aree urbane abbandonate al traffico



da lavoceinfo.it
23-05-2005
Aree urbane abbandonate al traffico
Mariarosa Vittadini

Le aree urbane sono divenute il luogo della congestione stradale, del
deterioramento da traffico dell'ambiente, dell'inquinamento dell'aria, dell'insicurezza,
cioè sono uno dei fattori più critici del funzionamento del paese. Tanto
che il disagio complessivo del muoversi è divenuto uno dei motivi
importanti di peggioramento della qualità della vita quotidiana.
Congestione e insicurezza si riverberano poi su tutto il sistema dei
trasporti, comprese le infrastrutture per le lunghe distanze, con un danno
economico diretto e indiretto di amplissime proporzioni.
La gravità del problema si comprende meglio se si considera che la mobilità
di breve raggio costituisce la grandissima maggioranza della mobilità dei
passeggeri. Il rapporto Isfort-Asstra del 2005 fotografa la situazione in
questi termini: tra il 2000 e il 2004 la mobilità delle persone in Italia
sarebbe in netto decremento (-6 per cento degli spostamenti e -25 per cento
delle percorrenze), mentre la mobilità interna ai perimetri urbani
continuerebbe a crescere. (1) Nei perimetri urbani si concentrerebbe così,
al 2004, poco meno del 90 per cento della totalità degli spostamenti di
persone e poco meno del 60 per cento delle percorrenze (passeggeri-km). (2)
Il declino del trasporto pubblico
Tutte le componenti del trasporto pubblico urbano, con pochissime
eccezioni, fanno registrare una situazione di ristagno, quando non di
perdita di quote di domanda. Sempre l'indagine Isfort-Asstra quantifica
nella modesta proporzione del 12,7 degli spostamenti e 15,2 delle
percorrenze la quota percentuale di mobilità urbana servita dal trasporto
pubblico. Tali quote salgono rispettivamente al 23 per cento e al 31per
cento nelle città di maggiori dimensioni, ma restano comunque inferiori a
quelle delle città centro-europee. I principali problemi ruotano intorno
alla antica e tuttora irrisolta questione degli investimenti per i
trasporti locali. Abbandonata alla fine degli anni Settanta l'idea di
addossare gli investimenti per lo sviluppo del trasporto pubblico ai
fragili bilanci comunali, lo Stato ha finanziato direttamente, di volta in
volta, questa o quella componente infrastrutturale o tipologia di mezzi.
Provvedimenti e leggi frammentarie, ad hoc, spesso emergenziali e al di
fuori di qualsiasi visione programmatica hanno finanziato, a singhiozzo,
opere mai sottoposte alle necessarie valutazioni.
Il risultato è l'evidente sottodotazione delle città italiane rispetto alle
città europee.
Quantità e qualità
Le modalità di organizzazione della circolazione consentono tuttora all'automobile,
nella maggior parte dei casi, di vincere la competizione sulla velocità e
la sicurezza dei tempi di viaggio. Le profonde trasformazioni nella
organizzazione del territorio degli ultimi venti anni si sono accompagnate
a un mutamento altrettanto profondo della struttura degli spostamenti,
sempre meno sistematici e sempre meno destinati alle zone centrali. Il
trasporto pubblico ha invece mantenuto la tradizionale impostazione
orientata al servizio dei centri, lasciando sostanzialmente all'auto le
altre relazioni.
Rivedere questa impostazione comporta un enorme sforzo organizzativo,
finanziario e anche culturale. Significa passare da politiche "modali" a
politiche di integrazione (dei servizi, degli orari, delle tariffe, dell'uso
delle infrastrutture, anche dell'automobile, utilizzando ampiamente
politiche di pricing delle strade opportunamente mirate. Il trasporto
pubblico locale italiano si distingue in Europa per la più bassa quota di
trasporto su ferro: 35 per cento contro il 55 per cento della Francia, il
53 per cento della Germania, il 52 per cento dell'Inghilterra. (3)
La quota di trasporto su ferro è un buon indicatore di qualità del
servizio. In Francia, Germania e Inghilterra tram e ferrovie locali hanno
per lo più sedi proprie, frequenze elevate, e hanno beneficiato di
notevolissimi investimenti in innovazioni tecnologiche delle infrastrutture
e dei mezzi. In molti capoluoghi regionali italiani il potenziamento
infrastrutturale per lo sviluppo di servizi ferroviari regionali e
metropolitani è da anni in via di realizzazione con tempi lunghissimi e
discontinuità di finanziamento defatiganti. E i servizi di trasporto
ferroviario regionale effettivamente prodotti non hanno dato finora
brillante prova di sé.
Una cura che può uccidere il paziente
Per ottenere qualche risultato in termini di alleggerimento della
congestione lungo gli assi stradali e autostradali che attraversano le aree
dense occorre, insieme allo sviluppo dei servizi ferroviari, procedere alla
integrazione ampia di tutti i mezzi di trasporto, automobili comprese,
ripensare tutte le reti infrastrutturali (strade incluse) e le loro tariffe
d'uso con l'obiettivo di far funzionare il sistema integrato, ripensare
alle modalità di sviluppo degli insediamenti e alla localizzazione dei
grandi attrattori. Stiamo invece assistendo al processo inverso. Forti
della esasperazione per la congestione endemica degli assi che attraversano
le aree dense sono nati ovunque progetti di grandi bypass autostradali e di
nuovi anelli tangenziali sempre più esterni. Milano, Bologna, Firenze,
Roma, Venezia e molte altre città si misurano oggi con simili proposte.
La logica è quella di spostare il traffico di attraversamento su nuovi assi
esterni lasciando i vecchi al traffico locale. È del tutto evidente che
questa cura ammazza il paziente. Perché la nuova capacità stradale
incentiva ulteriore speranza di muoversi verso la città e nella città con l'automobile
e si satura con incredibile rapidità. Con il risultato che i nuovi assi
autostradali non si pongono, per loro natura, il problema dell'integrazione
modale, mentre la strada vecchia dal punto di vista dell'integrazione resta
inadeguata come prima.
Speranze per il futuro
Qualche speranza per il futuro potrebbe venire dalla effettiva elaborazione
e realizzazione dei Piani urbani della mobilità introdotti con il Piano
generale del trasporto locale. Perché i Pum sono strumenti di
pianificazione dei trasporti come "progetti di sistema", si pongono in una
prospettiva di lungo periodo, considerano le infrastrutture come componente
fondamentale dell'assetto territoriale e delle sue trasformazioni e
assegnano all'amministrazione che pianifica la piena responsabilità delle
sue scelte. Il che equivale a dire che devono essere elaborati insieme ai
piani per il governo del territorio e sulla base di valutazioni economiche
e ambientali più rigorose di quelle che hanno accompagnato le opere della
Legge 211/92.  Tuttavia, dei mille miliardi (dell'anno 2000) che ogni anno
avrebbero dovuto essere dedicati al loro finanziamento non vi è traccia.
Mentre una buona quota di risorse della Legge obiettivo è dedicata alla
realizzazione dei bypass autostradali.
Sembra dunque urgente cambiar rotta. Il problema delle aree dense e della
loro infrastrutturazione ha ormai una dimensione e una gravità troppo a
lungo sottovalutate nelle politiche nazionali.
(1) Si veda Isfort-Asstra Avanti c'è posto? Rapporto annuale Asstra-Isfort
sulla mobilità urbana: i bisogni dei cittadini, le risposte della città,
aprile 2005. L'indagine è condotta mediante interviste a un campione
significativo di persone con età compresa tra 14 e 80 anni. Per
"spostamenti urbani" si intendono quelli destinati allo stesso comune di
residenza dell'intervistato e inferiori a 20 km.
(2) Il condizionale è d'obbligo perché molte altre fonti di informazione
fanno registrare invece una crescita forte delle distanze percorse e della
mobilità con origine in un comune e destinazione in un altro comune: dunque
esterna ai perimetri urbani come definiti dall'Isfort.
(3) Si veda l'analisi di benchmark europeo condotta da Earchimede per
Asstra e Anav.