Quanto costa il Fazio-gate?



Quanto costa il Fazio-gate?
di Marco Saba - 2 settembre 2005

A parte il danno enorme della truffa-signoraggio, che verrà meglio 
giudicato da una Commissione d'inchiesta Popolare, se non da un vero e 
proprio Tribunale del Popolo, vista l'apparente latitanza della 
magistratura ordinaria in merito, Fazio è comunque molto caro. Ma non 
perché, come dicono i soloni, lo scandalo collegato mina la fiducia 
nell'istituzione Bankitalia - onorata società che qualcuno dovrà spiegare 
esattamente in che cosa si differenzia dalla fattispecie prevista 
dall'art. 416 bis del Codice Penale - anzi, proprio lo scoppio dello 
scandalo indica che in Italia, a differenza che in Francia, rimane un po' 
di senso di responabilità.
Pertini amava dire: "Non tutti i francesi sono ladri, ma Bonaparte sì!" 
Occorre sapere difatti che il socio di maggioranza di Bankitalia è il 
Crédit Agricole, dietro cui si nascondono i signori francesi del 
signoraggio: vedi Lazard e Rothschild. Apro una parentesi: occorre 
distinguere tra "ebrei" e "hofjuden", come giustamente fece Hannah Arendt. 
Altrimenti non si spiegherebbe come ogni cittadino di Israele si veda 
sottratta una quota di signoraggio procapite pari a 800.000 dollari USA - 
sempre meno comunque del milione e trecentomila euro rapinati al cittadino 
UE.
Il danno a cui mi riferisco è rappresentato dagli stipendi di cui si 
appropriano 8.070 dipendenti - di cui 665 altissimi dirigenti - della 
Bankitalia. Per avere un paragone: i dipendenti della Banca Mondiale sono 
9.300. Per non esaminare caso per caso - anche se sarebbe interessante 
sapere esattamente CHI sono questi 8.070 individui e da dove, e come,  
arrivano - parliamo di Fazio. Secondo una recente ricerca ancora da 
pubblicare, Fazio prende uno stipendio superiore a 600.000 euro all'anno, 
circa il doppio del suo collega olandese Nout Wellink e 150.000 euro di 
più dello stesso Jean-Claude Trichet, presidente della BCE. Fazio è 
l'unico, nel piccolo mondo dei banchieri centrali della UE, ad essere 
eletto a vita. Alan Greenspan, della (privata) banca centrale Federal 
Reserve, prende uno stipendio annuale di 174.500 dollari, circa 140.000 
euro. Meno di un quarto di Fazio!
Premesso che la mia opinione personale è che le banche centrali andrebbero 
sciolte e sostituite da un organismo tipo "Ufficio Pesi e Misure", dei 
ricercatori dell'Università di Heidelberg dicono che gli stipendi 
dei "governatori" andrebbero equiparati.
Certo che, se è vero che si tratta di una attività dannosa alla 
collettività, chi accetterebbe di farla per uno stipendio onesto? I sicari 
monetari devono giocoforza essere pagati molto bene. D'altra parte, come 
detenuti costerebbero alla comunità 600 euro al giorno.
I costi di gestione della Banca di Francia da sola superano quelli 
dell'intero sistema della Federal Reserve. Prendendo i dipendenti delle 
banche centrali nel loro insieme, i costi variano in modo drammatico.  
Consideriamo di spalmarne il costo procapite: nell'eurosistema lo staff 
della banca centrale europea pesa 4,47 miliardi di dollari all'anno 
(2004). Ovvero 14,57 dollari per ogni adulto, bambino ed anziano europeo. 
Sempre nel 2004, la Federal Reserve è costata 1,6 miliardi di dollari, 
ovvero 5,47 dollari per ogni cittadino americano. In Inghilterra hanno 
speso 200 milioni, cioè 3,3 dollari a testa. Alcuni paesi molto piccoli 
riescono a spendere di più degli europei: In Islanda, 25 dollari procapite 
all'anno. Ma quelli che spendono meno in assoluto sono paesi come la 
Cecoslovacchia, il Canada e la Nuova Zelanda con meno di 3 dollari 
procapite all'anno. La più economica in assoluto è la Polonia, che ha 
anche drasticamente tagliato le spese licenziando parecchio personale del 
proprio ente inutile centrale.
Questo dimostra che, non solo i compiti di queste organizzazioni 
autarchiche sono identici, ovvero depredare il popolo tramite la 
contraffazione monetaria, ma che il "valore" della loro "grande" opera con 
conosce alcun criterio di uniformità. Come a dire: se è vero che il 
crimine non rende, in Polonia, in Italia rende ancora parecchio eccome!


"C'è un fatto straordinario e del tutto fuori del comune, che è 
completamente sconosciuto ai cittadini italiani poiché nessun giornale 
italiano si è mai sognato di scriverne anche un minimo dettaglio. Per 
poterne sapere qualcosa, è necessario leggere un articolo del prestigioso 
settimanale inglese The Economist. Si apprende che la Banca d'Italia è 
l'unico istituto centrale al mondo che, benché sia chiamato a svolgere le 
funzioni di controllore, addirittura investe nelle azioni dei suoi 
controllati. Il che è veramente fuori dell'ordinario dal punto di vista 
dell'etica e di quello che si suole definire conflitto d'interessi. 
L'Economist definisce il nostro istituto centrale "la Banca coi 
tentacoli". E, per rendere ancor più chiaro il concetto, pubblica a 
corredo dell'articolo la fotografia di una piovra.

Scrive l'Economist che, alla fine del 1996, Bankitalia valutava le sue 
partecipazioni a 1900 miliardi di lire. Il valore reale di mercato in 
termini attuali può essere tranquillamente definito di gran lunga 
superiore. La rivista inglese parla del 4,9 per cento delle azioni delle 
Assicurazioni Generali, mettendo nel giusto rilievo il ruolo di Mediobanca 
nel controllo della società che ha sede a Trieste. Tra le partecipazioni, 
viene anche indicato il 2,6 per cento del gruppo IFI, cioè la cassaforte 
della famiglia Agnelli, più altri pacchetti azionari.

"I suoi investimenti", continua il settimanale britannico, "danno alla 
Banca d'Italia una sostanziale indiretta partecipazione nel business delle 
banche essendo le Generali il secondo maggiore azionista sia della Banca 
Commerciale Italiana sia del Banco Ambrosiano Veneto."

Secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, prima della 
pubblicazione dell'articolo - 19 luglio 1997 - il corrispondente da Roma 
dell'Economist cerca di avere qualche notizia in merito dai diretti 
interessati. Ma la risposta diramata dall'ufficio stampa del governatore 
Antonio Fazio è talmente scoraggiante da fargli scrivere: "La Banca 
d'Italia rifiuta di commentare i suoi investimenti azionari e non dirà 
nulla di come sono gestiti. Rifiuta persino di fornire informazioni che 
sono normalmente disponibili attraverso la Consob". Quindi, non si deve 
mostrare alcuna meraviglia se i pezzi pregiati del disastratissimo Banco 
Ambrosiano sono andati a finire nelle mani dei soliti "amici della 
parrocchietta ".

Francesco Pazienza, IL DISUBBIDIENTE, Longanesi, 1999