chi ferma il cemento?



da edyburg.it
 
Chi ferma il Cemento
Data di pubblicazione: 17.03.2007

Autore: Emiliani, Vittorio

Emergenza casa e consumo di suolo: due facce della medaglia immobiliare. Da l’Unità del 17 marzo 2007. Con una postilla



Se l'impazzimento edilizio in atto in Italia - incoraggiato dai condoni berlusconiani - procederà ai ritmi degli ultimi anni e con esso andrà avanti, ovviamente, il consumo di suolo libero e di paesaggio, regioni splendide come Lazio e Toscana saranno in pratica del tutto cementificate e asfaltate in capo al 2050. Nel periodo 1999-2002 quel consumo sconsiderato di superfici a prato, a pascolo, a bosco si è infatti accelerato, con percentuali vicine al 10 e più per cento. Contemporaneamente, in una città come Roma, l'area degli alloggi dati in locazione si è ristretta dal 50 per cento circa di 30-35 anni fa al solo 24 per cento.
E questo con disagi sociali crescenti e con speculazioni pesantissime sulla pelle dei giovani, degli anziani sfrattati, degli immigrati. Nella pubblicazione annuale del Comune di Roma si parla esplicitamente di «fallimento» della risposta di mercato rispetto alla domanda di alloggi. Eppure negli ultimi sei anni gli investimenti nazionali nella sola edilizia residenziale (quasi totalmente edilizia di mercato) sono balzati da 58 a oltre 71 miliardi di euro (+23 per cento). In tal modo il contributo al Prodotto Interno Lordo delle costruzioni è risultato fondamentale. Praticamente, esso ha puntellato il Pil che, diversamente, avrebbe avuto segno costantemente negativo. In tale situazione i permessi di costruzione hanno galoppato. Con cifre imponenti in Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia. Per l'intera Italia sono oltre 800.000 stanze nel solo 2002. Pochissime però di edilizia economica e popolare. Difatti, nelle città maggiori siamo ad una autentica emergenza-casa.
E la corsa continua: nel primo semestre del 2006 le costruzioni, già in crescita, hanno segnato altri aumenti, del 3,1-3,2 per cento sull'anno precedente. Una autentica «febbre» che ha portato il comparto dal livello 100 del 2000 al livello 129 del 2006. Nel decennio 1992-2002 sono volati come stracci gli sfratti e le compravendite di case hanno toccato un picco del 62 per cento. Il tutto con una popolazione nazionale che invece cresce pochissimo e quel pochissimo soltanto in forza dell'immigrazione. Per la quale non c'è però offerta edilizia, ma solo tanta speculazione.
In questo quadro segnaliamo un dato ancora recente: ormai la speculazione edilizia risale dal mare all'interno collinare. Il fenomeno dunque sta portandosi dalle coste, ormai largamente compromesse, o in pericolo mortale (basta viaggiare sull'Aurelia o sull'Adriatica), alla dorsale appenninica e pre-appenninica «mangiando» altri suoli liberi, erodendo altri paesaggi intoccati. La stessa verde Umbria registra, come la Toscana o le Marche, episodi sempre più diffusi e visibili di cementificazione (con una parallela espansione delle cave impressionante). Basta un nuovo insediamento edilizio a guastare, come nei pressi di Casole d'Elsa, un intero paesaggio collinare, per sempre.
Chi dovrebbe contrastare, regolare, disciplinare fenomeni tanto dirompenti che stanno dissipando l'ultima nostra risorsa, cioè il paesaggio interno?

1) Le Soprintendenze che però hanno scarsi mezzi, pochi tecnici e poteri di controllo indeboliti dal taglio feroce delle spese (anche di quelle di funzionamento) negli anni del governo Berlusconi. Soprintendenze che però usano poco e male anche i poteri e i mezzi di cui dispongono, e a volte chiudono letteralmente gli occhi di fronte a sconci e aggressioni. Basti pensare all'inutile e orrendo mega-parcheggio autorizzato a Capalbio proprio sotto le mura medioevali o agli incredibili lavori permessi nel foro etrusco e romano di Fiesole e nelle vicine necropoli, romana e longobarda.

2) Le Regioni le quali però, in maggioranza, hanno preferito liberarsi dell'incomodo sub-delegando "democraticamente" alla bisogna i Comuni divenuti così i controllori di se stessi. Eppure l'articolo 9 della Costituzione parla chiaro: "la Repubblica tutela il paesaggio", cioè Stato, Regioni, Enti locali, insieme, con un ruolo preminente dello Stato e delle Regioni ribadito da leggi e sentenze della Corte costituzionale. Ma la Regione Toscana, per bocca del suo presidente Claudio Martini, insiste nell'assegnare soprattutto ai Comuni il ruolo di tutori del paesaggio. Quasi che lo stesso fosse un fatto municipale e non più nazionale. Come possono i Comuni fronteggiare validamente un fenomeno di cui abbiamo appena descritto la dirompenza economico-finanziaria?

Oltre tutto, in anni di economia stagnante, questa «febbre» edilizia ha finito per surrogare altre attività, e per portare parecchi denari nelle esauste casse comunali. Lo riconosce per primo lo stesso Martini. Il Titolo V della Costituzione del 2001 (improvviso e affrettato pasticcio di fine legislatura) prevede, è vero, che Stato, Regioni, Enti locali siano «equiordinati». Ma è soprattutto in Toscana che si sostiene in modo esasperato questa "equiordinazione". In altre regioni si è legiferato dopo il Titolo V mantenendo alcuni valori gerarchici (ad esempio, la Provincia sui Comuni). Di recente poi, con la sentenza n.186, la Corte costituzionale è intervenuta a ribadire la sovraordinazione nella attività pianificatoria della Regione sulle Province e di queste ultime sui Comuni. Essa va rispettata, anche per ragioni funzionali. Come va rispettato il Codice per il paesaggio che prevede piani paesaggistici prescrittivi e non semplici e vaghi «piani di indirizzo».

3) i Comuni. Questi ultimi hanno avuto in un recente passato dalla Finanziaria la possibilità di utilizzare i proventi delle concessioni edilizie per tamponare le spese correnti, i «buchi» di bilancio. In tempi di stagnazione industriale e commerciale, l'edilizia è stata pertanto la «salvezza» dei Comuni. Una autentica «droga». Come pensare - che gli stessi Comuni siano i tutori del bene collettivo paesaggio e quindi gli attenti controllori dell'espansione edilizia se quest'ultima è per essi una risorsa vitale per una sorta di «doping» finanziario? Qui si tratta di pesare gli interessi in gioco e in quest'ottica non v'è dubbio che «pesino» di più gli interessi dal cemento rispetto a quelli della tutela paesaggistica. Dunque la sub-delega della tutela ai Comuni da parte della Regione appare insostenibile, da ogni punto di vista.

Insostenibile e pure a corta vista perché in tal modo, per gli interessi di pochi, viene manomesso e svilito un bene di tutti, quel paesaggio che, sedimentato nei secoli, rappresenta anche una formidabile carta di successo nel turismo internazionale di oggi e, ancor più, di domani. Persino un «asset» fondamentale nella promozione planetaria, per esempio, dei prodotti tipici di quel territorio, a cominciare dal vino. E invece il consumo di suolo (e quindi di paesaggio) procede, in Italia e anche in Toscana a ritmi accelerati. Nell'intero Paese nella seconda metà del Novecento siamo passati da 30 milioni di ettari di superfici libere da costruzioni e da infrastrutture a meno di 19 milioni di ettari. Ciò significa che asfalto e cemento hanno coperto un territorio vasto quanto l'intera Italia del Nord.
In Toscana, regione delicatissima, fra il 1999 e il 2003 la superficie ancora libera è scesa sotto il milione e mezzo di ettari, diminuendo - per effetto dell'espansione edilizia, residenziale e non e delle grandi infrastrutture - di ben 169.345 ettari nel quadriennio, con una erosione pari al 10,2 per cento.
Più forte della stessa media italiana che si colloca in quel periodo al 9,5 per cento. Più forte della stessa media del Lazio che, pur comprendendo Roma e il suo cemento continuo, si situa al 9,2 per cento. Se il consumo di suolo dovesse procedere in Toscana a questi ritmi, in meno di mezzo secolo l'intero territorio sarebbe urbanizzato e infrastrutturato, cioè «mangiato» dal binomio asfalto & cemento. Analogamente nel Lazio. A vantaggio della popolazione? No, la popolazione della Toscana, decisamente più vecchia della media italiana (indice 193,3 contro quello nazionale di 135,9), cresce infatti molto lentamente: nel 2004 ammontava a 3.598.269 unità; il saldo naturale era negativo in tutte le province collocandosi nella regione a - 2,1 ogni 1000 abitanti (Italia + 0,3).

Ci sembra che le cifre esposte parlino un linguaggio chiaro, inequivocabile, e che richiedano un ripensamento totale, a livello nazionale, regionale e locale, delle politiche sin qui seguite. Negli ultimi tempi invece alcuni influenti politici regionali si sono detti molto, ma molto preoccupati di tutt'altro effetto negativo, e cioè del cosiddetto «effetto-cartolina».

A loro dire, quanti chiedono rigorose salvaguardie per il paesaggio toscano sarebbero prigionieri di una idea cartolinesca del paesaggio stesso. Ad entrambi vorremmo rispondere con le parole di un grande studioso del paesaggio agrario il quale affermava: «Del paesaggio toscano non potremmo darci piena ragione, nella sua diversità da quello lombardo, diciamo, se considerassimo il processo della sua formazione avulso dalla realtà storica di una cultura toscana, nella quale il gusto del contadino per il "bel paesaggio" agrario è nato di un sol getto con quello di Benozzo Gozzoli per il "bel paesaggio" pittorico, e con quello del Boccaccio per il "bel paesaggio" poetico del Ninfale desolano». Altro che effetto-cartolina. Forse una rilettura di Emilio Sereni (è lui che abbiamo appena citato) e dei suoi splendidi saggi sul paesaggio agrario sarebbe altamente consigliabile ai nostri politici, nazionali, regionali e locali. Darebbe loro una qualche consapevolezza culturale in più ed eviterebbe, a tutti, altri guasti irreparabili nel paesaggio italiano e a quello toscano che nel mondo ha suscitato e suscita una incredibile ammirazione Altro che temere l'effetto-cartolina. Detto brutalmente: qui ci si frega con le proprie mani. E per sempre.

Postilla

Emiliani si è fatto ingannare dal presidente Martini. La Costituzione non parla affatto ci “equiordinazione”. Essa afferma (nuovo articolo 114) che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, e che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Ciò non significa affatto che siano “equiordinati”, cioè posti allo stesso livello, cone la Corte costituzionale (Emiliani lo ricorda) ha costantemente ribadito.