stare al mondo nell'era del telefonino



da il manifesto - 21 Settembre 2005
 
Stare al mondo nell'era del telefonino
DANIELA PADOAN
 
Dai segnali di fumo agli sms
PAOLO MAROCCO
 
Stare al mondo nell'era del telefonino
Nell'ultimo libro di Maurizio Ferraris, titolato per Bompiani Dove sei? una accurata disamina filosofica del nostro strumento di comunicazione più diffuso. Che ci riporta, tra l'altro, al trionfo della scrittura
DANIELA PADOAN

Aprendo l'ultimo libro di Maurizio Ferraris, Dove sei? Ontologia del telefonino, la prima reazione è di stupore: un saggio filosofico sul telefonino? Subito dopo, però, ci assale un senso di stupidità, che ha poi la stessa radice semantica. Perché quell'oggetto - che proprio mentre leggi sta sulla scrivania, o in tasca, o in borsa, quell'oggetto amato o odiato ma comunque presente - comincia a porci delle domande: così tante, ovvie e radicali, che si convertono in stupore per la nostra ottusità nell'averlo fino a quel momento maneggiato come un oggetto stupido. A quel punto, certamente, squilla; e il nostro chiedere, o sentirti chiedere dall'interlocutore, «dove sei?» perde la consueta irriflessività. Proprio quel «dove sei?» costituisce infatti, secondo Ferraris, il punto da cui «iniziare a dipanare il gomitolo dell'immensa ontologia del mondo sociale in cui sta il telefonino, ma che, piuttosto paradossalmente, sembra anche stare nel telefonino, proprio come la testa sta nel mondo e il mondo sta nella testa». La pervasività di questo strumento, insieme alla gestualità, alle ritualità, ai codici e ai galatei che impone, fanno da tessuto delle nostre giornate. Il telefonino è dappertutto, «ci lega con un filo invisibile - giacché non ne possiede uno - e contemporaneamente disloca la presenza». Chiedersi allora cos'è, che tipo di oggetto è, diventa domanda filosofica. Giocando sull'affermazione che, come la morte in Heidegger, il telefonino - sintesi di ubiquità e di individualità - è solo nostro, Ferraris trasforma l'heideggeriano Essere e tempo in Essere e campo, indagando su un essere-al-telefonino capace di ridefinire i modi in cui si manifesta il nostro stare al mondo.

Le immagini contenute nel libro, a cominciare da quella in copertina, dove un ebreo ortodosso poggia il cellulare sul Muro del pianto, sono pienamente parte del testo. Un santone Sadu in riva al Gange, sigaretta in una mano e cellulare nell'altra; una tomba a forma di cellulare in un cimitero israeliano; una bara a forma di cellulare in Ghana. Fino a Megan Gale, con quel «tutto intorno a te» della pubblicità che d'un tratto si fa illuminante e persino sinistro, e non solo per via di tutti gli Echelon ed Enigma che spiano le nostre esistenze.

Sfogliando i giornali, è ormai difficile non imbattersi nel «testimone secondario». Basti pensare alle chiamate disperate dei passeggeri e delle hostess a bordo degli aerei utilizzati per l'attacco alle Twin Towers - quando il telefonino cominciò a essere guardato con sospetto, come dispositivo in grado di fare da innesco alle bombe - o alle immagini della metropolitana di Londra. Poiché davvero il libro di Ferraris «connette», vengono in mente decine di spunti. Alcuni soldati americani, dalla prigione di Abu Grahib, mandarono ad amici e parenti foto e video catturati col telefonino, quasi delle cartoline delle torture, e proprio per questo il Pentagono non riuscì a mettere a tacere l'esistenza delle foto e dei filmati «veri». E ancora, molte rivolte degli immigrati rinchiusi nei Centri di permanenza temporanea hanno potuto trovare un appoggio esterno tramite i cellulari; tra i maggiori motivi di sofferenza denunciati dagli internati ci sono le restrizioni all'uso del telefonino (unica possibilità di relazione col mondo di fuori, e soprattutto con gli avvocati, in una totale assenza di assistenza legale). Non si tratta solo di una questione tecnica; il cellulare «tocca il nostro modo di stare al mondo, e lo tocca filosoficamente, certo molto di più di quanto non avvenisse con i `mezzi di comunicazione di massa', perché qui abbiamo a che fare con un 'mezzo di registrazione di massa'. Prima ce ne accorgiamo, meglio è». Per il momento possiamo farci l'home banking, ma prima o poi, assicura Ferraris, «verrà l'ora dell'incorporazione del codice fiscale, della patente, della carta d'identità e del passaporto, oggi documenti scritti su carta o su plastica, domani fagocitati dal telefonino: questo è il mio corpus (i miei indirizzi, la mia identità, i miei soldi, il mio archivio)».

Proselitismo, servizi religiosi, preghiere, un Mobile rosary, ovvero un rosario che si recita con il telefonino, fotografie di miracoli, del papa defunto, offerte per lo Tsunami, aggiornamento continuo delle news, tutto questo e molto altro sta nel telefonino, ovvero in quell'oggetto che, secondo l'autore, solo apparentemente rappresenta il trionfo dell'oralità, ma è invece il trionfo della scrittura; una scrittura che torna addirittura all'ideogramma, a quello scrivere che non ricopia la voce ma disegna cose e pensieri, come è nel caso degli emoticons.

Prendendo le mosse dall'affermazione di Derrida che «nulla esiste fuori del testo», Ferraris traccia una via impensata e diretta per giungere al ruolo decisivo della scrittura nella costruzione della realtà sociale. Fuori del testo c'è un mondo intero, ma senza iscrizioni non c'è mondo sociale, e il telefonino, grazie alla sua possibilità di incamerare iscrizioni, diviene un grande costruttore di realtà sociale.

Dai segnali di fumo agli sms
PAOLO MAROCCO
 
Piccola mappa delle tappe evolutive scalate dalla comunicazione a distanza

Nei primi dell'800, i sistemi di comunicazione a distanza si basavano ancora sulla lettura e la decodifica di segnali visivi. Quello più funzionale, ideato nel 1792 da Claude Chappe era costituito da aste marcate con tacche simboliche, visibili per mezzo di un buon cannocchiale fino a 10 km di distanza. Le tacche venivano lette, e il messaggio decodificato tramite una tabella che gli associava un lessico verbale, quindi ritrasmesso con lo stesso procedimento del gigantesco righello alla stazione successiva, e così via fino a giungere a coprire, verso la metà del secolo scorso, tutto il territorio francese. Concettualmente l'idea era più o meno la stessa dei segnali di fumo dei pellerosse, eppure, all'epoca, la rete Chappe non ebbe concorrenti, finché Samuel Finley Morse, negli anni trenta del XIX secolo, progettò finalmente un sistema di comunicazione a distanza capace di strizzare l'occhio alla modernità: il telegrafo. Morse, figlio di un pastore protestante, per promuovere la sua invenzione sfruttò un'associazione tra i fenomeni elettromagnetici e l'afflato spirituale allora in voga, dichiarando di essere stato colto da un sorta di «folgorazione, o ispirazione divina», che gli aveva indicato come progettare sia i due apparecchi trasmittente/ricevente sia un nuovo alfabeto, particolarmente adatto per uno scambio veloce ed efficiente dei messaggi. E in effetti il nuovo sistema stabiliva dei codici che avrebbero invaso la contemporaneità. Innanzitutto il legame tra comunicazione e registrazione, che nella precedente rete Chappe era molto più indiretto e contingente: il nastro perforato del telegrafo diventava sia l'informazione che veniva comunicata, e immediatamente letta e trascritta dall'addetto, sia una sorta di memoria di quello che veniva comunicato, e questa memoria poteva venire archiviata e conservata come prova dell'avvenuta comunicazione.

Il libro di Maurizio Ferraris, Dove sei? Ontologia del telefonino, mette particolarmente in rilievo sia il valore della scrittura simbolica indipendentemente dall'atto, come valore di registrazione, sia il legame che questa registrazione detiene con la comunicazione nell'uso del cellulare. Il nuovo carattere integrativo e multifunzionale proprio dello strumento assorbe sia l'antica funzionalità di scrittura come memoria e archivio di oggetti, che già deteneva il Pc ma in maniera isolata e locale, sia la condivisione di questa memoria all'interno di una globalità comune. In particolare le e-mail e gli sms sono i due vettori portanti, e costituiscono le nuove frontiere di una pratica, quella della scrittura, che fino agli anni `80 sembrava completamente sepolta dai nuovi monopoli delle immagini e delle sonorità. Quando nacque il telefono, come ricorda Ferraris - ma l'evento cruciale si può far risalire all'invenzione del telegrafo - si pensava che le persone non avrebbero più viaggiato. Strano, perché a ben pensarci le linee telefoniche, o telegrafiche, spesso correvano lungo i binari della ferrovia o lungo le strade, specialmente per motivi di controllo e difesa dei due mezzi di comunicazione, dando l'idea di una doppia continuità. Al contrario l'esistenza di pali del telefono, o di sole antenne, senza più strade è sempre stata prerogativa di una visione apocalittica del mondo. Il concetto di una mobilità che fosse al contempo fisica e simbolica, è forse nato quando la seconda si è evoluta abbastanza da allontanarsi dai segnali di fumo, ovvero alla nascita dei primi strumenti che istituivano un flusso informativo continuo e contiguo. Su questa scia, il cellulare non ha fatto altro che creare una nuova convivenza, più privata ed esclusiva, tra le vecchie alleanze.