Qualenergia - Deepwater Horizon: la three Miles Island del petrolio ?



Deepwater Horizon: la Three Miles Island del petrolio?
Il disastro del Golfo del Messico rende evidenti i rischi crescenti di estrarre un petrolio sempre più scarso, al punto da venire paragonato all'incidente nucleare del 1979. I costi economici ed ambientali delle fonti fossili si rivelano sempre più insostenibili, avverte un report di Lloyd's e Chatham House, è il low-carbon l'unica soluzione per la sicurezza energetica.
Con il petrolio sempre più scarso si deve ricorrere alle riserve più difficili da sfruttare e i rischi aumentano: il disastro del Golfo del Messico insegna. La perdita alla piattaforma BP Deepwater Horizon rischia però di essere per i pozzi in mare aperto quello che l’incidente di Three Miles Island è stato per il nucleare. La parziale fusione del nocciolo avvenuta nella centrale della Pennsilvania nel 1979 e la relativa fuga di radioattività ha infatti segnato una svolta nella coscienza collettiva americana sui rischi del nucleare: dall’80 all’84 negli Usa sono stati cancellati i programmi per la costruzione di 51 reattori e da allora nel paese non sono state completate nuove centrali. Succederà qualcosa di simile anche per le trivellazioni off-shore?

È questo che sostengono diversi osservatori, tra cui il commentatore Jeff Rubins del canadese The Globe and Mail. Obama, ricorda Robin, ha sospeso la sua recente decisione di riaprire le trivellazioni off-shore e in futuro le regole saranno certamente più severe. A questo si aggiunge la sfiducia degli investitori: oggi e ieri le azioni BP hanno subito perdite mai viste negli ultimi 13 anni ed è difficile credere alla versione della compagnia, secondo la quale il crollo non avrebbe niente a che fare con il disastro della Deep Horizon.

A sostegno di questa tesi arriva in questi giorni anche un report curato dal gruppo assicurativo Lloyd’s assieme al think tank Chatham House. Lo studio (vedi allegato) , dal titolo “Sustainable Energy Security: Strategic Risks and Opportunities for Business”, come gli anglofoni avranno già capito cerca di soppesare rischi ed opportunità dei vari investimenti in energia. Nel presentare il documento Antony Froggatt, uno degli autori, inizia proprio parlando del disastro della Deep Horizon. L’episodio spiega “ha ampiamente dimostrato come la domanda energetica e la ristretta disponibilità di alcuni combustibili fossili convenzionali ponga rischi crescenti per la sicurezza energetica dell’ economia mondiale”.

Con il petrolio sempre più scarso, spiega il report, i rischi economici ed ambientali per estrarlo aumentano e - aggiunti agli effetti sul riscaldamento globale e all’incertezza sulle politiche per contrastarlo – rendono sempre più insostenibili gli investimenti. Nel futuro imminente dipinto dal report c’è un supply crunch petrolifero – ossia una produzione troppo scarsa rispetto alla domanda – con relativa impennata dei prezzi.

Le conclusioni e le raccomandazioni a governi e investitori che Lloyd’s e Chantham Institute fanno di conseguenza sono di quelle che qualche anno fa si leggevano solo nei report di alcune associazioni ambientaliste ma che ultimamente sembrano condivise da una parte crescente del mondo del business. Le aziende – avverte il report - farebbero bene a ricordarsi dell’impennata dei prezzi del petrolio del 2008 e a preparasi di conseguenza cercando altre fonti e investendo in efficienza energetica, la strategia più efficace per affrontare il problema sul breve termine. La questione della sicurezza energetica – si ribadisce - si può affrontare solo abbandonando gradualmente i combustibili fossili. Essenziali (e cruciali per il business) sono le politiche che favoriscano la transizione energetica e gli investimenti pubblici e privati

Una “terza rivoluzione industriale” dell’energia che potrebbe incontrare alcuni ostacoli come quello della carenza di alcuni metalli rari (Qualenergia.it, La green economy e la carenza dei metalli rari) o avere alcune ricadute ambientali negative, ma che presenta grandi opportunità di guadagno per chi si muoverà prima: da qui al 2050 il mercato del low carbon, prevede il report, varrà 500 miliardi di dollari all’anno.


GM
10 giugno 2010
 
 
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