tecnologia dove va l'innovazione



da boiler.it venerdi 8 aprile 2005

Tecnologia

ricerca e sviluppo
R&S 2004, tra luci e ombre
di DAVID ROTMAN

LA SPESA aziendale in ricerca e sviluppo rimane la forza trainante
dell'innovazione. In realtà le 5 aziende con i maggiori bilanci di R&S
hanno investito da sole 33,6 miliardi di dollari lo scorso anno, più di
quanto il governo americano abbia speso in R&S portati avanti dagli enti
federali. Ma la tendenza negativa iniziata nel 2001 continua: la spesa
aziendale in R&S è in calo. Il decremento dello 0,6 per cento nel 2003 è
minimo, ma viene subito dopo il rapido declino del 2001 e del 2002,
successivo a diversi anni di robusta crescita. L'aspetto più preoccupante è
che il trend negativo non è limitato solamente ai pochi settori in
difficoltà, come le telecomunicazioni, ma abbraccia trasversalmente interi
comparti industriali e include alcuni dei maggiori investitori mondiali in
R&S. In effetti 3 delle 5 aziende che hanno più speso in R&S hanno mostrato
decrementi significativi nei loro bilanci del 2003: chi ha investito di
più, Ford Motor, ha tagliato il suo bilancio di 200 milioni di dollari, e
Siemens, un'azienda tradizionalmente impegnata in R&S, ha ridotto il suo
bilancio di 900 milioni di dollari. Il quadro, comunque, è lontano
dall'essere del tutto desolante. L'indice d'innovazione di Technology
Review, che è calcolato su quattro parametri chiave, mostra una spesa
sostenuta - e crescente - delle principali aziende farmaceutiche,
biotecnologiche e informatiche. Nomi familiari come Pfizer, Amgen e Nokia
sono in cima alla lista. Ma l'indice d'innovazione contiene anche alcune
sorprese. Nelle posizioni di testa figurano BMC Software e l'azienda
svizzera di biotecnologie Serono. Volkswagen e Nissan Motor si trovano, a
differenza della maggior parte dei loro concorrenti dell'industria
automobilistica, accanto a Merck e Intel.
Abbastanza prevedibilmente, le aziende farmaceutiche ed elettroniche fanno
la parte del leone tra le 150 prescelte, con 28 aziende farmaceutiche e di
apparecchiature mediche e 19 imprese di elettronica. In ogni caso si può
notare il continuo consolidamento della ricerca in alcuni settori. Per
esempio, nel 2003 Intel ha speso 4 miliardi e 360 milioni di dollari,
mentre il suo rivale più accreditato nel campo dei semiconduttori aveva un
bilancio di R&S soltanto di 1 miliardo e 720 milioni di dollari. Persino in
un'industria altamente concorrenziale in campo tecnologico come quella
biofarmaceutica un'azienda, Pfizer, domina con un bilancio di 7 miliardi e
130 milioni di dollari; la seconda in lista la segue a una distanza di
circa 2 miliardi e 200 milioni di dollari.
Naturalmente i bilanci di R&S riflettono solo parzialmente lo stato
dell'innovazione. Nelle pagine che seguono verranno presi in considerazione
tre progetti aziendali di ricerca; sono tutte storie differenti sulle
difficoltà di commercializzare tecnologie radicalmente nuove, da cui si
evince come i fattori finanziari, aziendali e legali giochino tutti un
ruolo determinante nel portare le nuove tecnologie fuori dai laboratori,
sempre che ciò avvenga. I tre diversi casi offrono uno sguardo d'insieme
sul funzionamento degli attuali laboratori di ricerca aziendali.

Polimeri per i pixel
di JESSICA GORMAN

I GRANDI magazzini di elettronica, come Best Buy, sono stati in grande
agitazione in previsione degli acquirenti in cerca del regalo giusto per le
feste di Natale. Alcuni degli articoli più cari erano quelli che attiravano
di più l'attenzione: file su file di TV a schermo piatto da 50 pollici del
costo di migliaia di dollari. Ma tra qualche anno, se l'attuale ricerca di
Philips Electronics avrà successo, i negozi offriranno un'alternativa più
economica: una TV a schermo piatto che rende le immagini vive con uno
strato di diodi a emissione luminosa (LED, light-emitting diodes) che usano
nuove molecole organiche.
Philips, uno dei più grandi produttori di display a schermi piatti a
cristalli liquidi (LCD, liquid-crystal display) e a plasma, ha lavorato più
di un decennio nei suoi laboratori di Eindhoven, in Olanda, per
perfezionare gli schermi al polimero. La tecnologia, dice Nijs van der
Vaart, responsabile del progetto a Eindhoven, «presenta numerosi vantaggi».
In questo caso il nero è «veramente nero», mentre gli schermi LCD
permettono alla luce di filtrare attraverso i pixel oscurati. E a
differenza degli schermi a cristalli liquidi la nuova tecnologia consente
la visione da qualsiasi angolo; elimina anche le ombre degli oggetti in
movimento rapido, come i palloni da calcio. Ma il vantaggio che i
consumatori potrebbero trovare più accattivante è un prezzo potenzialmente
più basso di qualsiasi televisore LCD o a plasma; in teoria, almeno, la
produzione di display senza materie plastiche a emissione luminosa sarà
molto più economica.
Il nuovo tipo di display di Philips si basa su una scoperta fondamentale
nella scienza dei materiali. Normalmente i polimeri non emettono luce, ma
nel 1989 i fisici dell'Università di Cambridge svilupparono un nuovo tipo
di plastica che splende luminosamente se stretta tra elettrodi.
Immediatamente Philips iniziò a condurre ricerche sulla nuova tecnologia.
Per un produttore di display come Philips, le implicazioni erano ovvie:
l'invio selettivo di elettricità su aree ristrette dello strato polimerico
avrebbe indotto queste aree a emettere luce. In altre parole, si potevano
ottenere dei pixel.
Philips ha numerosi concorrenti che stanno cercando di migliorare le
prestazioni dei display a schermo piatto, ma l'azienda spera di
aggiudicarsi un vantaggio importante facendo leva sulla sua esperienza nei
campi della chimica e della scienza dei materiali. Van der Vaart e i
ricercatori che lo affiancano stanno studiando modi originali per
sviluppare le capacità di emissione di luce dei polimeri. Essi hanno anche
ideato una nuova stampante a getto d'inchiostro che utilizza diverse
testine rotanti per depositare i polimeri sotto forma di pixel rossi, verdi
e blu. Philips ritiene che il sistema di stampa sia potenzialmente un modo
economico e versatile di produrre schermi televisivi di grandi dimensioni.
Un problema che i ricercatori di Philips continuano a fronteggiare è la
durata dell'emissione di luce dei polimeri. In particolare, il polimero blu
di Philips perde colore dopo un uso assai inferiore alle 20.000 ore di
attività che un televisore dovrebbe garantire. Un altro serio problema è
che alcune parti dello schermo misto LED-polimero sbiadisce prima degli
altri. Per fare uno schermo televisivo da 30 pollici, i ricercatori di
Philips devono migliorare l'efficienza del display, in modo che correnti
elettriche più piccole possano ricavare dai polimeri la luce necessaria. Ma
dopo oltre un decennio di lavoro, la ricerca sta cominciando a dare i primi
frutti. Nel 2002, l'azienda ha introdotto la tecnologia nel display di un
rasoio elettrico. Nel 2004, Philips ha distribuito un telefono cellulare
con un piccolo display LED-polimero. Schermi più grandi, a maggiore
risoluzione, appariranno probabilmente nei telefoni cellulari nel corso del
2005, afferma van der Vaart, che mostra ottimismo sul fatto che TV da 30
pollici o più grandi saranno nei negozi entro il 2008.
Nel frattempo, gli acquirenti che non potranno acquistare a prezzi
economici i televisori a schermo piatto basati sui polimeri ultraluminosi
dovranno avere pazienza. Forse un rasoio elettrico potrebbe essere
ugualmente un buon regalo; se ne può sempre comprare uno con un display al
polimero.

Telefoni peer-to-peer
di PATRIC HADENIUS

L'INFORMATICA peer-to-peer è diventata un modo estesamente diffuso di
condividere i dati digitali, consentendo, tra le altre applicazioni, di
scaricare musica attraverso Napster, l'ormai defunto sistema di
condivisione. Ora Nokia, il gigante telefonico finlandese, vuole inserire
questo servizio nei telefoni mobili multimediali.
Perché il più grande produttore mondiale di cellulari si è improvvisamente
interessato alla tecnologia che ha reso Napster un nome familiare agli
utenti e un commercio ai limiti della legge? La vendita sempre più
sostenuta di telefoni intelligenti, di videofoni e di giochi su telefono
sta alimentando la ricerca costante del supporto di nuovi applicazioni. In
realtà, l'applicazione vincente per tutti questi telefoni con videocamera
non è ancora stata trovata, ma il sistema peer-to-peer potrebbe fornire un
aiuto determinante. Con la tecnologia del file di scambio si possono
facilmente condividere con gli amici le foto scattate con il telefono
oppure, mentre si sta parlando al telefono con un collega, è possibile
esaminare insieme un documento e allo stesso tempo stamparlo. Almeno questa
è la scommessa che sta facendo Nokia. Con un terzo del mercato di telefonia
mobile, 36 miliardi e 200 milioni di dollari di fatturato netto e 6
miliardi e 300 milioni di dollari di profitti nel 2003 Nokia è senza alcun
dubbio il leader mondiale delle comunicazioni mobili. Ma si tratta di un
commercio sempre più esposto alla concorrenza, per cui c'è una forte
pressione sul dipartimento di ricerca di Nokia per introdurre miglioramenti
nei cellulari in modo da rendere il prodotto diversificato rispetto a
quello dei concorrenti.
Per dare slancio alla tecnologia aziendale, Jukka Nurminen, del centro di
ricerche di Nokia, a Helsinki, in Finlandia, ha arruolato Balázs Bakos,
nella sua sede di Budapest, per iniziare a valutare le possibilità di
trasferire le modalità peer-to-peer dal mondo cablato a quello mobile.
Qualsiasi sistema paritetico trasmette informazioni tra computer con un
minimo di gerarchia, utilizzando, sempre che li usi, pochi server e banche
dati. A una prima occhiata la tecnologia sembra naturalmente predisposta
per il mondo mobile: parlare al telefono non è forse già un tipo di rete
peer-to-peer? In effetti c'è grande abbondanza di server e directories
necessari per collegare due telefoni e mantenere la linea aperta tra loro.
I telefoni mobili hanno altre limitazioni che i normali apparecchi cablati
non hanno, tra cui meno potenza di elaborazione e memoria, una minore
durata delle batterie e una larghezza di banda limitata.
Uno dei primi problemi che Nurminen e il suo collega ungherese hanno
affrontato è se una tradizionale rete mobile può supportare Gnutella, un
protocollo di condivisione di file largamente diffuso. L'esperimento non ha
dato buon esito. «Credevo di aver fatto una scoperta importante», spiega
Nurminen, «ma ci siamo resi conto che non poteva reggere più di 10.000
telefoni». La difficoltà era che le applicazioni peer-to-peer usano una
gran quantità di banda larga quando vanno alla ricerca dell'informazione. E
la domanda di banda larga si moltiplica rapidamente man mano che altri
computer si uniscono alla rete. Su Internet non è un problema serio, poiché
c'è disponibilità di larghezza di banda e molti fornitori di servizi
applicano ai loro utenti una tariffa forfettaria, senza considerare la
quantità di bit che vengono spediti. Ma sulle reti mobili, dove l'ampiezza
di banda è limitata, e si pagano la connessione e i bit spediti, gli utenti
hanno bisogno di un protocollo che impedisca al traffico di impazzire.
Pertanto Nurminen e Bakos hanno cercato di ridurre le richieste di banda
larga. Il primo passo è stato quello di limitare il traffico di ricerca,
dividendo l'intera rete in più sottogruppi. Ogni telefono in rete mantiene
una lista delle immagini e di altri file memorizzati nel suo cluster e può
rispondere a domande dall'esterno a nome dell'intero sottogruppo. In una
rete mobile simulata questo approccio si è rivelato ideale, consentendo una
rapida ricerca senza compromettere le capacità generali della rete.
Avendo risolto una sfida tecnologica chiave, i ricercatori hanno dedicato
le loro attenzioni all'andamento commerciale dell'azienda. Ma si sono
trovati subito di fronte a un ostacolo: le preoccupazioni relative alla
gestione dei diritti digitali. Con ancora fresca in mente la sciagurata
fine di Napster, la sezione commerciale non voleva promuovere una
tecnologia che avrebbe potuto facilitare lo scambio di materiale protetto
da copyright. Erich Hugo, responsabile del marketing tecnologico di Nokia,
afferma: «La tecnologia è ancora in sviluppo». Forse è così, ma come il
fenomeno Napster ha insegnato, una volta che il futuro utente avrà compreso
le potenzialità dei telefoni cellulari peer-to-peer, sarà veramente
difficile tornare indietro. Non a caso, la tecnologia peer-to-peer si è
sempre distinta per una marcata riluttanza a qualsiasi forma di controllo
esterno.

Transistor a monoelettrone
di PETER FAIRLEY

AI DIRIGENTI delle aziende tecnologiche piace ricordare che la risorsa
principale delle loro imprese è l'intuito dei loro ricercatori e ingegneri.
Una serie di recenti brevetti registrati dal ricercatore elettronico
Christoph Wasshuber, di Texas Instruments, dimostra che almeno in alcuni
casi questa affermazione corrisponde al vero. Concedendo al 36enne
ingegnere austriaco la possibilità di seguire il suo istinto nel progettare
un nuovo tipo di transistor a monoelettrone, Texas Instruments si è
assicurata una posizione privilegiata nello sviluppo di una tecnologia che
potrebbe trasformare i microchip a semiconduttore nel decennio a venire.
Per molti aspetti, un transistor a monoelettrone che viene attivato o
disattivato dall'aggiunta o dalla sottrazione del singolo elettrone è
l'ultima fase di sviluppo della miniaturizzazione nei semiconduttori. La
nuova tecnologia non consentirà solo di produrre apparecchi elettronici
ultrapiccoli e potenti, ma potrebbe anche abbattere i consumi di energia.
Anche se versioni esotiche di questi commutatori elettronici altamente
sensibili sono circolate sin dalla fine degli anni 1980, i ricercatori non
sono riusciti a renderle sufficientemente resistenti. La stessa proprietà
che è il loro punto di forza, la loro ultrasensibilità, crea seri problemi
quando si tratta di far funzionare i commutatori nel mondo reale. In
particolare, i transistor a monoelettrone sono facilmente disturbati dal
rumore di fondo o dai segnali dei circuiti contigui. Comunque Wasshuber e i
suoi collaboratori dello Swiss Federal Institute of Technology, a Losanna,
hanno progettato un transistor con un solo elettrone che, incorporato nei
normali circuiti al silicio, è immune all'interferenza.
Se il piano innovativo funziona, spiega Wasshuber, sarà possibile dar vita
a processori monoelettronici ultrarapidi. Inoltre, i transistor di
Wasshuber dovrebbero essere compatibili con i processi standard di
fabbricazione dei semiconduttori, consentendo ai produttori di spingere a
fondo sulla tradizionale tecnologia dei microchip senza abbandonare i loro
investimenti multimiliardari in capacità di produzione. I primi impieghi
dei transistor a monoelettrone saranno probabilmente nei chip di memoria e
negli elettrometri ultrasensibili per analizzare i circuiti elettrici.
Konstantin Likharev, un fisico della Stony Brook University di New York,
ritiene che un chip di memoria con transistor a monoelettrone potrà
memorizzare un terabit di dati in un cm2 di silicio, una densità
informativa 100 volte maggiore di quella delle attuali memorie più
avanzate.
Ma ancora più importante per il futuro della microelettronica, i transistor
a monoelettrone potrebbero risolvere uno dei problemi più seri che affligge
la tradizionale tecnologia dei chip: quando un gran numero di transistor
sono pigiati uno accanto all'altro, il calore diventa difficile da
disperdere. Centinaia di migliaia di elettroni fluiscono attraverso un
normale transistor che, di conseguenza, per essere attivato o disattivato
consuma in genere almeno un volt. Nei prossimi anni i chip saranno stipati
di miliardi di transistor e l'energia necessaria ad accenderli potrebbe
letteralmente bruciare i circuiti. Invece, un transistor a monoelettrone
attivato o disattivato da un singolo elettrone, funziona anche a freddo e
consuma solo un decimo di energia di quelli tradizionali. «Se guardiamo
avanti alle prospettive future della tecnologia industriale, i chip
ospiteranno dai 30 ai 50 miliardi di transistor», sostiene Dennis Buss,
vicepresidente per lo sviluppo della tecnologia del silicio di Texas
Instruments. «L'idea che possano consumare un volt è impensabile».
Texas Instruments ha assunto Wasshuber nel 1998 come esperto di
modellazione  computerizzata e gli ha chiesto di impegnarsi in una serie di
progetti a breve termine. Ma la notte il giovane fisico progettava
transistor a monoelettrone come quelli su cui aveva lavorato
all'università. Quando un gruppo di esperti incaricato da Texas Instruments
di selezionare le tecnologie future vitali per l'industria dei
semiconduttori indicò i transistor a monoelettrone come una prospettiva
affidabile, era arrivato il momento di Wasshuber. Finalmente aveva la
possibilità di portare avanti il suo progetto sotto gli occhi di tutti.
In ogni caso, al di là dei possibili sviluppi futuri, gli esperti che hanno
lavorato per più di un decennio sui nuovi transistor invitano a moderare
l'entusiasmo. Likharev definisce le idee di Wasshuber «intelligenti», ma
vuole prima vedere come la nuova tecnologia si comporterà nei veri
circuiti. Inoltre, c'è la difficoltà di produrre apparecchi reali sulla
base dei progetti. Un transistor a monoelettrone che funziona a temperatura
ambiente dovrà essere grande all'incirca da uno a due nanometri. «Stiamo
parlando delle dimensioni di una molecola», fa notare Greg Snider, un
ingegnere elettrotecnico dell'Università di Notre Dame che conosce a fondo
i transistor a monoelettrone. «L'industria dei semiconduttori è ancora
lontana dal controllare questo processo di produzione».
Wasshuber concorda sul fatto che rimane molto lavoro da fare prima che i
congegni che usano transistor a monoelettrone facciano la loro comparsa nei
cellulari e nei microcomputer. Alle condizioni attuali, Texas Instruments
non è in grado di giustificare un investimento in R&S su larga scala sulla
nuova tecnologia per chip, considerando che il processo di
miniaturizzazione dei transistor tradizionali andrà avanti fino al 2015. Al
momento, Texas Instruments sta accumulando i suoi brevetti con un occhio
particolarmente attento al settore emergente. Ma al di là della validità
reale dei transistor a monoelettrone, l'opportunità per l'azienda di
esplorare il futuro della microelettronica vale la possibilità offerta a
Wasshuber di trasformare il suo hobby notturno in un lavoro alla luce del
sole.