dettagliata relazione di minoranza, inserita negli atti che furono pubblicati (Notiziario CNEN, 26, (2), 53-59 (febbraio 1980) e in Sapere, dicembre 1980), mettendo in evidenza le carenze sia del programma nucleare, sia delle normative di sicurezza delle centrali esistenti, fra cui quella di Caorso, ormai completata e che sarebbe diventata operativa nel 1981, sia di quelle previste.

Aurelio Peccei rilasciò all'associazione "Amici della Terra" una intervista in cui sosteneva: "Anche se la sicurezza delle centrali nucleari fosse ragionevolmente garantita --- sul che vi sono seri dubbi --- resterebbero sempre non risolti, in fatto di sicurezza, i problemi del trasporto dei materiali fissili e quelli della conservazione nei secoli delle scorie radioattive.

In un paese come il nostro, con un territorio in gran parte idrogeologicamente dissestato e congestionato di inquinamenti e per di più f itto di insediamenti urbani e costellato di tesori storici, artistici e paesistici, è il ciclo nucleare nel suo insieme che presenta rischi e pericoli inaccettabili e che deve quindi essere scartato, neppure come soluzione di emergenza l'alternativa nucleare ha titoli per essere considerata prioritaria"

In quei febbrili mesi del 1979-80 circolarono naturalmente molti documenti tranquillizzanti; ne cito uno francese che concludeva, imprudentemente: "Une explosion de type nucléaire est hors de question dans une centrale". Pochi anni dopo la catastrofe di Cernobyl dimostrò che un'esplosione non era affatto "hors de question".

Il documento della Commissione Salvetti fu discusso pubblicamente a Venezia nel gennaio 1980. Apparve così che le norme sulla sicurezza nucleare seguite fino allora in Italia erano meno rigorose di quelle internazionali e questo offrì sostegno agli oppositori delle centrali nucleari italiane, che nel frattempo si erano moltiplicati, non solo come associazioni ambientaliste (Lega per l'Ambiente, oggi Legambiente, fu fondata nell'estate 1980), ma anche come popolazioni dei luoghi in cui era prevista la costruzione delle centrali.

Imperturbabile, intanto, nel settembre 1979 il CNEN, allora Comitato Nazionale Energia Nucleare, poi dall'aprile 1982, ENEA (Ente Nazionale per l'Energia e per l'Ambiente), aveva pubblicato un documento denominato "Carta dei siti". La Carta dei siti non era un inventario dei luoghi in cui è possibile installare una centrale nucleare ma è una carta dei luoghi in cui non è possibile costruire tali centrali perché sono troppo vicini a paesi e città, per le condizioni sismiche o idrografiche, per la scarsità di acqua di raffreddamento. Esclusi i luoghi non idonei resta un piccolo numero di "zone residue" nelle quali, peraltro, non era escluso che esistessero zone archeologiche, di valore paesaggistico e naturalistico, centri storici,vincoli militari, tutti parametri non considerati dall'indagine del CNEN.

La Carta dei siti, anche alla luce dei risultati del rapporto Kemeny, sopra citato, aveva una dubbia validità; eppure fu presa dal governo come base nel dibattito sulla localizzazione delle centrali nucleari in Lombardia e in Puglia.

Nel novembre 1980 fu elaborato un altro piano energetico nazionale, approvato dal CIPE il 4 marzo 1981. Gli obiettivi prevedevano che nel decennio degli anni ottanta entrasse in funzione la centrale di Caorso (850 megawatt), la cui costruzione era iniziata nel 1971 e che sarebbe diventata operativa, come si è detto, nel 1981); entrassero in funzione le due unità da 1000 megawatt ciascuna di Montalto di Castro, venissero costruite ed entrassero in funzione altre quattro unità da 1000 megawatt ciascuna, appunto quelle della Lombarda e della Puglia.

Negli stessi anni l'Italia dovette ridurre dal 25 al 16,5 % la sua partecipazione all'impianto Eurodif e dovette svendere una parte dell'uranio arricchito per il cui acquisto l'Italia si era già impegnata e di cui non aveva più bisogno in seguito al ridimensionamento delle prospettive nucleari.

Il 7 agosto 1981 Marcora, ministro dell'industria del I governo Spadolini, presentava un nuovo piano energetico, in un certo senso il terzo, che venne approvato dal CIPE il 4 dicembre 1981 Tale piano prevedeva ancora la costruzione di centrali nucleari per almeno 6000 MW e la localizzazione era indicata ancora nelle Regioni Lombardia, Piemonte, Puglia.

Quanto alle zone in cui localizzare le "future" centrali nucleari, previste come "unità standard", di reattori ad acqua sotto pressione PWR Westinghouse, si legge nel PEN del 1981 che i siti possibili risultano:
--- Piemonte: centrale nucleare con due unità standard in una delle due aree già individuate lungo il corso del Po, vicino a Trino Vercellese dove esisteva già una centrale nucleare allora dismessa;
--- Lombardia: centrale nucleare con due unità standard in un sito da definire in una delle due aree già individuate nella Lombardia sud-orientale, vicino a Bozzolo, nella golena del Po, e a Torre Oglio, alla confluenza fra Oglio e Po, anche qui in zona golenale:
--- Veneto: centrale nucleare con due unità standard in un sito da definire in una delle due aree già individuate nel Veneto sud-orientale;
--- Toscana: centrale nucleare con due unità standard nell'Isola di Pianosa;
--- Campania: centrale nucleare con una unità standard lungo l'ultimo tratto del fiume Garigliano;
--- Puglia: centrale nucleare con due unità standard in una delle aree già individuate nel Salento (sarebbero state Avetrana e Carovigno);
--- Sicilia: centrale nucleare con una unità standard in una delle due aree già individuate nel Ragusano.

Gli anni 1981, 1982 e 1983 sono stati quelli della nuova grande contestazione antinucleare.

Per quanto riguarda la prevista localizzazione di centrali nella "Lombardia orientale", il 21 ottobre 1981 il Comune di Bozzolo sembrava possibilista a favore. Il 23 novembre successivo la Giunta regionale della Lombardia interrogò i Comuni di Viadana, San Benedetto, Bozzolo, e ne ottenne risposte negative. Il 23 dicembre 1981 il Comune di Viadana deliberò di non voler essere coinvolto e la stessa posizione fu espressa il 23 dicembre 1981 dal Comune di San Benedetto Po e il 20 gennaio 1982 anche dal Comune di Bozzolo. Nel maggio-giugno 1982 l'ipotesi di un insediamento nucleare a Bozzolo era caduto definitivamente.

All'inizio del 1982 cominciò la contestazione anche ad Avetrana e a Carovigno, in Puglia.
Sulla battaglia di Avetrana una interessante testimonianza di Gaetano Quagliariello, nel 2008 senatore del Popolo delle Libertà, in http://www.radicali.it/search_view.php?id=48075&lang=IT&cms=

Per avere una idea della confusione e dell'approssimazione che investivano i programmi nucleari si può ricordare che nel gennaio 1982 qualcuno propose di costruire una centrale nucleare sulla Murgia, in Puglia, pompando l'acqua di raffreddamento dal mare o usando enormi torri di raffreddamento ad aria.

Va ricordato che la legge 8 del 10 gennaio 1983 previde la concessione di un forte contributo finanziario ai Comuni che avessero accettato centrali nucleari e termoelettriche nel proprio territorio e la prospettiva di "portare a casa" un po' di soldi attirava alcune amministrazioni locali le quali peraltro dovettero fare i conti con le rispettive popolazioni.

L'ENEA con la sua DISP (la Direzione per la Sicurezza nucleare e la Protezione sanitaria), intanto continuava per la sua strada e nel 1982 riferì che le aree di Viadana e di San Benedetto Po "risultano rispondenti ai criteri richiesti ai fini della suscettibilità all'insediamento di centrali elettronucleari". La relazione sulla possibile localizzazione della centrale nucleare della Lombardia fu esaminata il 3 giugno 1982 dalla Regione Lombardia che formulò un ordine del giorno a cui fece seguito il parere favorevole del Consiglio Regionale della Lombardia il 5 giugno 1982. E tutto nonostante un Istituto scientifico sperimentale nello stesso 1982 avesse denunciato "la carenza delle indispensabili indagini" geologiche, meteorologiche e demografiche

Il 22 febbraio 1983 il CIPE formulò la delibera per la centrale da 2000 MW in Lombardia; l'ENEL consegnò alla Regione e all'ENEA/DISP il rapporto sulle indagini svolte nelle due aree della Lombardia e ne seguì nel giugno 1983 il ricorso al TAR, il Tribunale Amministrativo Regionale, dei Comuni di San Benedetto Po e Viadana. Un simile ricorso fu fatto, nello stesso giugno 1983, dai Comuni di Avetrana e di Carovigno, in Puglia.

Nell'estate e autunno 1983 la contestazione antinucleare si fece ancora più vivace. Nel Mantovano nell'agosto 1983 erano cominciati i sondaggi geologici a Viadana a cui fece seguito la marcia su Viadana del 2 ottobre 1983, e le manifestazioni antinucleari e scontri con la Polizia a San Benedetto Po e Viadana il 4 ottobre successivo. Il 22 ottobre 1983 furono arrestati alcuni antinucleari che occupavano dei fondi a Bellaguarda, scarcerati il 23 ottobre. Qualcuno, attratto dalla promessa dei soldi della "legge otto", come il Comune mantovano di Marcaria chiese di essere compreso fra le zone in cui venivano fatti i sondaggi dell'ENEL che iniziarono il 13 Novembre 1983 anche a Schivenoglia.

In questa situazione il 19 settembre 1983 l'Amministrazione provinciale di Mantova decise di nominare una Commissione tecnico-scientifica (CTS), che fu insediata lo stesso 19 settembre e che cominciò i suoi lavori il 6 novembre 1983. L'11 gennaio 1984 l'ENEL propose un incontro col coordinamento antinucleare del Mantovano a cui fecero seguito una fiaccolata antinucleare a Viadana il 17 gennaio 1984 e le richieste di referendum. Il 4 febbraio 1984 venne reso noto un "Manifesto" di 18 professori dell'Università di Parma contro il nucleare.

Le riunioni del Comitato Tecnico scientifico di Mantova si svolsero dal gennaio 1984 al febbraio 1985, con una conferenza a cui parteciparono sia l'ENEL che l'ENEA, svolta il 23 febbraio 1985 nel Teatro del Bibiena a Mantova. Intanto erano partiti i referendum antinucleari: il 25 novembre 1984 a Viadana (91 % contrario), il 10 marzo 1985 a San Benedetto Po (4876 contrari, 549 favorevoli). Il 20 aprile 1985 si svolse una grande marcia antinucleare a Roma.

Va detto che l'elevata tensione antinucleare degli anni 1983-85 era dovuta anche al contemporaneo dibattito contro le armi nucleari; la tensione fra Stati Uniti e Unione Sovietica era aumentata e il pericolo di uno scambio di bombe nucleari sembrava avvicinarsi. L'orologio della catastrofe, che veniva pubblicato ogni mese nella rivista americana "The Bulletin of the Atomic Scientists" era arrivato a "tre minuti" dalla mezzanotte di una possibile guerra con armi nucleari, mai così vicino. Ne è testimone il film "The day after" che immagina quello che avrebbe potuto succedere se ci fosse stato un bombardamento nucleare. Il 1984 è l'anno della installazione dei missili Cruise a Comiso e del dibattito sull'"inverno nucleare", l'effetto di raffreddamento del clima planetario che avrebbe potuto seguire un bombardamento nucleare.

La penultima scena del primo atto si ha trentasei giorni prima della catastrofe di Chernobyl del 26 aprile: il CIPE approvava, con una delibera datata 20 marzo 1986 un "piano energetico nazionale per il 1985-1987" (diciamo il quarto). Il piano prevedeva ormai la realizzazione soltanto di una centrale da 2000 MW a Montalto di Castro (in costruzione) e di una da 2000 MW a Trino Vercellese (Trino 2 o Po2), mai neanche cominciata, e la localizzazione entro il 1986 di una centrale in Lombardia da 2000 MW e di una in Puglia da 2000 MW.

Prevedeva anche l'acquisizione della quota italiana (400 MW) dell'energia elettrica prodotta dalla centrale veloce Superphenix (1200 MW) costruita in Francia nell'ambito della collaborazione fra Francia, Germania e Italia, la cui entrata in funzione era avvenuta nel 1985 e il primo collegamento in parallelo sarebbe avvenuto nel gennaio 1986, una centrale sventurata che ha ingoiato soldi dell'ENEL, un terzo del costo, pagato per due decenni dai consumatori di energia elettrica italiani.

Il Partito Comunista Italiano che era stato attraversato da diverse posizioni sul nucleare con lacerazioni fra i propri militanti, tenne a Roma, il 9-13 aprile 1986, il suo XVII congresso durante il quale fu presentata e votata una mozione "antinucleare" Mussi-Bassolino che ottenne poco meno della maggioranza dei voti. Si avvicinava la fine del primo atto.
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Il 26 aprile 1986 l'interruzione della circolazione dell'acqua di raffreddamento di uno dei quattro reattori nucleari (del tipo a uranio-grafite) della centrale di Chernobyl, nell'Unione Sovietica (oggi Ucraina), provocò un forte aumento della temperatura del nocciolo del reattore. Molte delle parti metalliche e strutturali --- travi e contenitori di acciaio, pareti di cemento --- fusero o crollarono; la grafite che circondava il nocciolo prese fuoco provocando l'esplosione e lo scoperchiamento del reattore; la corrente di fumo trascinò in sospensione nell'aria le polveri contenenti gran parte dei prodotti di fissione dell'uranio: gli isotopi radioattivi di stronzio, cesio, iodio, eccetera.

La maggior parte dei prodotti ricadde al suolo vicino al reattore, contaminando vaste estensioni di terreno ucraino, occupate da campi, villaggi, piccole città, scuole. Diecine di migliaia di persone furono esposte a dosi di radioattività tali da provocare la morte, danni genetici irreversibili, in moltissimi casi danni genetici a lungo termine che hanno continuati a far sentire i loro effetti fino ai nostri giorni. Una parte dei prodotti radioattivi fu trascinata nell'atmosfera dapprima verso il nord, poi verso ovest e l'Europa centrale, poi verso l'Europa sud occidentale, fino in Italia. Oggi si conosce abbastanza bene la quantità di sostanze radioattive uscite dal reattore (complessivamente fra 200.000 e 500.000 curie, 5.000-14.000 petabecquerel) e cadute nelle varie parti del continente europeo, ma allora ci furono contraddittorie informazioni sulla quantità di radioattività caduta al suolo in Italia e contraddittorie decisioni su quanta verdura o mozzarella poteva essere mangiata senza pericolo, con giravolte di decreti e di divieti.

Tutti i centri economici e politici interessati alla costruzione delle centrali nucleari in Italia presero un grande spavento. "Per fortuna" si trattava di roba "comunista" e fu facile far credere che il reattore era di tecnologia superata, che gli operatori erano ubriachi e che nei paesi capitalistici mai e poi mai sarebbe successa una cosa simile. Per inciso anche quello che ha funzionato per alcuni anni a Latina, era un reattore del tipo moderato a grafite, anche se raffreddato a gas, anziché ad acqua come a Chernobyl. D'altra parte in fretta e furia molti sostenitori del nucleare, in tutti i partiti politici, si convertirono e cominciarono ad esprimere dubbi sul futuro nucleare.

Come reazione alla catastrofe di Chernobyl si rinfocolò la contestazione antinucleare; ci fu una marcia da Casale a Trino Vercellese contro l'ipotizzata nuova centrale nucleare Trino2, il 10 maggio 1986 ci furono una grande marcia antinucleare a Roma e una fiaccolata a Mantova.

Nel luglio cominciò la raccolta delle firme per un referendum antinucleare. Il 6 ottobre si svolse una grande manifestazione al cantiere della centrale di Montalto di Castro e il 10 ottobre il II governo Craxi decretò il blocco dei cantieri e decise, nel novembre-dicembre 1986, di indire una grande conferenza sull'energia che si svolse dal 24 al 27 febbraio 1987 e non ebbe grandi risultati.

Ormai era in corso la campagna di sostegno dei referendum che vennero approvati con tre quesiti:
1. Volete che venga abrogata la norma che consente al CIPE di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti ? (la norma a cui si riferiva la domanda è quella riguardante "la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento", previste dal 13° comma dell'articolo unico della legge 10 gennaio 1983 n.8)
2. Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone ? (la norma a cui si riferiva la domanda è quella riguardante "l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi", previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge 8)
3. Volete che venga abrogata la norma che consente all'ENEL di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero ? (questa norma è contenuta nella legge, molto più vecchia, n. 856 del 1973, che modificava l'articolo 1 della legge istitutiva dell'ENEL).
L'8-9 novembre 1987 si svolsero i tre referendum sulle centrali nucleari e due sulla giustizia. La maggioranza (75-80 %) dei votanti si espresse per la rinuncia all'energia nucleare. Per inciso il divieto all'ENEL di gestire impianti nucleari all'estero, stabilito dalla maggioranza degli Italiani con il referendum, è stato rimosso dalle "legge Marzano" del 2003 del II governo Berlusconi..
Considerati i risultati del referendum, il governo (toccò al I governo Goria) procedette alla sospensione dei lavori della centrale di Trino 2, alla chiusura della centrale di Latina, alla verifica della sicurezza delle centrali di Caorso e di Trino 1 e alla verifica della fattibilità di riconversione della centrale di Montalto di Castro.

Nell'ultimo piano energetico nazionale di questa serie, presentato dal presidente del Consiglio De Mita al Senato, nel settembre 1988, venne annunciata la chiusura del reattore sperimentale PEC, costruito a Brasimone, che avrebbe dovuto effettuare prove sugli elementi di combustibile dei reattori "veloci" autofertilizzanti raffreddati a sodio metallico, ma che non fu mai terminato, e il disimpegno dalla partecipazione al reattore veloce Superphenix, che comunque sarebbe stato chiuso e abbandonato anche dalla Francia pochi anni dopo, nel 1996, dopo appena undici anni di travagliato e alterno funzionamento.

Cala il sipario.

Questa breve ricostruzione di eventi che ebbero grande importanza nella vita civile e politica dell'Italia merita alcuni commenti e presenta qualche interesse in questo inizio del XXI secolo in cui, dietro la scusa del nuovo aumento del prezzo del petrolio, viene lanciata una nuova offensiva filonucleare.

Le varie battaglie antinucleari rappresentano un interessante esempio di rapporti fra popolazione, istituzioni e partiti; talvolta la protesta fu motivata da ragioni ecologiche, ma anche dalla difesa di interessi privati; alcune istituzioni, per lo più quelle più vicine alle realtà locali, come Comuni e Province, si sono fatte interpreti della contestazione antinucleare, mentre talvolta le Regioni hanno piuttosto sostenuto gli insediamenti proposti dai governi nazionali e dall'ENEL.

La cronaca qui esposta, degli eventi 1973-1988 è molto parziale e inevitabilmente risente di ricordi personali; molte altre persone sono state attive, in quegli anni, dalla parte filonucleare o dalla parte antinucleare. In quegli anni sono state scritte centinaia di migliaia di pagine nei giornali, nei volantini ciclostilati-in-proprio, come si usava, nei libri, nei manifesti, nelle rassegne stampa dei vari poteri interessati, nei documenti ufficiali, negli atti parlamentari, nei verbali delle riunioni degli enti locali. Gran parte di questo materiale è andato perduto o è inaccessibile. Alcune storie o cronache di eventi sono state raccolte in alcuni libri, anche questi ormai rari o rarissimi. Molti dei protagonisti sono scomparsi, talvolta con le proprie carte.

Molto materiale si trova nel "Fondo Giorgio e Gabriella Nebbia" presso la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, in corso di archiviazione; una parte è stata inventariata e si trova in Internet nel sit www.musil.bs.it. La stessa Fondazione ha raccolto gli archivi di altri testimoni come Laura Conti e Ugo Facchini (che fece parte della commissione di indagine sulla centrale del Mantovano), e sta raccogliendo quelli di Giancarlo Pinchera e di Dario Paccino. L'archivio di Fabrizio Giovenale si trova nel Centro di Cultura Ecologica di Via Schopenhauer a Roma. Molto materiale si trova in rete nel sito, già citato, www.radicali.it

Delle battaglie del Mantovano esiste un archivio nella Biblioteca di San Benedetto Po e si possono leggere le testimonianze di Giancarlo Leoni nel sito www.ilmondodellecose.it. Il contributo di Virginio Bettini, curatore di questo volume, che fece anche lui parte della commissione di indagine sulla centrale del Mantovano), si trova nella bibliografia di questo stesso libro.

Certamente esistono altri archivi pubblici o personali e sarebbe auspicabile un coordinamento di questi ricordi, non banali. Gli eventi del primo atto dell'avventura nucleare infatti suggeriscono una modesta considerazione che affido a coloro che propongono --- e a quelli che si opporranno --- al secondo atto di tale avventura, appena iniziata. "Se" i soldi spesi negli anni 1973-1986 per il nucleare --- per la propaganda, per impianti che non sarebbero mai entrati in funzione, per disastri territoriali, per arginare i conflitti popolari --- fossero stati spesi per il potenziamento delle fonti rinnovabili, già mature nei primi anni settanta, per il risparmio energetico, la ristrutturazione produttiva, una nuova urbanistica attenta alla difesa del suolo, saremmo oggi il paese più industrializzato e scientificamente avanzato d'Europa. Abbastanza curiosamente questa direzione era nota e chiaramente indicata anche in Italia già in quegli anni settanta del Novecento. Quante delusioni, quanto tempo e quanti soldi buttati al vento !