dialogo sui farmaci e sul loro prezzo



da il manifesto
02 Febbraio 2007
intervista
Dialogo sui farmaci e sui loro prezzi
Valentino Parlato
Guglielmo Ragozzino
 
«Nazionalizzare l'industria farmaceutica», e altre provocazioni. Parla l'industriale Claudio Cavazza, presidente della Sigma Tau
Valentino Parlato
Guglielmo Ragozzino

Claudio Cavazza è il presidente della società farmaceutica Sigma Tau, una delle maggiori a capitale italiano. Il manifesto ha chiesto al dottor Cavazza le sue posizioni in tema di prezzo dei farmaci, ricerca italiana e sull'eventualità di una nazionalizzazione del settore, visto che si tratta di un monopsonio (caso di un unico compratore, lo stato). Così, lo abbiamo incontrato per un paio d'ore e abbiamo chiesto spiegazioni. Qui di seguito pubblichiamo le risposte dell'industriale.

«E' possibile un dialogo tra uno sporco capitalista come me e il manifesto? Io dico di sì, perché penso che la vera discriminante sia tra classe parassitaria e classe produttrice. Voi sostenete che i medicinali in Italia siano più cari che all'estero. Non spero di farvi cambiare idea. Dico solo che si tratta di un falso o, peggio, è un luogo comune, come quelli raccolti da Flaubert nel suo "Dizionario". E' comune in tutti i paesi ripetere: siamo i più grandi consumatori di farmaci.... Le nostre medicine sono le più care del mondo...E' il rapporto con il farmaco ad essere ambiguo, a ogni latitudine. Comunque è inoppugnabile che in Italia le medicine costino meno che altrove, in tutta Europa. E' probabile che la confusione, il luogo comune, nascano dall'esperienza degli acquisti dei farmaci da banco, a prezzo libero: ma rappresentano in tutto un 15% della spesa per farmaci. Le statistiche ufficiali, non italiane, ma tedesche, dicono che alla produzione i farmaci italiani costano meno. Facendo il prezzo italiano uguale a cento, l'indice francese è 111, quello inglese è 124, quello tedesco è 129, quello americano 264.
E' vero, ho parlato di nazionalizzazione. L'ho fatto per provocare. Prima, in un'intervista al Sole e poi con il Riformista. Il fatto è che sono "loro", al governo, che controllano il prezzo e lo decidono, servendosi anche delle regioni. Hanno una netta preferenza per il prezzo più basso possibile, ciò che è certo demagogico, ma non è ragionevole come può sembrare. C'è un primo passaggio, all'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, il cui compito è anche quello di controllare i prezzi. Un secondo controllo avviene al momento della contrattazione, poi è la volta delle Regioni e quando è tutto finito e contrattato, il prezzo pattuito te lo ribassano d'imperio. Ma non siamo noi farmaceutici i responsabili del disavanzo del settore sanitario! Così, se il prezzo dei farmaci lo fissa lo stato, allora lo stato si deve assumere anche il compito di produrne. Voglio citare un caso. Ho comprato, per produrlo a mia volta, un farmaco che serve per indurre il parto... aiutarlo, insomma. E' un principio attivo le cui qualità non sono ancora esaminate del tutto. Per dirne una, abbastanza sorprendente, aumenta la libido dei maschi, per ora solo dei topi, in laboratorio. Ma torniamo all'uso principale. Sono sei fiale, sterili. Il prezzo fissato è due euro e io, Sigma Tau, ne incasso uno. Come è possibile pensare ragionevolmente che oggi con un euro si possano fare sei fiale, la scatola, il foglietto illustrativo, il lavoro amministrativo? A due euro si vendono bene le caramelle, forse. Sarebbe come se voi del manifesto foste costretti a vendere il giornale a 10 centesimi. Anzi, perché non lo fate? Non potete? Bene, neanch'io.
Non è vero invece che non ci sia più un'industria italiana del settore. Ci sono Menarini, Chiesi, Abiogen, Rottapharm, Zambon, Bracco, Recordati...noi... Una decina d'imprese abbastanza grandi. Il livello della farmaceutica italiana era di assoluta eccellenza e l'abbiamo perduta. Ancora recentemente eravamo in testa, nel campo dei vaccini e la ricerca la si fa ancora, in Italia, solo che ormai è della Novartis, la conglomerata svizzera. D'altro canto, anche a me capita di riuscire a sviluppare un nuovo farmaco proprio con i finanziamenti di Novartis, facendo con gli svizzeri un accordo. La nostra ricerca italiana di nuovi principi attivi spesso può arrivare fino a un certo punto. Se questo era vero in passato, ora lo è anche di più. Grandi imprese storiche sono entrate a far parte di gruppi internazionali. Farmitalia e Carlo Erba, sono state cedute da Montedison. Forse il limite loro era di fare troppa ricerca, data la limitatezza del mercato interno. Sviluppare un farmaco costa almeno 400 milioni di euro. Questo è il livello del rischio. A volte la puntata non riesce, a volte il successo si rivolta contro come nel caso del Vioxx, l'antiartritico dell'americana Merck, ritirato con una marea di contestazioni e di cause, dopo aver fatto un record di vendite. Merck, numero uno mondiale, stava per saltare per aria. Pfizer, un'altra azienda eccellente, il nuovo numero uno, è essa stessa in cattive acque; così licenzia migliaia di addetti... Io in 50 anni non ho mai licenziato nessuno e non vorrei essere costretto a farlo adesso. Ma voglio dire una cosa che apparirà paradossale. Le imprese italiane non hanno rinunciato alla ricerca e investono molto. Parlo per me che ho una pipeline di ricerca spettacolare, una delle migliori d'Europa. E parlo per gli altri, che costituiscono un settore in pieno sviluppo, nel quale piccoli gruppi di ricerca, appoggiati da piccoli centri universitari, stanno facendo cose molto buone.
La ricerca è la mia speranza ma è anche la mia disperazione: E' un settore il nostro in cui vi sono capacità straordinarie: per tutti cito un caso, quello di Laura Ferro che ha portato la sua struttura di ricerca, Gentium, a Wall Street, direttamente, e ora è classificata come una delle cinquanta donne più importanti al mondo. E' molto difficile la ricerca qui da noi. Facciamo il caso di un farmaco nuovo che mi costa, come ho detto, 400 milioni di euro. Il suo prezzo in farmacia dovrebbe essere di 30 o 40 euro, per un po' di tempo. Invece ci sono ben presto i generici che costano 3 o 4 euro... Nessuna pubblica amministrazione consentirà mai di pagare il primo prezzo. Mi fate notare che è un caso di moneta cattiva che scaccia la buona... La legge di Gresham, mi pare. Ma voglio rimanere sul mio terreno: questi industriali dei generici non hanno altro che uffici legali che servono a buttare giù il prezzo. Il prezzo che il pubblico paga quando compra un medicinale corrisponde però più al costo della ricerca che a quello della materia prima, del principio attivo; perché dopo dieci anni il costo della materia prima si riduce a poco. Il caso è spinoso, ma si può risolvere con una politica attiva per la ricerca. Questo governo, come i precedenti, aveva promesso una politica per la ricerca e poi non ha fatto niente. Notate che noi facciamo il 15% della ricerca del paese. Va a finire che scriverò una lettera a Prodi per investirlo della questione. Mi capirà, spero.
Non tutti al governo vedono di buon occhio la ricerca farmaceutica, però...Non mi credete? ...Pensate a un ministro dell'economia che abbia fatto un contratto, alcuni anni fa, con i pensionati, dando per scontato che questi sarebbero andati in pensione a 58 anni per morire a 65. Il fatto è che oggi una donna su quattro muore dopo i novant'anni. Questa è la catastrofe. I ministri dell'economia ce l'hanno con noi perché gli abbiamo creato un problema. Con i nostri farmaci abbiamo allungato la vita. Siamo all'origine del disastro demografico, il bellissimo disastro, di cui siamo orgogliosi.
Non è da per tutto così. Negli Stati uniti, c'è un ambiente molto più favorevole, per i farmaceutici, a partire dal rapporto tra industria e università. Il risultato è una sorta di élite culturale per cui è più facile per un prodotto americano diventare internazionale: un po' come avviene per i film o per gli artisti, i pittori... Tornando alla ricerca italiana, per noi farmaceutici è indispensabile svolgerla, però occorrerebbe un ambiente più favorevole. Gli stessi ministri del tesoro di prima ragionano come se un convegno scientifico in appoggio alla ricerca, anzi parte della ricerca, fosse una spesa falsa che cela un profitto non tassato. Non ci hanno dato sicurezza i governi, né aiuti consistenti. Si inventano prezzi di riferimento, tetti di spesa cervellotici, pay-back, quando basterebbe defiscalizzare gli utili investiti nella ricerca. Ma è meglio non parlarne, si rischia di demoralizzare la borsa.
In effetti pensiamo di quotare in borsa Sigma Tau. Sono molti anni che vogliamo farlo perché questo ci consentirebbe di raccogliere capitali ed essere presenti anche all'estero, per cogliere subito le novità e i cambiamenti. E per farlo devo avere una pipeline di ricerca; e ce l'ho. E voglio andare avanti con la ricerca in Italia. A Pomezia, c'era, all'inizio, un centro appoggiato all'Imi, cui partecipavano altri industriali che poi si sono ritirati. Sono rimasto io e vado avanti. Non voglio fabbriche in Cina, voglio fare fabbriche in Italia, fare ricerca in Italia. Se non mi mettono bastoni tra le ruote e riescono a capire che non si può considerare come spesa produttiva, non tassata, la pubblicità del lucido da scarpe e utile, da tassare, un congresso di scienziati. Qui tutti diventano grandi imprenditori quando delocalizzano. Ma perché si deve arrivare a questo punto? Non credo che sia giusto così. O il nostro paese deve diventare un posto per camerieri e gondolieri, come diceva Marinetti di Venezia?
Mi chiedono sempre più spesso. "Hai più di settant'anni, perché lo fai?" Io rispondo con l'apologo del portabandiera di Napoleone che dopo aver perso a cannonate le due braccia e una gamba, saltellava sull'altra portando la bandiera con la bocca. Venne Napoleone e gli chiese: "perché lo hai fatto, mio eroe? Per il tuo imperatore?, per la Francia, per i tuoi figli, perché?" E a ogni domanda rispondeva no. "Orsù -- disse l'imperatore - perché allora?" "Per tigna, l'ho fatto. Per tigna". Così io, ma anche perché penso che potremmo essere un grande Paese davvero!
Ma vedo che scuotete la testa».....