Erosione coste, lo studio Clamer sui mari europei



COMUNICATO STAMPA
Di Giovanni D'Agata

Ambiente: allarmante relazione sui mari europei del progetto internazionale “CLAMER”. In Italia a rischio erosione 1500 chilometri di costa. Il caso emblematico del Salento che risulta essere il più interessato al fenomeno (200 km, 25% del litorale).
 
Gli oceanografi non hanno più dubbi: in un report condotto da “CLAMER”, un progetto europeo che riunisce 17 istituti oceanografici di dieci diversi paesi, ha denunciato che a causa dei cambiamenti climatici i mari d’Europa sono soggetti a cambiamenti di una rapidità senza precedenti a causa della fusione del ghiaccio artico, l'aumento della temperatura e la migrazione della vita marina.
Secondo il dottor Carlo Heip, direttore Generale del “Royal Netherlands Institute for Sea Research”  leader del progetto “CLAMER” e principale autore della relazione, in un intervista rilasciata ieri all’agenzia di stampa Reuters “il cambiamento è chiaramente visibile ed è molto più veloce di quanto pensassimo".
Durante gli ultimi 25 anni, infatti, la temperatura del mare è costantemente aumentata così come lo scioglimento del ghiaccio artico. La combinazione dell'aumento del livello del mare e venti via via più potenti hanno contribuito all'erosione del 15% delle coste europee, sostiene il rapporto. In questo periodo, le acque si sono surriscaldate circa dieci volte più velocemente rispetto alla media osservata durante tutto il XX secolo. La ricerca arriva anche ad ipotizzare un aumento del livello del mare da 60 cm a 1,9 metri per alcune coste inglesi entro il 2100.
In Italia, ce ne stiamo accorgendo un po’ tutti, ma le statistiche sono già più che drammatiche: un quarto delle nostre coste basse è soggetto ad erosione con un bilancio negativo impressionante di ben 5 milioni di mq di spiagge già perse. Tale fenomeno a dir poco catastrofico se si pensa agli effetti negativi di un paese a vocazione turistica, anche balneare, quale il nostro, non è percepito in maniera omogenea della nazione ed è frutto di processi quasi tutti legati all’azione umana.
È noto, infatti, che il boom edilizio e l’insussistenza di efficaci vincoli nel periodo che va dagli anni ’50 sino agli ’80, ha causato la perdita di gran parte del sistema di dune che venivano demolite per ricavarne materiale da costruzione o per sostituirle con lungomari, campeggi, villette, condomini, stabilimenti balneari, strutture alberghiere e ferrovie. Già nel corso di questo trentennio le spiagge sono state private di una difesa “naturale” e di un fondamentale riserva di materiale sedimentario, con la conseguenza di rendere tutto il sistema costiero totalmente anelastico, anche di fronte alle piccole variazioni stagionali o a singoli eventi meteomarini, ed esponendo così le coste alla costante minaccia dell’erosione anche in zone normalmente non sottoposte. Infatti, anche una spiaggia apparentemente stabile è soggetta ad un equilibrio dinamico nel quale arretramenti ed avanzamenti della linea della riva, per qualche decina di metri, hanno solitamente luogo anche in tempi brevi: se al posto delle dune il mare trova dei manufatti, il sistema non si può assestare su una configurazione di equilibrio temporaneo per mancanza di spazi e di materiali.
Caso emblematico di questo problema è costituito dal Salento, terra di vacanzieri e di bellissime spiagge, ma anche di scogliere a rischio crollo e in parte già franate, lidi sabbiosi divorati dal mare e stabilimenti balneari immersi nell’acqua. Questo vero e proprio allarme nazionale che ha colpito la parte maggioritaria delle coste del Belpaese non ha risparmiato, quindi, neanche la provincia di Lecce che risulterebbe essere la più colpita in Italia con una percentuale pari al 25 % di tutto il proprio litorale costiero per una lunghezza totale di circa 200 km di costa soggetta al fenomeno, tant’è che i sindacati degli imprenditori degli stabilimenti balneari, associazioni ambientaliste e le istituzioni locali da anni ormai dibattono per cercare delle soluzioni definitive nel rispetto degli ovvi vincoli ambientali pongano un freno a questa progressiva consumazione del litorale che riguarda in maniera minore il versante ionico (in particolare, Porto Cesareo, Gallipoli e la Marina di Ugento) e più incisivamente quello adriatico (Casalabate, Frigole, Cesine e Laghi Alimini le località più colpite).

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