Il nuovo mondo del lavoro





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  Il nuovo mondo del lavoro
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Oggi, primo giorno del quinto mese dell'anno, ci piace pensare ad una società che abbia saputo risolvere il tremendo problema della collocazione dei suoi componenti, assicurando ad ognuno di essi un retto lavoro e quindi un giusto reddito. 

Ci piace dunque pensare ad una società che abbia capito, accettata ed assodata l'idea, che non vi potrà mai essere una felice, generale, trasformazione del mondo del lavoro senza una premurosa ed attenta programmazione delle nascite. 

Mai potremo essere tutti, se vorremo, felicemente attivi senza aver prima stabilito un diretto, stretto, vincolante rapporto tra compiti da svolgere e nuovi esseri da portare al mondo, e da condurre quindi a svolgere detti compiti. Prima occorre sia chiaro quali siano le incombenze, solo successivamente possono essere chiamati alla vita altri esseri umani. Non è ragionevole pensare che si possa affermare un generale sentimento di felicità sulla Terra senza una ricerca sui compiti da svolgere compiuta preliminarmente rispetto alla decisione di far comparire nuovi esseri. 


Se fino a qualche tempo fa era possibile per una persona trovare della terra libera, ed ivi collocarsi a svolgere attività che gli procurassero di che vivere, oggi, che non vi è più alcuna terra a disposizione di chi nasce, essendo già tutta occupata e potendo averne solo togliendola a qualcun altro, oggi che noi umani siamo nettamente ridondanti rispetto ai nostri territori, oggi che ogni risorsa, perfino l'aria, scarseggia, è pretesa assurda, è sfacciata presunzione pensare che si possa tutti "trovare lavoro" senza alcuna programmazione delle nascite in base a doveri da compiere che siano stati prima definiti con ampio margine di tempo. 

E se fino a qualche tempo fa, proprio in virtù del fatto che vi era potenzialmente terra a sufficienza per tutti, la nascita di un nuovo umano poteva essere un fatto di competenza delle sole due persone che si univano per generarlo ed accudirlo, oggi, che un nuovo essere non dispone più di un suo spazio naturale bensì solo sociale, oggi che la società dichiara di volersi far carico di tutte le innumerevoli e giustissime istanze di ogni nuovo essere, non è più ragionevole pensare che essa non abbia a razionalizzare le nascite secondo un piano ampiamente discusso e ben definito con largo anticipo. 


Se davvero desideriamo risolvere, e per sempre, il terribile problema della precarietà, se davvero desideriamo liberarci dalla pena di essere sbattuti al mondo senza che prima in questo stesso mondo sia stato ricavato un luogo economico, fisico e sociale, dove poter risiedere con serena operosità, occorre passare da una riproduzione indiscriminata, lasciata alla inconsapevole, emotiva e limitata, volontà dei singoli ad una consapevole, razionale e lungimirante, volontà collettiva. Altrimenti non meravigliamoci che il mondo sia stracolmo di reietti, non lamentiamoci di soffrire mille problemi di inserimento, non stupiamoci che il mondo rotoli veloce giù per una china oscura: chi tra noi ha accettato di generare, e genera, al buio pesto di una scommessa fatta con la vita essendo tra i primi responsabili di tutto ciò. 


Se davvero desideriamo una società in cui non siamo più costretti ad accapigliarci, a lottare quotidianamente l'un contro l'altro, alla ricerca del necessario di che vivere, accorgiamoci una buona volta che la riproduzione non è più un fatto meramente personale bensì è divenuto prettamente sociale. L'influenza, il contributo, il ruolo degli stessi genitori nei confronti dei figli essendo da tempo divenuto del tutto irrilevante rispetto a quello sociale. Accorgiamoci anche, e soprattutto, che la questione riproduttiva si gioca ormai non tanto in un campo di genuini desideri personali, bensì nel solo campo di una vecchia, primitiva cultura che continua ad essere imposta da un sistema gretto e superstizioso, che continua a scaricare sui figli responsabilità disattese dai genitori. 

Ognuno di noi, semplici individui desiderosi di non portare più acqua ad un mulino diroccato, si apparti allora a cercare interiormente ed intorno a sè gli elementi di una nuova cultura basata, non sul ricordo di ciò che la vita poteva essere un tempo, bensì su ciò che la vita è realmente oggi e potrà essere domani. Risvegliamoci, usciamo dal torpore indotto da un fatiscente sistema che noi stessi contribuiamo a far perdurare, apriamo gli occhi e scorgiamo infine le cose per come realmente sono. Se desideriamo che il mondo cambi, per prima cosa dobbiamo cambiare noi stessi. Non abbiamo l'assurda, infantile pretesa che possa avvenire diversamente. 

Ben lungi dal propugnare una fredda, rigida, angosciante visione meccanicistica, rendiamoci conto che la presente situazione ha ampissimi, propositati margini di miglioramento in virtù di un approccio logico e razionale.


Non pensiamo infine, non illudiamoci, che il problema del lavoro possa esser risolto da chi sulla precarietà altrui costruisce ogni giorno la sua fortuna. Così come la medicina non fu inventata da medici, la giustizia non nacque da avvocati, la religione non da preti, il nuovo mondo del lavoro non potrà scaturire dagli economisti. Impariamo invece noi stessi ad avere e riconoscere buone idee, ad aver fiducia in esse, ad apprezzarle, a criticarle, ad estrapolarne le parti migliori, ad energizzarle, a svilupparle, a lavorarci su, a farle crescere, e, supportati dal potere delle verità in esse contenute, portiamo in trionfo il bene e facciamo sprofondare nella vergogna il male.



Danilo D'Antonio

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V1.2 - 01/05/38



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