[Ecologia] Quanto manca al picco della domanda di petrolio ?



Nei paesi industrializzati i consumi di petrolio stanno diminuendo dal 2005. Il picco massimo della domanda di greggio potrebbe arrivare presto anche a livello globale.

Questo non cancellerà il problema del prossimo picco produttivo del petrolio, ma i due fenomeni si intrecceranno, e in parte lo stanno già facendo, in un modo per il momento non previsto, non studiato, non conosciuto.

Inoltre il picco della domanda di petrolio arriverebbe prestissimo se fossero messi in azione gli accordi di Parigi contro il cambiamento climatico, se alcuni progressi tecnologici fossero rapidi, vedi auto elettrica, e se i movimenti sociali uscissero dal letargo e capissero che un mondo diverso è possibile, a condizione di agire però in modo non superficiale.

Quanto manca al picco della domanda di petrolio ?




Domanda debole, quotazioni del greggio basse e prezzi di estrazione alti rappresentano uno scenario da incubo per l'industria del petrolio, con colossali investimenti inutilizzabili. Non è un caso che gli analisti consiglino di disinvestire e puntare su altri comparti, come le rinnovabili. Un articolo dalla nuova edizione del libro di Gianni Silvestrini, “2 °C".
Gianni Silvestrini
06 aprile 2016

Quando si parla di prezzi del petrolio ci si concentra spesso sul lato produzione, ma ad influenzare in modo decisivo le quotazioni future del greggio sarà l’andamento della domanda.
I consumi attuali sono inferiori di 5 milioni di barili/giorno (mbg) rispetto alle previsioni della IEA del 2007. La BP prevede un rallentamento della crescita del consumo di combustibili liquidi al 2035, con un incremento del 20% rispetto al 2013.
Cina, India e Medio Oriente sarebbero responsabili di quasi tutto l’incremento della domanda. Nei paesi industrializzati, che hanno visto il picco dei consumi nel 2005, la domanda di combustibili liquidi continuerà a calare. In realtà, diversi segnali fanno ritenere che si tratta di valutazioni ottimistiche e che il picco della domanda di greggio sia invece prossimo.
I dati sul calo dei consumi di petrolio negli Stati Uniti e in Europa degli ultimi anni evidenziano come, oltre agli effetti della crisi, stiano emergendo elementi di cambiamento più strutturali.
La riduzione della mobilità automobilistica in molti paesi è accompagnata dal miglioramento delle prestazioni del parco automobilistico, con una riduzione annua media mondiale dei consumi dei nuovi mezzi del 2,5%. Inoltre, tende a crescere la mobilità elettrica e a metano/gpl.
Per finire, le centrali elettriche e i dissalatori nei paesi arabi utilizzano sempre meno l’olio combustibile. E poi c’è il rallentamento di diverse economie, a iniziare da quella cinese.
La domanda di petrolio potrebbe dunque raggiungere un massimo entro un decennio. E l’accordo sul clima di Parigi rappresenta un’ulteriore spinta al contenimento dei consumi, in particolare se sul medio periodo venisse adottata una carbon tax.
Ma domanda debole, quotazioni del greggio basse e prezzi di estrazione alti rappresentano uno scenario da incubo, con colossali investimenti inutilizzabili. Non è un caso che diversi analisti consiglino alle multinazionali energetiche di disinvestire e di puntare su altri comparti, come quello delle rinnovabili. Un elemento di preoccupazione che si somma al rischio di non potere utilizzare le riserve a causa dei rischi climatici.
I paesi arabi, d’altra parte, hanno costi di estrazione molto bassi, ma i sussidi alla vendita interna dei carburanti (180 miliardi di $ nel 2012 per i paesi Opec) e le spese per la difesa dei pozzi richiederebbero invece prezzi elevati. Secondo le valutazioni dell’Arab Petroleun Investment Corporation, il valore da garantire nel 2013 era salito a 102 $/barile.
Viste le enormi ricchezze accumulate, l’Arabia Saudita può permettersi di tenere basso il prezzo per qualche anno, ma poi dovrà rialzarlo. Intanto, sta riducendo, come del resto molti altri paesi produttori, i sussidi al consumo della benzina. Per far fronte al calo delle entrate petrolifere, alla fine del 2015 i prezzi alla pompa sono aumentati dai precedenti 14,7 a 22 centesimi di euro per litro.
Il rallentamento della domanda sta mettendo in seria difficoltà diverse multinazionali e paesi produttori. Le esplorazioni più a rischio sono già state bloccate, tanto che alla fine del 2015 sono saltati investimenti per 380 miliardi di $ che avrebbero portato nel 2025 ad una produzione aggiuntiva di 2,9 mbg, per la metà da estrazioni in acque profonde.
I prezzi potranno risalire, ma le dinamiche questa volta saranno fortemente condizionate dagli impegni sul clima che tenderanno a rallentare i consumi, grazie agli investimenti su efficienza e rinnovabili, e che influenzeranno anche l’offerta di fossili, con la minaccia del congelamento delle riserve.
Gli impegni sulle emissioni avranno dunque un ruolo calmierante sui prezzi, rendendo più agevole l’introduzione di una carbon tax.

Questo articolo è un estratto dalla nuova edizione del libro di Gianni Silvestrini, “2 °C. Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l'economia”, Edizioni Ambiente, marzo 2016.
www.duegradi.it è il sito dedicato al libro. L'estratto è stato pubblicato con il consenso della casa editrice.