e' il risparmio il vero petrolio



 da la stampa
Mercoledì
2/4/08 

CINA E INDIA DOMINERANNO LA DOMANDA. L’EUROPA DOVRA’ TAGLIARE, MA POTREBBE ESSERE LA VIA DI UN NUOVO SVILUPPO

E' il risparmio il nuovo petrolio

Le risorse non bastano per tutti: in Occidente l’ora delle scelte impopolari


CARLO BASTASIN

Tra le grandi strategie globali dell'energia e gli accumuli di rifiuti sulle strade napoletane c'è almeno una comune lezione: decisioni politiche e comportamenti individuali sono gli uni necessari agli altri, senza di essi le crisi possono scoppiare incontrollabili. Anche i problemi di sostenibilità dei consumi energetici della popolazione mondiale richiedono di modificare i comportamenti dei singoli individui e di sviluppare un senso di solidarietà. Il collasso napoletano dimostra quanto possa essere difficile ottenere lo scambio solidale dei doveri perfino al livello di una città di medie dimensioni nel cuore dell'Occidente sviluppato. La sfida globale dell'energia estende la sfida agli interessi divergenti e alle diverse culture di miliardi di individui, molti dei quali appena emersi da condizioni di bisogno. Governare la politica energetica sarà dunque una sfida politica enorme. Potrà almeno essere un processo graduale? Non è detto. Come dimostra la vicenda dei rifiuti, comportamenti egoistici in un contesto non governato dai pubblici poteri possono produrre collassi istantanei anziché lente malattie.

L'Indice di sviluppo umano, calcolato dall’Onu, stima che le popolazioni che escono da condizioni di povertà utilizzino energia per un volume annuo pro capite superiore a due «tonnellate equivalenti petrolio». In Europa il consumo è più che doppio. Se la popolazione mondiale dovesse convergere verso i modelli di consumo occidentali, l'offerta di energia non sarebbe sufficiente a soddisfare la richiesta di miliardi di individui. La crisi economica sarebbe automatica e i rapporti di potere tra Stati produttori e importatori potrebbero degenerare.

La domanda globale di energia è comunque destinata ad aumentare in 20 anni. Nel 2020 l'85% della domanda di energia verrà dai Paesi di recente sviluppo e un terzo della domanda globale farà capo alla sola Cina. L'impiego di energia di Cina e Medio Oriente determinerà la domanda, più di quanto possano influenzarla i Paesi già sviluppati che spostano le produzioni dal manifatturiero verso i servizi. Per governare l'aggiustamento della domanda e dell'offerta di energia, l'Occidente dovrà essere credibile, rispettando gli interessi dei nuovi Paesi sviluppati e al tempo stesso difendendo lo sviluppo sostenibile.

Ma attualmente anche nei Paesi dell'Occidente la risposta politica alla formidabile sfida energetica è principalmente quella di adeguare l'offerta di energia ai crescenti desideri dei cittadini. Per farlo si studiano nuove fonti energetiche e sviluppi di quelle esistenti. Ogni governo preferisce soddisfare le richieste degli elettori anziché chiedere sacrifici, ma le conseguenze sull'ambiente, sul clima e sui rapporti con gli altri Paesi di una tale scelta sono pericolose. Aumentare l'offerta di energia, anziché ridurne la domanda, è una scelta rischiosa perfino dal punto di vista economico. Secondo l'«International Energy Agency», un euro speso per rendere più efficiente l'utilizzo attuale dell'energia, ne farebbe risparmiare due in investimenti di incremento dell'offerta.

La dimensione politica della limitazione della domanda di energia rappresenterebbe inoltre un test decisivo di governance globale in grado di sviluppare un senso di attiva solidarietà dei cittadini del pianeta. Il risparmio esemplare nelle società sviluppate ne sarebbe un atto fondante. Nel marzo del 2007 i capi di Stato dell'Ue si sono imposti di ridurre entro il 2020 le emissioni nocive del 20% e di aumentare di altrettanto l'energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Il 23 gennaio scorso all'impegno è seguito un pacchetto di proposte legislative della Commissione. Nel vertice di Bruxelles del 14 marzo si è pianificato l'assorbimento nelle leggi nazionali entro l'inizio del 2009, in modo da poter convocare un vertice a fine 2009 a Copenaghen per mettere a fuoco la posizione europea da proporre al posto del Protocollo di Kyoto.

L'adeguamento dell'offerta, cioè la sostituzione delle forme di produzione attuali di energia, è così complesso da rendere dubbi gli obiettivi posti dall’Europa. Il processo di sostituzione delle fonti energetiche richiede tempi molto più lunghi di quanto non si immagini. I costi di avviamento dei nuovi processi produttivi sono spesso altissimi, mentre l'ammortamento dei vecchi impianti richiede decenni, perché la sostituzione al margine sia conveniente. Per i ritardi con cui si è proceduto negli anni passati, gli obiettivi vengono giudicati da numerosi esperti irrealistici e, in alcuni casi, addirittura controproducenti. In ogni caso l'impegno politico necessario a raggiungere gli obiettivi sarebbe straordinario. Infatti Paesi come Germania e Gran Bretagna hanno fatto della politica energetica un capitolo primario dei programmi di governo. La Germania si è posta l'obiettivo di ridurre le emissioni del 40% entro il 2020. La Gran Bretagna prevede un taglio del 60% entro il 2050. In tale senso di emergenza prende profilo la scelta del nucleare a cui sono attribuite condizioni di sicurezza non paragonabili a quelle del passato. Parigi e Londra hanno siglato un accordo per la produzione di centrali nucleari da vendere in tutto il mondo. L'Europa da area dipendente dalle fonti energetiche diverrebbe così fornitrice di infrastrutture energetiche, tagliando l'ambiguo cordone che la lega a Mosca ed Algeri. La nuova assertività europea è rafforzata politicamente dall'impegno alla tutela dell'ambiente globale che può mobilitare consensi nel pianeta.

Si tratta di sfide gigantesche, all'interno delle quali va misurata la situazione italiana. Nel Dpef il governo stima in circa 13 miliardi le sole penalità finanziarie che lo Stato deve pagare per i ritardi di applicazione degli accordi di Kyoto. Anziché avvicinare la riduzione del 6,5% delle nostre emissioni, ce ne siamo allontanati aumentandole di oltre il 15%. Le politiche di approvvigionamento sono conservative e quelle ambientali soggette all'indisponibilità di risorse finanziarie. La dipendenza dall'estero è totale. Sullo sfondo delle sfide energetiche si staglia la fotografia delle strade di Napoli e l'incapacità di realizzare il primo passo del risparmio delle risorse, il riciclaggio. Come le crisi dei rifiuti, anche le emergenze energetiche scoppiano improvvise, ma maturano lungo decine di anni. I processi di soluzione richiedono anch'essi orizzonti decennali. Ma proprio perché tanto ritardate negli effetti, le decisioni dovrebbero essere prese senza perdite di tempo.