il pianeta sotto stress i principali fattori di scarsità



WORKSHOP
SVILUPPO SOSTENIBILE: PROMUOVERE LA TRANSIZIONE,
ACCELERARE IL CAMBIAMENTO
Milano, giovedì 11 novembre 2004
Unioncamere Lombardia, Via Oldofredi 23 - Milano

Il nostro pianeta sotto stress: i principali fattori di scarsità. ovvero
I cambiamenti globali e le basi scientifiche
dello sviluppo sostenibile

Enzo Tiezzi, Professore ordinario di Chimica Fisica, Università di Siena

I cambiamenti globali
Il pianeta Terra presenta oggi gravi problemi ambientali, problemi globali
dato che la Terra è un sistema unico
e complesso, composto da varie parti fra loro interdipendenti.
I problemi ambientali che interessano apparentemente una singola nazione, e
più spesso una parte del
territorio della nazione, in realtà fanno parte di un problema globale che
riguarda l'intero pianeta. Ormai
l'uomo, con il suo modo di vivere e di produrre, sta intaccando i cicli
bio -geochimici della biosfera e le
catastrofi ambientali, piccole o grandi che siano, sono i segni di una
malattia generale del pianeta.
Il vero problema mondiale è, oggi, un problema di interdipendenze, di
relazioni fra paesi produttori e
consumatori, tra detentori di materie prime e detentori di know how, tra
paesi ricchi di patrimonio ambientale
incontaminato e paesi inquinatori. E' necessario quindi capire i complessi
intrecci tra energia e risorse, tra
capitale naturale e capitale prodotto dall'uomo, tra locale e globale.
Gli studi geologici, meteorologici, ecologici, oceanografici e biologici in
genere, hanno ormai messo in
evidenza con chiarezza che la vita di ogni singolo organismo è parte di un
processo su grande scala che
coinvolge il metabolismo di tutto il pianeta. L'attività biologica è una
proprietà planetaria, una continua
interazione di atmosfere, oceani, piante, animali, microrganismi, molecole,
elettroni, energie e materia, tutti
parte di un unico globale. Il ruolo di ciascuno di questi componenti è
essenziale per il mantenimento della vita.
Il punto fondamentale di novità scientifica consiste quindi proprio nella
constatazione che il sistema in cui
viviamo, il pianeta Terra, è un sistema finito e, in quanto tale, presenta
dei vincoli: vincoli di territorio, vincoli di
assorbimento dei rifiuti e degli inquinanti, vincoli relativi ai grandi
cicli della vita (aria, acqua, ossigeno ecc..),
vincoli che limitano l'aumento indiscriminato della popolazione e della
produzione. La realtà fisica è quindi
soggetta a constraints, vincoli appunto, e questi possono determinare dei
limiti. Un esempio solamente: se la
popolazione aumenta ha bisogno di più cibo, per avere più cibo è necessario
o produrre di più per ettaro, ma
questo comporta l'impoverimento dei suoli, l'erosione, l'inquinamento delle
falde e l'eutrofizzazione dei mari, o
deforestare per ottenere altri campi da coltivare, ma questo comporta
perdita di biodiversità e fa saltare gli
equilibri dei cicli vitali del carbonio e dell'ossigeno (effetto serra) e
provoca cambiamenti di clima che si
ripercuotono sull'agricoltura e così via.
La Terra viene da molto lontano, da 4.500 milioni di anni di evoluzione. E'
una storia, quella dell'evoluzione
biologica, complessa e meravigliosa, una storia di energia e di materia, di
molecole e di cellule; una storia che
ha dato luogo a forme viventi di grande diversità, vegetali ed animali, fino
ad arrivare all'uomo.
Grazie al flusso continuo di energia solare e alla fotosintesi, sulla
superficie della Terra, la biosfera, sono nate
e si sono moltiplicate numerose specie biologiche: questo è il capitale
naturale che abbiamo avuto in prestito,
un capitale di biodiversità, fatto dall'aria e dalla terra, dai fiumi e dai
mari, dalle foreste e dagli animali. La
biodiversità è fondamentale per il mantenimento della vita, perché tutto è
legato a tutto su questo pianeta.

E' una storia che la nostra bisnonna alga azzurra (come amava chiamarla
Laura Conti) ha cominciato a
scrivere centinaia di milioni di anni fa inventando sulla Terra il processo
della fotosintesi, il processo che
costruisce i mattoni della vita (la struttura biologica di tutti gli esseri
viventi) adoperando l'energia del sole,
l'acqua e la CO2 (anidride carbonica) dell'aria: la prima delle condizioni
essenziali per la vita.
La fotosintesi contrasta, sulla superficie terrestre, il degrado entropico
(per altro inevitabile nei tempi biologici e
su scala universale) in quanto tende a "mettere in ordine" la materia
disordinata: la pianta preleva infatti
materia disordinata (le molecole povere di energia e in agitazione
disordinata dell'acqua e dell'anidride
carbonica) e, grazie all'energia solare, la organizza costruendo strutture
complesse. La fotosintesi si rivela
dunque come il processo che, catturando energia solare e diminuendo
l'entropia del Pianeta, costruisce la
strada maestra dell'evoluzione biologica.
Il ruolo della termodinamica
Il secondo principio della Termodinamica, una delle fondamentali leggi della
natura, indica le strade da evitare
perché la vita sulla Terra possa continuare ad esistere. In particolare
evidenzia la tendenza universale
ineluttabile verso il disordine (in termodinamica, la tendenza verso la
massima entropia), che è anche perdita
dell'informazione e della disponibilità di energia utile. Questa tendenza,
chiamata da Clausius la "morte
termica", porta al cosiddetto "equilibrio termodinamico", che è appunto la
morte dei sistemi biologici e degli
ecosistemi, attraverso la distruzione delle diversità.
Due sono le strade che possono portare a questa situazione:
a) quando, scambiando energia sotto forma di calore, le differenze di
temperatura vengono meno, portando
alla livellizzazione delle energie e all'impossibilità pratica di fare
qualsiasi cosa, perché lo scambio di
energia utile è impedita;
b) b) quando un sistema rimane isolato e, consumando le proprie risorse,
porta a un grande aumento di
entropia interna e, in ultima analisi, alla propria auto-distruzione.
Per questa ragione i sistemi viventi cercano di evitare la situazione di
"equilibrio termodinamico",
mantenendosi il più lontano possibile da questo, auto-organizzandosi grazie
ai flussi di materia e di energia,
che ricevono dall'esterno e da sistemi in condizioni di temperatura e di
energia diverse dalle loro.
L'economia e la società non possono ignorare il secondo principio della
termodinamica. Ne consegue che la
globalizzazione, la distruzione delle diversità (sia biologiche che
culturali), l'omogeneizzazione, il pensiero
unico portano ineluttabilmente alla morte termica, alla distruzione finale
e, nello stesso modo, un paese, una
nazione, un sistema che fa del proprio isolamento, del rifiuto della
contaminazione culturale (o meglio della
"cross-fertilization"), dell'arroccamento su posizioni fondamentaliste di
conservazione, un dogma politico, farà
la stessa fine.
La difesa eccessiva della propria diversità o la perdita delle diversità
sono due aspetti della stessa stupidaggine termodinamica.

Nella nuova cultura ecologica-economica sviluppo e crescita hanno ovviamente
significati diametralmente
opposti. Si arriva così all'ineluttabilità dei limiti alla crescita, non
come forzatura di una ideologia politica, ma
come logica e necessaria conseguenza delle grandi leggi della fisica e della
biologia. La teoria economica
dominante, legata al meccanicismo positivista e alla cosmologia newtoniana,
ignora ancora i concetti di
entropia, di rendimento decrescente dell'energia, di indeterminazione, di
complessità, di produttività
decrescente delle risorse non rinnovabili. Anzi, non solo ignora questi
concetti ma ne introduce un altro che
potrebbe essere riassunto nella famosa frase "il tempo è denaro". Il
progresso viene misurato dalla velocità
con cui si produce, si arriva addirittura a pensare che quanto più
velocemente si adoperano le risorse della
natura, tanto più il progresso avanza. In altre parole, più velocemente si
trasforma la natura, più si risparmia
tempo. Ma questo "tempo tecnologico" o "tempo economico" è esattamente
l'opposto del "tempo biologico". La
realtà obbedisce a leggi ben diverse da quelle economiche e invece del
"tempo economico" riconosce il
"tempo entropico": quanto più velocemente si consumano le risorse e
l'energia disponibile del mondo, tanto
minore è il tempo che rimane a disposizione per la nostra sopravvivenza. Il
tempo tecnologico è inversamente
proporzionale al tempo biologico; il tempo economico è inversamente
proporzionale al tempo entropico.
I limiti delle risorse, i limiti di resistenza del nostro pianeta e della
sua atmosfera indicano chiaramente che
quanto più acceleriamo la crescita e la produzione, tanto più accorciamo il
tempo reale a disposizione della
nostra specie. Un organismo che consuma più rapidamente di quanto l'ambiente
produca per la sua
sussistenza non ha più possibilità di sopravvivenza: ha scelto un ramo secco
nell'albero dell'evoluzione, ha scelto la strada percorsa dai dinosauri.
Il tempo-denaro, il tempo scandito dall'orologio non è il tempo adatto a
instaurare un rapporto corretto con la
natura. Paradossalmente, l'orologio, simbolo dell'ordine, scandisce le ore
del disordine. La frenesia del
consumismo e della crescita della produzione avvicina i tempi del disordine
globale. L'ordine naturale segue altri ritmi, altri tempi.
L'uomo non può fermare il tempo, ma può rallentare l'evoluzione biologica e
la crescita produttiva favorendo il
futuro della nostra specie e rispettando i limiti biofisici che la
sopravvivenza della natura richiede.
Il padre della termodinamica, Rudolph Clausius, così scriveva nel 1885:
Nell'economia di una nazione c'è una legge di validità generale: non bisogna
consumare in ciascun periodo
più di quanto è stato prodotto nello stesso periodo. Perciò dovremmo
consumare tanto combustibile quanto è
possibile riprodurre attraverso la crescita degli alberi.
Le basi scientifiche dello sviluppo sostenibile
Per introdurre il concetto di sostenibilità è utile partire dalle teorie
dell'economia dello stato stazionario di
Herman Daly e dal suo famoso esempio del battello:
"l'internalizzazione delle esternalità è una buona strategia per adattare
ottimalmente l'allocazione di risorse,
facendo sì che i prezzi relativi rappresentino, in modo più appropriato, i
costi marginali sociali relativi. Ma ciò
non rende il mercato capace di fissare i propri confini fisici assoluti con
l'ecosistema più allargato. Per fare
un'analogia: uno stivaggio appropriato distribuisce il peso nel battello in
modo ottimale, così da massimizzare il
carico trasportato. Ma c'è ancora un limite assoluto a quanto peso un
battello possa trasportare, anche se
questo è sistemato in modo ottimale. Il sistema dei prezzi può distribuire
il peso regolarmente, ma, a meno
che non sia integrato da un limite assoluto esterno, continuerà a
distribuire uniformemente il peso addizionale
fino a che il battello, caricato in modo opportuno, affonda".
In altre parole, la capacità della Terra è limitata: l'economia non può non
accettare i vincoli biofisici assoluti
che il sistema termodinamico chiuso su cui viviamo comporta.
Per definire lo stato stazionario, Daly parte dal primo principio della
termodinamica e cioè dal fatto che
l'energia e la materia non possono essere né create né distrutte, ma solo
trasformate: "l'uomo trasforma le
materie prime in merci e le merci in rifiuti." Prende poi in considerazione
il secondo principio della
termodinamica e l'entropia per definire i vincoli e i flussi di un "sistema
aperto" in stato stazionario o in
equilibrio biofisico con l'ambiente esterno. Daly individua nel secondo
principio e nell'entropia la coordinata
fisica fondamentale della scarsità: "se non fosse per la legge
dell'entropia, non ci sarebbe alcuna perdita;
potremmo bruciare lo stesso litro di benzina in eterno, e il nostro sistema
economico non avrebbe alcun
rapporto con il resto del mondo della natura".
Si arriva così alla definizione di economia in stato stazionario: "se usiamo
il termine crescita per indicare un
cambiamento quantitativo e il termine sviluppo per riferirsi a una modifica
qualitativa, allora possiamo dire che
l'economia in stato stazionario si sviluppa ma non cresce, proprio come la
Terra, di cui l'economia umana è un
sottosistema. Una ricchezza sufficiente, mantenuta e allocata
efficientemente, distribuita in modo equo - e non
per massimizzare la produzione - costituisce il giusto fine economico".
I valori etici e i vincoli biofisici trovano così la loro convergenza
nell'economia in stato stazionario o in equilibrio
biofisico, il cui sviluppo teorico ha portato - dieci anni dopo la sua
formulazione - alla messa a punto del
concetto di sviluppo sostenibile.
Le nuove teorie dello sviluppo sostenibile e dell'"ecological economics" ci
pongono davanti un nuovo
paradigma: non più un'economia basata su due parametri, il lavoro e il
capitale, ma un'economia ecologica
che riconosce l'esistenza di tre parametri, il lavoro, il "capitale
naturale" e il "capitale prodotto dall'uomo".
Intendendo per capitale naturale l'insieme dei sistemi naturali (mari,
fiumi, laghi, foreste, flora, fauna, territorio),
ma anche i prodotti agricoli, i prodotti della pesca, della caccia e della
raccolta e il patrimonio artistico-culturale
presente nel territorio, si vede come sia fondamentale oggi investire in
questa direzione.
Daly scrive:"per la gestione delle risorse ci sono due ovvi principi di sviluppo
sostenibile. Il primo è che la velocità del
prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione (rendimento
sostenibile). Il secondo, che la
velocità di produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alle capacità
naturali di assorbimento da parte degli
ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi. Le capacità di rigenerazione e
di assorbimento debbono essere
trattate come capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste
capacità deve essere considerato come
consumo del capitale e perciò non sostenibile".
Herman Daly abbandona così le certezze dell'economia classica e il
determinismo della "mano invisibile del
mercato" affrontando il tema della complessità ecologica in questi termini:
"ci sono due modi di mantenere il capitale totale intatto. La somma del
capitale naturale e di quello prodotto
dall'uomo può essere tenuta ad un valore costante; oppure ciascuna
componente può essere tenuta
singolarmente costante. La prima strada è ragionevole qualora si pensi che i
due tipi di capitale siano
sostituibili l'uno all'altro. In quest'ottica è completamente accettabile il
saccheggio del capitale naturale
fintantoché viene prodotto dall'uomo un capitale di valore equivalente. Il
secondo punto di vista è ragionevole
qualora si pensi che il capitale naturale e quello prodotto dall'uomo siano
complementari. Ambedue le parti
devono quindi essere mantenute intatte (separatamente o congiuntamente ma
con proporzioni fissate) perché
la produttività dell'una dipende dalla disponibilità dell'altra. La prima
strada è detta della "sostenibilità
debole", la seconda è quella della "sostenibilità forte".
Il capitale naturale e quello prodotto dall'uomo sono fondamentalmente
complementari e, solo in misura
marginale, si possono considerare intercambiabili. Quindi è la sostenibilità
forte il concetto rilevante, anche se
la sostenibilità debole è un utile primo passo avanti.
Il flusso di risorse naturali e lo stock di capitale naturale che lo genera
sono la causa materiale della
produzione; lo stock di capitale che trasforma gli input di materia grezza
in prodotti è la causa efficiente della
produzione. Non si può sostituire una causa efficiente con una causa
materiale: non si può costruire la stessa
casa di legno con metà legname, non importa quante seghe o martelli si pensa
di sostituire.
Alcuni preconcetti ci trattengono dal vedere l'ovvio: in particolare che la
pesca è limitata dalla popolazione dei
pesci nel mare non dal numero di pescherecci; che il legname è limitato da
ciò che rimane delle foreste non
dal numero delle segherie. Più segherie e più pescherecci non danno come
risultato maggior legname e più
pesce pescato. Per questo c'è bisogno di più foreste e di un maggior numero
di pesci nel mare. Il capitale
naturale e il capitale prodotto sono complementari; e il capitale naturale è
divenuto il fattore limitante. Più
capitale prodotto, lungi dal sostituire il capitale naturale, fa aumentare
la domanda di quest'ultimo in maniera
complementare, facendolo diminuire per supportare temporaneamente il valore
del capitale prodotto e
rendendolo, in tal modo, ancora più limitante per il futuro".
Oggi stiamo vivendo la transizione da un'economia da "mondo vuoto" ad
un'economia da "mondo pieno": in
questa seconda fase l'unica strada di sostenibilità passa dall'investire
nella risorsa più scarsa, nel fattore
limitante. Sviluppo sostenibile significa quindi investire nel capitale
naturale e nella ricerca scientifica sui cicli
biogeochimici globali che sono la base stessa della sostenibilità della
biosfera.
Infatti secondo Daly se accettiamo il fatto che il capitale naturale e
quello prodotto dall'uomo sono
complementari e non possono sostituirsi l'uno all'altro, cosa ne consegue?
Ne consegue che se i fattori sono
complementari allora quello in minore quantità sarà un fattore limitante. Se
i due fattori sono intercambiabili
allora nessuno dei due può essere un fattore limitante perché la
produttività dell'uno non dipende dalla
disponibilità dell'altro. L'idea che o il capitale naturale o quello
prodotto possano essere dei fattori limitanti non
può scaturire se si continua a pensare che i due si possano sostituire a
vicenda. Una volta che ci siamo resi
conto che sono complementari dobbiamo domandarci quale dei due sia il
fattore limitante, cioè quale sia disponibile in minor misura.
Il precedente ragionamento implica la tesi che:
"il Mondo sta passando da un'era in cui il fattore limitante era il capitale
prodotto dall'uomo ad un'era in cui il
fattore limitante è quel che rimane del capitale naturale. "Oggi -scrive
Daly- la quantità di petrolio greggio
estratta è limitata dalla disponibilità di petrolio nei pozzi (o anche dalla
capacità dell'atmosfera di assorbire
CO2), non dalla capacità di estrazione; la produzione agricola è spesso
limitata dalla disponibilità d'acqua, non
dai trattori o dalle mietitrici. Siamo passati da un mondo relativamente
ricco di capitale naturale e privo di
capitale prodotto (e di uomini), ad un mondo che è, al contrario, povero di
capitale naturale e ricco di capitale prodotto.
In un processo produttivo, un flusso di materia e di energia di origine
naturale è trasformato in un flusso di
prodotti finali da parte di un certo numero di agenti di trasformazioni,
ossia lavoro e capitale. Capitale e lavoro
sono sostituibili l'uno all'altro fino a un certo grado, perché in un
processo di produzione la loro funzione
qualitativa è la stessa: sono infatti entrambi agenti di trasformazione del
flusso di materia prima di prodotti
finiti. Ma i ruoli qualitativi di risorse e capitale sono totalmente
differenti: la stessa differenza che c'è tra
trasformatore e trasformato, tra stock e flusso.".
Daly identifica, a questo proposito, tre approcci:
1) l'imperialismo economico, che si ha quando il sistema economico inc
orpora gli ecosistemi, mettendo i
flussi di materiali e di energia sotto l'influenza regolatoria dei prezzi;
2) il riduzionismo ecologico, che si ha quando il sistema economico viene
trattato come un sottosistema dell'ecosistema;
3) lo stato stazionario, che si ha quando i flussi di materiali e di energia
tra l'economia e l'ambiente vengono limitati dalla sostenibilità.
Nella passata era di "economia da mondo vuoto", il capitale umano era, come
abbiamo visto, il fattore
limitante. Noi ora stiamo entrando in un'era di "economia da mondo pieno",
in cui il capitale naturale sarà
sempre più il fattore limitante. Lo sviluppo sostenibile richiede che il
capitale naturale rinnovabile sia
mantenuto intatto. Rimane la categoria delle risorse non rinnovabili che,
strettamente parlando, non possono
essere mantenute intatte a meno di non rinunciare al loro uso. (Ma se tali
risorse non possono essere mai
usate, allora non c'è alcun bisogno di conservarle per il futuro!). E'
tuttavia possibile sfruttare le risorse non
rinnovabili in maniera "quasi sostenibile", graduandone la velocità di
sfruttamento in base a un corretto
confronto con la velocità di creazione di sostituti rinnovabili.
L'uso quasi sostenibile di risorse non rinnovabili richiede che ogni
investimento nello sfruttamento di una
risorsa non rinnovabile sia bilanciato da un investimento compensativo in un
sostituto rinnovabile (per
esempio, che l'estrazione del petrolio venga bilanciata dalla coltura di
alberi che consentano di produrre alcol da legna).
Daly parla di tre comunità: comunità tra la gente, comunità con le specie
non-umane, comunità con le future
generazioni. Partendo dalla critica dell'economia orientata alla crescita,
che ha portato all'attuale disastro
ambientale, pone le basi per una nuova economia e una nuova etica sociale.
La base di questa etica è la comunità con il futuro (o solidarietà
generazionale) necessaria per "lasciare ai
nostri nipoti un pianeta ancora in grado di sostenere una vita in comunità".
Si arriva così al concetto base di "sostenibilità", di stile di vita
sostenibile, di sviluppo sostenibile.
Si intende per "sostenibilità" l'insieme di relazioni tra le attività umane
e la loro dinamica e la biosfera, con le
sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali
da permettere alla vita umana di
continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse
culture umane di svilupparsi, ma in modo
tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano
entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofisico globale.
Fino ad oggi l'economia ha trattato, correttamente, il capitale prodotto
dall'uomo (per esempio le macchine)
usando la prima legge della Termodinamica e le quantità conservative ad essa
relative: l'energia e la materia.
L'economia ortodossa ha assunto tutto l'impianto teorico del meccanicismo e
del determinismo e, con esso, la
reversibilità del tempo. Ma il "capitale naturale" (ieri trascurabile, oggi
fattore limitante e, quindi, fondamentale)
appartiene a un altro tipo logico, quello dei sistemi lontani
dall'equilibrio, quello dei sistemi complessi in
evoluzione. È allora conseguente trattare il "capitale naturale" in termini
evolutivi e non-conservativi (entropia,
strutture dissipative, processi irreversibili, caos dinamico); assumere fino
in fondo il ruolo costruttivo del tempo
e della probabilità. In poche parole sostituire, negli studi economici ed
ecologici, la fisica classica con la "fisica evolutiva".