perchè un appello alla decrescita



da emi.it
giovedi 30 dicembre 2004

OBIETTIVO DECRESCITA
Introduzione
di  Mauro Bonaiuti.
* * *
Intorno alla decrescita, innegabilmente, l'interesse sta crescendo. Il primo
segnale evidente dell'attenzione che circonda questa idea si è avuto a
Parigi nel marzo 2002, in occasione del convegno internazionale Défaire le
développement, refaire le monde (Disfare lo sviluppo, rifare il mondo),
voluto da Serge Latouche e da La Ligne d'horizon nella sontuosa cornice del
palazzo dell'UNESCO: oltre 500 persone presenti e centinaia rimaste in lista
di attesa. Sulla scia di questo inatteso successo è stato organizzato un
secondo convegno - nel settembre 2003, a Lione - dal gruppo di ecologisti
che ruota attorno alle riviste Silence, Casseurs de Pub, L'Ecologiste, ed
esplicitamente dedicato, questa volta, al tema della "decrescita
sostenibile". In questa occasione è stato anche presentato il volume
Objectif Décroissance, dal quale sono tratti i saggi qui tradotti.

In un certo senso, quello alla decrescita è innanzitutto un appello. Come
tale ha il merito di esprimere l'urgenza di una inversione di rotta rispetto
al paradigma dominante della crescita, vera spina dorsale del modello
occidentale. Poiché - come vedremo - crescita e sviluppo sono
inscindibilmente connessi, l'invito alla decrescita indica al tempo stesso
una prospettiva alternativa rispetto ai diversi modelli di sviluppo
realmente esistenti, in particolare rispetto all'onnipresente paradigma
dello sviluppo sostenibile.

Forse la cosa migliore per introdurre l'argomento è sgombrare il campo da
alcuni possibili fraintendimenti, chiarendo subito cosa la decrescita non è:
non è un programma masochistico-ascetico di riduzione dei consumi,
nell'ambito di un sistema economico-sociale immutato. Come ha affermato più
volte Latouche, parafrasando Hannah Arendt, non vi sarebbe nulla di peggio
di una società di crescita senza crescita. È evidente che una politica
economica incentrata su una drastica riduzione dei consumi creerebbe, data
l'attuale struttura del sistema produttivo e delle preferenze, una
drammatica riduzione della domanda globale e dunque un aumento significativo
della disoccupazione e del disagio sociale. Non è questa, dunque, la
prospettiva qui auspicata.

Decrescita, inoltre, non significa condannare i paesi del Sud del mondo a
un'ulteriore riduzione dei loro redditi pro capite. L'appello alla
decrescita è rivolto dunque, in primo luogo, ai paesi del Nord. Anche per i
paesi del Sud, tuttavia, la decrescita comporta un significativo cambiamento
di prospettiva: non si tratterebbe più, infatti, di seguire i paesi "più
avanzati" lungo il sentiero della crescita. Questa via, oltre ad essere
distruttiva per gli ecosistemi, è - in ogni caso - loro preclusa in quanto
gli aumenti della domanda globale sono ampiamente coperti dagli aumenti di
produttività dei paesi occidentali. Si tratterà dunque, anche per i paesi
del Sud, di puntare in un'altra direzione.

Per quanto la decrescita alluda, sul piano economico, a una riduzione
complessiva delle quantità fisiche prodotte e delle risorse impiegate, essa
va intesa in un senso più ampio come una complessiva trasformazione della
struttura socio-economica, politica, e dell'immaginario collettivo, verso
assetti sostenibili. Questo nella prospettiva di un significativo aumento -
e non certo di una riduzione - del benessere sociale.

Decrescita e sostenibilità sono dunque strettamente connesse: la decrescita
è necessaria alla sostenibilità, la sostenibilità e la gioia di vivere
costituiscono, in un certo senso, l'orizzonte della decrescita. L'idea
stessa di sostenibilità viene qui intesa a diversi livelli: ecologico,
sociale, ma anche politico e culturale. I saggi presentati nel volume hanno
appunto il merito di affrontare il tema della decrescita a questi diversi
livelli e da queste diverse prospettive.

Come emerge dall'analisi dei contributi qui presentati, il paradigma della
decrescita - se di paradigma si può parlare - sembra trarre le proprie
origini dal confluire di due filoni di pensiero: quello della critica dello
sviluppo, portata avanti sul piano storico, economico e sociale in
particolare da Serge Latouche e dalla Ligne d'horizon; e quello della
critica bioeconomica, rappresentato qui in particolare da Jacques Grinevald
e da chi scrive. Il primo, prendendo le mosse dalla constatazione del
fallimento delle politiche di sviluppo nel Sud del mondo, in particolare in
Africa, giunge a una critica radicale del concetto di sviluppo, sia nei suoi
presupposti immaginari (critica dell'utilitarismo, ecc.) che in quelli
economici e sociali (crescita, occidentalizzazione del mondo, ecc.). È lo
sviluppo realmente esistente - quello che domina il pianeta da due secoli -
la vera sorgente, nella prospettiva di Latouche, dei conflitti e delle
ingiustizie sociali.

Il secondo filone, partendo dall'analisi dei fondamenti termodinamici e
biologici del processo economico sviluppata da Georgescu- Roegen negli anni
Settanta, pone chiaramente in evidenza i limiti che le leggi naturali
impongono al processo di crescita economica. Significativamente, questi due
filoni di pensiero si sono incontrati e in certo senso "riconosciuti" nella
critica allo sviluppo sostenibile, a cui entrambi erano giunti, seppure da
diverse prospettive.

Non a caso il saggio di Latouche si apre con una citazione di
Georgescu-Roegen sulla tossicità di questa ricetta, quasi a suggellare la
"nuova alleanza" fra critica sociale e critica ecologica allo sviluppo. In
questo saggio Latouche mostra - con la consueta efficacia - la natura non
solamente contraddittoria, ma schiettamente ideologica dello sviluppo
sostenibile. Non solo esso rappresenta una vera e propria contraddizione in
termini, ma costituisce il cavallo di Troia dell'Occidente per "far durare
lo sviluppo", lasciando così immutati i presupposti immaginari e le
strutture economico-finanziarie responsabili dei probemi ecologici e sociali
in cui si dibatte l'umanità.

Il contributo di chi scrive - oltre a presentare una sintesi delle
principali conclusioni della teoria bioeconomica di Georgescu-Roegen (e
quindi del perché l'attuale sistema economico è ecologicamente
insostenibile) - introduce in modo semplice, senza alcuna formalizzazione,
un nuovo approccio sistemico al processo economico. Tale approccio consente
di comprendere a fondo alcuni paradossi della società contemporanea, in
particolare il paradosso dell'efficienza (nonostante gli incrementi di
efficienza, i consumi di risorse aumentano sempre di più) e il paradosso del
benessere (nonostante gli aumenti continui nei consumi di beni e servizi, il
benessere tende a diminuire). Le risposte a questi paradossi ci condurranno
inevitabilmente sulla via della decrescita. L'approccio sistemico mostra
come sarebbe possibile - partendo da questa - innescare alcuni circoli
virtuosi verso una società sostenibile, pacifica e conviviale.

Jacques Grinevald - come di consueto a suo agio nella storia dell'economia
come in quella delle scienze naturali - ci guida in un percorso accattivante
dalla crisi della scienza economica tradizionale (rimasta a suo parere al
XIX secolo!) sino al sorgere del nuovo paradigma bioeconomico e alle più
recenti controversie in questo ambito. Allievo di Georgescu-Roegen,
Grinevald è stato - sul finire degli anni Settanta - il primo a utilizzare
il termine decroissance, introducendo (e traducendo) i saggi bioeconomici di
Georgescu per il pubblico di lingua francese.

I fautori della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile hanno sempre
risposto alle critiche degli ecologisti con una pluralità di argomentazioni,
il cui fulcro teorico ruota attorno al concetto di progresso tecnologico.
L'idea è quella secondo cui il progresso tecnico consentirà, come già
avvenuto in passato, di oltrepassare i limiti, producendo di più con un
minore impiego di risorse e di energia. Questa fiducia nella tecnologia è
tanto più preoccupante in quanto è condivisa non solo dagli apologeti della
globalizzazione, ma dall'intero arco delle forze politiche e persino da ampi
settori del movimento ambientalista. Il saggio di François Schneider - come
in precedenza quello di chi scrive - rovescia questa tesi e, sulla scorta di
numerosi esempi, giunge a dimostrare come il progresso tecnico dia luogo a
una sorta di effetto rimbalzo, e dunque a un inatteso aumento nei consumi
dei più svariati generi di beni e servizi.

Critica allo sviluppo e bioeconomia, per quanto fondanti, non esauriscono
tuttavia lo spettro dei contributi qui presentati. Lo stesso Latouche ha
sempre sottolineato quanto la dimensione immaginaria giochi un ruolo
essenziale nella persistenza e pervasività del modello occidentale. La sua
messa in discussione non può quindi prescindere da una decostruzione dei
miti e dei presupposti culturali e antropologici su cui questo si fonda.
Questo lavoro di decostruzione dell'immaginario della crescita è svolto qui
con ricchezza di elementi da Paul Ariès e, con un taglio più propriamente
psicologico, da Georges Didier.

Su un piano più propriamente politico si situano, invece, i contributi di
Pierre Rabhi e Vincent Cheynet. Rabhi, scrittore e pioniere dell'agricoltura
biologica in Francia e in Africa, ha acconsentito a candidarsi alle elezioni
presidenziali francesi nel 2002, facendo della decrescita sostenibile
l'argomento fondamentale della propria campagna elettorale.

Seguendo le orme di Ivan Illich, Rabhi presenta un insieme di proposte di
riforma che - attraverso il recupero di una "sobrietà felice" - consentono
di restituire all'essere umano un più pieno controllo delle proprie capacità
estetiche e manuali, ossia della tecnologia. Vincent Cheynet, muovendosi a
cavallo tra critica dell'immaginario pubblicitario e democrazia, mostra
come, sotto l'apparenza di una falsa moderazione, la violenza esercitata dal
sistema finanziario e mediatico sia estrema. In questo contesto «la saggezza
si confonde con la sottomissione, la ricerca dell'equilibrio con il
nichilismo. Gli pseudo-difensori della democrazia giungono, molto spesso a
propria insaputa, a diventare i guardiani più servili della tirannia». La
prospettiva della decrescita, fondata su una concezione non espansiva e
nonviolenta delle modalità di produzione della ricchezza, si presenta come
vero antidoto rispetto alla logica del sistema dominante: le reazioni di
malcelata violenza che essa ispira nei difensori del potere rappresenta,
secondo Vincent Cheynet, un chiaro segno del suo carattere autenticamente
democratico.

In qualche modo cerniera tra la prima e la seconda parte, il testo di Serge
Mongeau è un invito alla "semplicità volontaria". Il concetto - introdotto
da Richard Gregg, un allievo di Gandhi, nel 1936 - «... non significa
povertà; [semplicità volontaria] è un privarsi di qualche cosa per lasciare
maggiore spazio allo spirito e alla coscienza; è uno stato dello spirito che
invita ad apprezzare, assaporare e ricercare la qualità; è una rinuncia agli
oggetti che appesantiscono, infastidiscono e impediscono di andare a fondo
alle proprie possibilità». Il metodo della semplicità volontaria comincia da
un lavoro di introspezione, da un lavoro su se stessi in cui l'agire
politico diviene, secondo l'insegnamento gandhiano, inseparabile dalla
riflessione spirituale. Questo procedere dalla trasformazione di sé alla
trasformazione della società rappresenta, pur non esaurendola, una
componente importante dei contributi sulla decrescita, segnando una
differenza importante dalla tradizione marxista.

È appunto alle buone prassi che è dedicata la seconda parte del volume. Sono
presentate qui tre esperienze che non hanno ovviamente alcuna pretesa di
esaurire l'estrema varietà delle pratiche di decrescita sostenibile,
pacifica e conviviale che si vanno sperimentando nei diversi "cantieri della
decrescita".

Denis Cheynet effettua una impietosa e dettagliata analisi dell'universo
dell'automobile, vero e proprio simbolo dell'ideologia della crescita,
mostrandone gli inauditi costi indiretti, la scarsa efficienza oltre
all'elevatissimo impatto sulla salute degli esseri umani, prima ancora che
sugli ecosistemi.

François Terris presenta l'esperienza dei Sistemi di scambio locale (SEL) in
Francia, interessanti laboratori di economia alternativa in cui, tra
l'altro, viene tentata una ridefinizione del ruolo della moneta: da
strumento di accumulazione e dunque di sfruttamento dei più deboli a
semplice mezzo per facilitare gli scambi tra produttori locali. Infine
Sabine Rabourdin e Fabrice Flipo illustrano «La scommessa contro l'effetto
serra»: la prima campagna - condotta in 16 paesi europei da un gruppo di
associazioni - finalizzata a sensibilizzare i giovani al problema planetario
dei mutamenti climatici, ma indirizzata anche a fornire loro gli strumenti
per ridurre le emissioni di anidride carbonica, adottando personalmente
comportamenti volti a economizzare le risorse naturali.

Mauro Bonaiuti