oltre i geni il punto sulla mappatura



da boiler.it giugno 2007
 
FOCUS: Genoma

Oltre i geni
Le informazioni per costruire un essere umano non sono racchiuse in quei pochi geni dispersi nel nostro Dna. Le ricerche pubblicate in questi giorni spostano l’attenzione sull’Rna e aprono nuove strade che si intrecciano con gli studi sui geni associati alle malattie. Per un futuro di terapie personalizzate.

Le istruzioni nascoste nel Dna spazzatura
di SARA CAPOGROSSI COLOGNESI

UNA rivoluzione nella nostra comprensione del Dna. Una collaborazione internazionale, Encode (da ENCyclopedia Of Dna Elements), ha svelato misteri che né il sequenziamento del genoma umano né gli studi successivi avevano ancora chiarito. Gli articoli che compaiono questa settimana sulle prime pagine di Nature e di Genome Research permettono di leggere il nostro patrimonio ereditario sotto una nuova luce: non più una serie di geni indipendenti, ma una rete complessa in cui gli stessi geni, insieme a elementi regolatori e ad altri tipi di sequenze di Dna che non codificano proteine, interagiscono in diversi modi che in parte ancora ci sfuggono.
Una collaborazione di 4 anni portata avanti da 80 organizzazioni in tutto il mondo, che ha prodotto risultati incredibili, che pure sono solo una piccola goccia nel mare di quella conoscenza che ancora si nasconde nella doppia elica.
«Questo sforzo massiccio ha svelato molte eccitanti sorprese e aperto la strada per imprese future volte a esplorare il quadro funzionale dell’intero genoma umano», spiega Francis Collins, direttore del Human Genome Research Institute (parte del Nih). «In seguito al grande lavoro e ai risultati entusiasmanti del consorzio Encode, la comunità scientifica dovrà ripensare alcune delle vecchie convinzioni su cosa siano i geni e cosa facciano, così come si siano evoluti alcuni elementi funzionali del genoma. Questo potrebbe avere implicazioni significative per gli sforzi dedicati a identificare le sequenze di Dna coinvolte in molte malattie umane».
Tradotto in parole semplici: se nel 2003 il Progetto genoma ci ha svelato l’informazione genetica completa, per così dire il manuale, per costruire un essere umano; oggi cominciamo a scoprire le istruzioni indispensabili per leggere questo manuale. "Se la mappatura del genoma era una fase preliminare, quella di assoluto rilievo è la comprensione di come funzionano i geni", commenta il genetista italiano Bruno Dalla Piccola, che ipotizza nuove vie per lo sviluppo di terapie in grado di intervenire più efficacemente sul meccanismi cellulari responsabili dei più diversi disturbi dell’organismo.
Man mano potremo chiarire i tanti interrogativi irrisolti, primo fra tutti quello riguardante il Dna spazzatura, tutta quella parte di genoma che sembrava inutile: spazzatura, per l’appunto. In effetti le scoperte più interessanti riguardano proprio queste porzioni (il 97 per cento circa del nostro genoma), che, lungi dall’essere inutili, trascrivono molecole di Rna che si sovrappongono tra loro. Questi trascritti di Rna sarebbero componenti funzionali importanti che forniscono informazioni al macchinario cellulare.
Ecco quindi i primi elementi per dare finalmente una risposta a uno dei principali interrogativi emersi con il Progetto genoma: perché i geni, cui finora abbiamo guardato come alla principale (se non unica) fonte di informazione, costituiscono solo l’1,5-2 per cento dell’intero genoma? I nuovi risultati ci spingono a spostare l’attenzione dal Dna all’Rna, chiarendo l’intero quadro. Non si tratta più di una piccola lista di geni inclusi in un mare di Dna “inutile”: «E’ molto più ragionevole immaginare il genoma come una rete di trascritti di Rna che collaborano tra loro. Alcuni se ne vanno per costruire le proteine; e per quanto riguarda un’altra buona parte di questo Rna, sebbene sappiamo che è là, non abbiamo ancora una visione chiara di cosa faccia. Tutto ciò costruisce un quadro assai più complesso».

Per ora gli studiosi si sono concentrati su 44 obiettivi, che nell’insieme rappresentano l’1 per cento del genoma umano, ossia 30 milioni di coppie di basi di Dna. Questi obiettivi sono stati selezionati in modo tale da ottenere una sezione rappresentativa dell’intero genoma umano.
«I nostri risultati rivelano principi importanti sull’organizzazione degli elementi funzionali nel genoma umano, fornendo nuove prospettive su ogni cosa, dalla trascrizione del Dna all’evoluzione dei mammiferi. In particolare abbiamo ottenuto particolari significativi sulle sequenze di Dna che non codificano proteine, su cui finora sapevamo molto poco», spiega Ewan Birney, dell’ European Bioinformatics Institute britannico, che ha guidato la massiccia integrazione di dati e lo sforzo di analisi di Encode.
In futuro, aggiunge Birney, sembra possibile combinare questi risultati con studi più grandi che attualmente stanno analizzando i geni associati a particolari disturbi. «Man mano che comprendiamo meglio questi aspetti, otteniamo maggiori informazioni sulle patologie, e possiamo elaborare diagnosi ed eventualmente farmaci più efficaci».

Alla ricerca delle variazioni “cattive”

IL più grande studio di genetica riguardante le malattie comuni, dal diabete, all’artrite reumatoide. I risultati pubblicati in questi giorni da Nature sono stati raggiunti grazie a una vasta ricerca che ha riguardato campioni provenienti da 17 mila persone in tutta la Gran Bretagna; condotta grazie a una collaborazione tra 50 gruppi di ricerca e 200 studiosi esperti di genetica umana. In due anni, applicando una nuova tecnica genomica che permette di leggere con una sola operazione una sequenza di Dna in 500 mila punti di un singolo genoma, il Wellcome Trust Case Control Consortium ha raccolto e analizzato 10 miliardi di pezzi di informazione genetica, identificando variazioni del Dna collegate a sette disturbi comuni: disordini bipolari, dell’arteria coronarica, morbo di Crohn, ipertensione, artrite reumatoide e diabete di tipo 1 e 2.
Dal confronto tra un gran numero di pazienti e individui sani, i ricercatori possono identificare le differenze dei ripettivi genomi e associarle eventualmente con disturbi specifici.
«Molte delle malattie più comuni sono assai complesse, in parte di origine ereditaria e in parte ambientale, con i geni che interagiscono con l’ambiente e lo stile di vita», commenta Peter Donnelly, a capo del Consortium, che ha base alla University of Oxford. «Identificando i geni connessi a queste condizioni il nostro studio consente ai ricercatori di capire meglio come funzionano le malattie, individuare le persone più a rischio e produrre trattamenti più efficaci e personalizzati».
I dati raccolti sono in molti casi inaspettati e mostrano che alcune aree del genoma che finora non erano state associate a particolari disturbi hanno invece importanti collegamenti con alcune delle malattie più comuni.
«Solo pochi anni fa sarebbe stato incredibilmente ottimistico pensare che fosse possibile nel futuro prossimo studiare migliaia di varianti genetiche in migliaia di persone», spiega Mark Walport, direttore del Wellcome Trust, che ha finanziato lo studio. «In questa ricerca sono stati analizzati mezzo milione di varianti genetiche in ciascuno dei 17 mila individui, con la scoperta di più di dieci geni che predispongono a malattie comuni. Questa ricerca», continua Walport, «mostra che è possibile analizzare la variabilità umana per quanto riguarda la salute e le malattie, su una scala enorme. Mostra l’importanza di studi come la Uk Biobank, che analizza mezzo milione di volontari tra i 40 e i 69 anni, per capire i link tra salute, ambiente e variazione genetica. Le nuove strategie preventive e i nuovi trattamenti dipendono da una comprensione dettagliata dei fattori genetici, ambientali e comportamentali che sono coinvolti nella malattia».

Per ora, tra i risultati più promettenti si sottolinea la scoperta di quattro regioni cromosomiche contenenti geni che possono predisporre al diabete di tipo 1 e tre nuovi geni per il morbo di Crohn. «Il collegamento tra queste due malattie è una delle scoperte più entusiasmanti del Consortium», commenta John Todd di Cambridge, che ha guidato lo studio riguardante il diabete 1. «Per noi è una strada incoraggiante capire il modo in cui si verificano questi mali. Il meccanismo con cui si sviluppa il morbo di Crohn è compreso in modo approfondito e speriamo che in futuro i progressi nel trattamento di questa malattia possano darci indizi su come affrontare il diabete di tipo 1».
Alcuni risultati ottenuti da questa collaborazione erano già stati pubblicati in aprile, e avevano dimostrato un collegamento genetico tra l’obesità e tre geni implicati nel diabete di tipo 2. E indipendentemente, nel corso di studi su malattie coronariche, è stata trovata una nuova regione importante sul cromosoma 9.
Ora il Consortium si appresta ad affrontare nuove sfide, con priorità a tubercolosi, tumore al seno, malattie autoimmuni alla tiroide, sclerosi multipla e spondilite anchilosante, con lo stesso approccio che ha permesso i successi ottenuti finora.
«L’analisi di un grande gruppo di varianti genetiche in un ampio campione di pazienti e individui sani funziona»¸conclude infatti Donnelly. «Oggi siamo in grado di scansionare la maggior parte della variazione nel genoma umano per cercare varianti associate ai vari disturbi. Questo approccio produrrà indubbiamente grandi progressi nella nostra comprensione e cura delle malattie».

La doppia elica di Watson
di EMILY SINGER

NEI GIORNI scorsi, James Watson ha ricevuto un Dvd contenente tutto il suo genoma, sequenziato negli ultimi mesi dalla 454, un’azienda di Branford che sta sviluppando tecnologie di prossima generazione per la lettura accurata del patrimonio genetico individuale. L’analisi è costata due milioni di dollari, circa mille volte meno di quanto ci sarebbe voluto per una decodifica attraverso metodiche e apparecchiature tradizionali. Il prezzo è ancora al di fuori della portata del cittadino medio, ma secondo gli esperti questo traguardo rappresenta una svolta epocale e un passo avanti cruciale verso la realizzazione del sogno del sequenziamento individuale del genoma ai fini dell’elaborazione di terapie mediche personalizzate per tutti. “È da un paio d’anni che si sente parlare di medicina personalizzata, ma questa è la prima volta che il concetto si materializza concretamente”, commenta George Weinstock, direttore dello Human Genome Sequencing Center presso il Baylor College of Medicine di Houston, ente che ha preso parte al progetto.
I due milioni di dollari e i due mesi di tempo che ci sono voluti per sequenziare il genoma di Watson sono tutt’altra cosa rispetto ai dieci anni e ai tre miliardi di dollari occorsi per ottenere il genoma di riferimento del Progetto Genoma Umano, pubblicato nel 2003. Gli scienziati sperano di abbattere ulteriormente i costi in futuro fino ad arrivare a meno di diecimila dollari, una soglia di prezzo che molti ritengono un possibile punto di svolta per l’avvento della medicina genomica. A quella cifra, molti potrebbero permettersi di farsi sequenziare il genoma, e i medici potrebbero sfruttare i dati per garantire ai propri pazienti un’assistenza più accurata e personalizzata.

Nel corso della conferenza stampa al Baylor College in cui è stato dato l’annuncio del completamento del genoma, il fondatore della 454, Jonathan Rothberg, ha assimilato le innovazioni introdotte dalla sua azienda nelle tecniche di decodifica del Dna alla rivoluzione innescata dagli sviluppi tecnologici che hanno ridotto le dimensioni dei computer fino a renderne possibile l’utilizzo su scala individuale. I macchinari della 454 gestiscono le reazioni di sequenziamento su chip più piccoli di una carta da gioco, ognuno disseminato di circa 800 mila fori. Ciascun chip può svolgere centinaia di migliaia di reazioni in un singolo esperimento, a fronte delle appena 96 reazioni contemporanee possibili quando si è iniziato a tentare di sequenziare il genoma umano.

Malgrado la decodifica del genoma di Watson rappresenti una pietra miliare nello sviluppo delle tecniche di sequenziamento e nonostante il fatto che il suo patrimonio genetico sarà oggetto in futuro di ricerche intensive, è improbabile che nell’immediato possa rivelarsi di una qualche utilità per la salute del ricercatore. Non sono state infatti riscontrate mutazioni particolari che indichino la possibilità per Watson di contrarre determinate patologie, e in fin dei conti la cosa non deve sorprendere, considerato il fatto che lo studioso è arrivato praticamente a ottant’anni senza problemi particolari. Parecchie mutazioni, peraltro, indicano un elevato rischio di cancro, e in particolare una predisposizione al tumore mammario. “Dall’età di 28 anni soffro di carcinoma basocellulare”, ha dichiarato Watson in conferenza stampa, “ma non so se può esserci un collegamento tra le due cose”. Poi ha aggiunto che sua sorella in effetti aveva sofferto di una grave forma di cancro al seno, concludendo che si tratta comunque di una patologia che affligge molte donne, e che per fortuna non ha figlie femmine. Ma ha precisato che se le avesse avute avrebbe consigliato loro di verificare immediatamente la presenza o meno di tali mutazioni anche nel loro genoma.

Il team di ricerca ha inoltre identificato parecchie centinaia di mutazioni interessanti, alterazioni genetiche che possono influenzare le funzioni o l’espressione di un gene. Parecchie di esse non mostrano effetti osservabili, ma 25 sono state collegate a esiti fenotipici in altre ricerche, spiega Richard Gibbs, direttore del centro di sequenziamento del Baylor. “Nessuna, peraltro, ha implicazioni inequivocabili in termini di salute”, commenta.

Sarà difficile interpretare il genoma di Watson finché gli scienziati non avranno raccolto un database più ampio che comprenda i genomi di centinaia di migliaia di individui, le loro caratteristiche, la loro storia clinica e altre informazioni. Tali dati consentiranno ai genetisti di collegare variazioni specifiche a diverse peculiarità di carattere medico e a tratti più generali, come il talento per la musica o la predisposizione all’atletica, attribuendo al genoma ulteriori e più profondi significati.

Il genoma di Watson, che è stato depositato in un database pubblico, non è destinato a rimanere da solo a lungo. L’Illumina, azienda di San Diego che all’inizio di quest’anno ha acquisito una società concorrente della 454, la Solexa, intende infatti sequenziare il genoma di uno dei volontari che hanno prestato il proprio Dna al progetto HapMap, che l’anno scorso ha cercato di elaborare una classificazione delle variazioni genetiche umane. Anche i National Institutes of Health (Nih) stanno lavorando a un’iniziativa del genere: nei prossimi due anni hanno in programma il sequenziamento dei genomi di cento persone diverse. Al momento, si discute di quali popolazioni presentino i corredi genetici più utili ai fini della ricerca. I popoli interessati dal progetto HapMap, che ha coinvolto Nigeria, Cina, Giappone e Utah, sono i principali candidati. E poi c’è Craig Venter, altra celebrità del settore in passato a capo del progetto genoma umano della Celera, che recentemente ha dichiarato di essersi sottoposto anche lui all’esperimento. Il suo Dna è attualmente custodito in un archivio pubblico e, secondo la rivista Nature, il ricercatore è in procinto di pubblicare un saggio sull’argomento.

La 454, dal canto suo, punta a creare una lunga lista di genomi individuali. Michael Egholm, vicepresidente del dipartimento di biologia molecolare dell’azienda, prevede entro il prossimo anno il raggiungimento dell’obiettivo del genoma da 100 mila dollari, traguardo che secondo lui rappresenterà un punto di svolta: da quel momento in poi gli scienziati potranno permettersi di sequenziare centinaia di genomi a scopo di ricerca. Il passo successivo sarà il genoma da 10 mila dollari, che garantirà all’azienda la possibilità di entrare in lizza per i dieci milioni di dollari messi in palio dalla X Prize Foundation lo scorso ottobre per il primo team privato che riuscirà a sequenziare cento genomi umani in dieci giorni. “L’obiettivo è rendere il sequenziamento del genoma umano una pratica di routine”, spiega Egholm. “Un domani tutti potremo avere il Dna sequenziato, probabilmente già al momento della nascita”.

Il caso di Watson costituisce anche un’eccezione per quanto riguarda le questioni etiche sollevate dalla ricerca genomica. Rothberg e colleghi lo hanno preso come primo soggetto di studio in parte come omaggio al suo ruolo di pioniere della ricerca genetica ma anche perché, essendo lui stesso un genetista, è ben consapevole delle criticità che possono emergere dal conoscere e pubblicare il genoma di un individuo specifico. Per esempio, uno potrebbe scoprire di avere una variante genetica associata a una patologia incurabile, come l’Alzheimer. Nella famiglia di Watson, in particolare, si sono verificati molti casi di Alzheimer, e lui ha precisato di non voler sapere se il suo genoma presenta una mutazione denominata Apoe4 collegata a un maggiore rischio di contrarre tale patologia.

Uno dei principali motivi di preoccupazione riguardanti la genomica individuale è la possibilità che si verifichino delle discriminazioni sul lavoro o quando si cerca di stipulare un’assicurazione sanitaria. Diversi stati hanno delle leggi che lo impediscono, ma a livello federale le proposte di riforma in questo senso sono in stallo da anni. Peter Traber, presidente del Baylor, ha dichiarato in fase di conferenza stampa che spera che il completamento del genoma di Watson possa contribuire a sbloccare la situazione. Dal canto suo, Watson dice di non aver rimuginato molto sui contenuti del suo genoma nel lasso di tempo intercorso tra il prelievo del suo campione di Dna e l’elaborazione dei risultati. “Sapevo che conoscere l’esito del test mi avrebbe esposto a possibili ansie”, commenta. “Ma al momento se mi capita di non riuscire a dormire la notte è più probabile che sia perché penso all’Iraq”.