Re: [Nonviolenti] [ml beati] da Enrico Peyretti. Ancora sui fatti della Valsusa.



Caro Tiziano, grazie. Ho scritto senza la preoccupazione di essere inteso male. Ma è giusto discutere.
Conosco e sostengo la causa Notav, anche se sempre si può ed è utile porsi problemi e interrogativi autocritici.
A me era arrivato "riprendere" la zona, poi diventato "assediare". Tanto è vero che "riprendere" poteva essere inteso anche come tentativo per via amministrativa.
So bene come è difficile far conoscere ragioni controcorrente, e so che i valsusini lo cercano da tanto tempo. Eppure, quella è la via. Senza l'appoggio di buona parte dell'opinione pubblica e di un profondo cambio di mentalità corrente non potranno ottenere il risultato. Il contrario è illusione romantica.
Violenza sulle cose: non intendo certo parificare cose e persone, ma anche la rottura di cose  è molto equivoca.
Da sempre penso che le manifestazioni nonviolente devono avere anche aspetto e forma alternativi al corteo politico, alla falange militare  e alla processione religiosa.
Non tutto il male vien per nuocere: forse può crescere l'attenzione alla ragioni sostanziali Notav.
Grazie ancora, con un caro saluto, Enrico
*

Il 11/07/2011 12:04, Tiziano Tissino ha scritto:
Ringrazio anch'io Enrico per le sue riflessioni. Vorrei però aggiungere alcune cose, da uno che - per quanto parziale - è stato osservatore degli avvenimenti del 3 luglio in Val di Susa.
Premetto che il "parziale" qui sopra va inteso in duplice senso: sia come come "di parte", perché non voglio certo negare di sentirmi dalla parte dei NoTav, sia come "di una sola parte degli avvenimenti", anche se poi nei giorni successivi ho cercato di raccogliere in Internet informazioni su cosa è successo anche sugli altri "fronti".

Sul punto 1 di Enrico, sottoscrivo in pieno.
Sul punto 2, invece, ho alcuni appunti da fare. Per quel che ne so, la parola d'ordine della manifestazione non era "occupare e riprendere la zona recintata del cantiere" ma solo "assediarlo". Possiamo dire che anche questo è un termine bellico e che bisognava sostituirlo con qualcosa di ancora più pacifico, ma non credo sarebbe cambiato molto, perché sono convinto che la polizia avrebbe usato idranti e lacrimogeni anche se si fossero avvicinate un gruppo di suore con il crocifisso in mano... E questo non mi pare un "pre-"giudizio, ma un "post-"giudizio, basato su quanto accaduto il giorno dello sgombero del presidio, con le forze di polizia che hanno aggredito militarmente i manifestanti pacifici, inseguendoli  fin nei boschi con i lacrimogeni. Possiamo anche dire che le forme di manifestazione "non avessero neppure l'apparenza dell'aggressività", ma non possiamo prendercela con i manifestanti se, dopo quel che era successo il giorno dello sgombero forzato, si sono dotati di caschi e di maschere antigas.
Poi, mi pare veramente irriguardoso nei confronti della popolazione valsusina, accusare in qualche modo i manifestanti di non aver saputo spiegare le loro ragioni: sono vent'anni che le spiegano a tutti, le ragioni del loro no; non sarà mica colpa loro se la quasi totalità della stampa e della politica sono asservite ai poteri economici.
Infine, sulla protesta che "deve essere pura da ogni violenza su cose e persone": qui, non sono proprio d'accordo con Enrico. Nessuna violenza sulle persone mi sta benissimo. Ma il sabotaggio è un'azione che rientra a pieno titolo nei canoni della nonviolenza. Se fossi sul posto e sapessi come fare, non mi farei scrupolo di mettere fuori uso gli attrezzi che le imprese e la polizia usano o intendono utilizzare per il TAV. Certo, poi bisognerà discutere caso per caso cosa sia opportuno fare o non fare. Ma porre sullo stesso piano cose e persone, dichiarando per principio che le prime sono "sacre" ed intangibili come le seconde, mi pare inaccettabile.
Un'altra considerazione mi pare poi di dover fare: pur con tutta la stima e l'affetto che ho per Enrico, e pur continuando a ritenermi un nonviolento, penso che dovremmo stare attenti - come nonviolenti - nel presentarci come "i primi della classe", pronti a bacchettare quei somari dei valsusini (o gli esagitati dei centri sociali) perché non sono così bravi come dovrebbero essere nell'applicare sul campo le belle regole della nonviolenza che noi abbiamo imparato a tavolino, come se noi avessimo la soluzione in tasca per risolvere il loro problema e come se tutto il casino che è successo fosse dovuto alla loro inesperienza e alla loro fragilità emotiva, mentre noi sì che avremmo saputo cosa fare al loro posto.
Un'ultima cosa, e poi chiudo. Quale che sia la nostra valutazione sulla violenza dei manifestanti, è un errore madornale pensare che si trattasse di "intrusi smaniosi di violenza": posso testimoniare personalmente (ed ho visto che altri lo hanno fatto) che anche i più pacifici manifestanti del corteo "facevano il tifo" per i ragazzi che sotto, vicino al ponte, si opponevano a mani nude o quasi ai lacrimogeni e nessuno li considerava degli intrusi...

Il 11/07/2011 09.05, Lisa Clark ha scritto:

Ringrazio Enrico per queste riflessioni che trovo utili e condivisibili.

Un saluto di pace,

Lisa


11 07 10 Sui fatti della Valsusa del 3 luglio


Sui fatti della Valsusa del 3 luglio ho sentito ancora altre testimonianze. Arrivano versioni differenti, da differenti esperienze, luoghi di presenza, punti di osservazione o di partecipazione. Io non c'ero, impegnato altrove, ma comunque sarei stato in dubbio se partecipare.

Mi convinco sempre più, per ciò che posso sapere e capire, che le ragioni Notav sono giuste, ma la forma della lotta, pur generosa e appassionata, non è stata abbastanza meditata, previdente, preparata, difesa e distinta dagli equivoci, non si è bene preoccupata di farsi capire dall'opinione generale, media e onesta, che è quella decisiva in pratica.

Devo dire qualcosa, da ciò che posso raccogliere, prima sulla polizia, poi sulle forme della manifestazione di protesta, infine nel merito della decisione politica sull'opera.

*

1. La polizia ha avuto i suoi torti. Lo dice anche, tra i presenti, chi critica aspetti sbagliati della manifestazione. La polizia ha reagito con rapidità eccessiva e con mezzi violenti ad atti minacciosi. Secondo altri, ha dato inizio senza necessità ad atti violenti, con strumenti come i lacrimogeni al gas CS pericoloso e vietato, sparati ad alzo zero, senza distinguere tra i manifestanti, e senza separare gli esagitati, come dovrebbe saper fare per sua funzione professionale.

Sappiamo da altri spiacevoli segni che la polizia è attrezzata e educata, salvo belle eccezioni, in modo da essere indotta, nel caso critico, più a fare violenza che a contenere e limitare la violenza altrui. Il tarlo è nella stessa concezione dello stato, che storicamente nasce accoppiato alle armi, geneticamente armato, che si definisce classicamente come detentore della “violenza legittima”, cioè come legittimazione della violenza di chi, essendo più forte, assume in qualche modo il potere sugli altri.

La concezione filosofica sottostante a questa forma storica, è quella di una umanità essenzialmente malvagia e violenta, che solo una forza superiore può domare e addomesticare, come si fa con esseri belluini. Tale concezione è discutibile, e comunque spinge al peggio le bivalenti possibilità umane: tra l'angelo e la bestia, tra la grandezza e la miseria, vede, privilegia ed eccita la bestia e la miseria. Tale “realismo” riduce e abbassa la realtà umana, che è ambivalente, ma non è fatalmente condannata al peggio, e non va trattata come tale. Questa semplificazione negativa è ciò che Ernesto Balducci chiamava “il sofisma machiavellico”.

Certamente la democrazia (che scommette sulla ragione umana media autocorreggibile) e la cultura dei diritti umani (fondata sulla dignità inviolabile di ogni persona, anche colpevole) introducono correttivi e attenuazioni in quella concezione, nella legislazione e nella conseguente pratica, ma ne portano ancora il peso e le distorsioni: basti dire che anche gli stati democratici si identificano, persino nelle feste più civili (in Italia il 2 giugno, festa della Costituzione), con l'esercito e le armi, cioè con gli strumenti rozzi e arroganti dell'uccidere, non del convivere; e che la polizia ha aspetto, foggia, vestiario, strumenti, simboli e mentalità più militari che di tutela dell'ordinata convivenza. Non è in primo piano nella mente della politica e della polizia la differenza tra forza, che è qualità della vita, e violenza, che è azione di offesa, dolore e morte. Ogni buon genitore conosce bene questa differenza nell'educare i figli. La polizia, per contrastare, ridurre, bloccare atti violenti, deve poter usare anche la forza costrittiva, ma mai la violenza. Però non è educata e preparata, culturalmente e psicologicamente, a questo. Lo stato, per contrastare la violenza, finisce col confermarla facendola propria, come se ci fosse un male legale e uno illegale. In questo modo la “politica” - arte necessaria e nobile del vivere insieme nella “polis”, nella città – contraddice e smentisce se stessa. Ne seguono danni umani e dolore. C'è ancora molto, molto, molto da lavorare.

*

2. La manifestazione – lo abbiamo già detto – doveva pensarsi e organizzarsi in modi, forme visibili, atteggiamenti psicologici e interiori, totalmente alternativi ai modi con cui lo stato non discute ma solo difende e impone una decisione politica. La manifestazione doveva sapere che sarebbe stata inquinata da intrusi smaniosi di violenza, o per volontà di rovinarla e boicottarla, o per rozzezza mentale. I manifestanti valsusini avrebbero dovuto usare forme così miti che non avessero neppure l'apparenza dell'aggressività: invece, un corteo di massa, partito con la dichiarazione di voler occupare e riprendere la zona recintata del cantiere, senza escludere esplicitamente la forzatura materiale, di fatto eccitava i poliziotti da una parte, i violenti dall'altra. Mi sembra chiaro che i manifestanti avrebbero dovuto esporsi in gesti capaci di comunicare all'opinione pubblica le serie ragioni del no all'opera, e il diritto a ricorrere giuridicamente contro l'occupazione dei terreni agricoli. Purtroppo l'attenzione pubblica, complici i media, sa vedere solo il fracasso e la violenza, facilmente condannate, e non sa altrettanto ascoltare le ragioni critiche, travolte nella condanna. Ma chi protesta contro un atto politico che giudica ingiusto, questo lo sa benissimo, deve evitarlo, e non deve prestarsi alla condanna della sostanza insieme alla forma. Vuoi sfogare te stesso o affermare la causa? Non è ingiusta l'illegalità in nome della giustizia, come fu la esemplare marcia del sale di Gandhi, ma deve essere pura da ogni violenza su cose e persone, deve saper patire la violenza senza restituirla, deve essere pronta a pagare le conseguenze penali, come gli obiettori di coscienza che nel mondo accettano la prigione, o peggio, per disobbedire alle armi. Se non si è in grado di avere questa forza, si discute con pubblici messaggi, ma non si fa disobbedienza civile, non manifesta sul terreno. Altrimenti si fa il gioco degli avversari. Gandhi interrompeva le sue campagne e se ne dissociava, quando qualche frangia passava alla violenza.

La critica sociale, motivata e non pregiudiziale, alla politica statale, sta realizzando nel nostro tempo dei progressi (accenno: referendum italiani, rivoluzioni arabe, democrazia partecipativa), che sono significativi proprio perché fanno valere ragioni senza violenza contro poteri violenti o arroganti senza ragione. In questa linea promettente, è essenziale che la nonviolenza attiva, positiva, politica, diventi cultura e metodo sempre più affinato ed efficace, sempre più libero da vecchie abitudini e scorie mitiche.

*

3. Sono serie le ragioni tecniche, ambientali, economiche, sociali che dicono sbagliata questa “grande opera”, destinata a pesare, senza utilità corrispondente, sulle casse pubbliche per decenni, in nome del mito sviluppista, che deve ridursi, se finalmente, dopo i danni fatti, impariamo che nel mondo limitato la crescita non può essere infinita. Il calcolo speculativo dei privati fa conto sull'esecuzione dei lavori enormi, affidati a trattativa privata, pagati dallo stato (dal 1991 i costi sono lievitati di oltre il 400%), ma non si impegna nella gestione dell'opera, di cui non prevede la redditività.

Oggi il direttore di Itaca, Istituto per l'approvazione e la trasparenza degli appalti, Ivan Cicconi, scrive al segretario del PD, Bersani (che ha dichiarato inaccettabile che frange violente fermino i cantieri; che da ministro aveva approvato un progetto con finanziamento paritario fra Italia e Francia, poi mutato dal governo Berlusconi, con le norme speciali della legge obiettivo, per due terzi a carico dell'Italia): «Restano da trovare nelle casse dello Stato almeno 18,4 miliardi, cifra per la quale non vi è la benché minima ipotesi di copertura». «Non credi sia da irresponsabili prendere a pretesto il comportamento di alcune frange violente e glissare totalmente sulle ragioni del no di una intera comunità e dei loro rappresentanti?». «Posso assicurarti che tutte le procedure e gli atti connessi adottati dalla società Ltf sono quanto di peggio posssa essere nesso in atto a fronte delle norme europee e nazionali». Cicconi afferma che «i numeri usati per sostenere la fattibilità non hanno il minimo di credibilità», sono basati su «previsioni semplicemente false». «Posso testimoniare che da quando mi occupo di questo progetto non ho mai avuto occasione di misurarmi con ragioni tecniche del sì minimamente affidabili». Sta avvenendo un «confronto dissociato fra le ragioni tecniche e scientifiche del no ad un'opera inutile, e le ragioni del no alle frange violente. (…) Un paravento che solo la disinformazione può tenere in piedi» (Il Fatto quotidiano, 10 luglio 2011, p. 9).

Enrico Peyretti, 10/07/11






 



_______________________________________________
Nonviolenti mailing list
Nonviolenti at lists.nonviolenti.org
http://lists.nonviolenti.org/cgi-bin/mailman/listinfo/nonviolenti