Taranto: inquinamento e responsabilità



Vetriolo nel Galeso, amianto nelle navi militari, tracce di apirolio (e non solo) in Mar Piccolo, rifiuti tossici altamente inquinanti in Mar Grande, discariche usate per occultare sostanze altamente pericolose. Sono solo alcuni dei casi che in queste settimane stanno infiammando le cronache giudiziarie determinando risvolti di varia natura.

A conferma del fatto (ma non ce n’era bisogno) che a Taranto la questione ambientale è un’emergenza sempre aperta, una ferita che continua a sanguinare, una piaga che non si rimarginerà mai.

Tra le vicende più delicate su cui in queste ore si sta cercando di fare chiarezza al terzo piano di Palazzo di Giustizia c’è quella che riguarda la Hidrochemical i cui scarichi, come si legge nel provvedimento di sequestro firmato dalla magistratura tarantina, hanno determinato "una situazione di gravissimo inquinamento con il superamento di tutti i parametri di legge".

Quello che sconcerta, in una storia che è simile a tante altre storie scritte nei fascicoli custoditi negli scaffali della Procura, è che tutto ciò avveniva perchè c’era un’autorizzazione, prima provvisoria e poi definitiva, rilasciata dalla Provincia attraverso determine del dirigente del settore Ambiente: quella provvisoria datata 12 novembre 2003, quella definitiva firmata il 24 maggio dell’anno
successivo.

Di fronte al terremoto provocato dal blitz della Procura di Lanciano e dai successivi provvedimenti emessi dalla magistratura ionica, la Provincia è corsa ai ripari sostituendo il dirigente in questione.

Il particolare dell’autorizzazione riporta a un altro caso giudiziario. Quello della sentenza con cui la Cassazione ha annullato il verdetto della Corte d’Appello di Taranto che confermava la confisca dei parchi minerali dell’Ilva. Bene, anche a legittimare la presenza dell’area in cui confluiscono le polveri c’è un’autorizzazione, in questo caso regionale.

I giudici della Suprema Corte, infatti, spiegano che, mentre era in corso il processo di secondo grado, il dirigente del Settore Ecologia della Regione Puglia ha emesso un provvedimento provvisorio (non sappiamo se nel frattempo diventato definitivo) di autorizzazione alle emissioni convogliate in atmosfera. Un’autorizzazione piovuta dal cielo che ha salvato l’Ilva dalla confisca.

Tutto ciò inevitabilmente getta un’ombra sinistra sulla gestione di una vicenda che, complice l’atto d’intesa e il conseguente ritiro della costituzione di parte civile da parte di Comune e Provincia di Taranto, ha messo la città in una condizione di impotenza. Il risultato è che i parchi restano dove sono, le polveri continuano a inquinare e la comunità ionica, attraverso gli Enti che la rappresentano, non ha potuto ottenere neanche un risarcimento dell’incommensurabile danno subìto.

Sono storie che potrebbero ripetersi. Sono storie che probabilmente si stanno ripetendo. Per voltare pagina, definitivamente, bisognerebbe recidere i legami, le protezioni, i silenzi, le connivenze. Bisognerebbe spezzare la rete invisibile di rapporti che passano sulla testa delle persone.

Ve lo ricordate l’ex questore Raffaele Valla, candidato sindaco battuto da una dirompente Rossana Di Bello, quando parlava di “palazzo di vetro”? Tutti sorridevano di fronte alle sue provocazioni. “Già - ridacchiavano negli uffici - così scoffola dopo cinque minuti....”.

Luisa Campatelli
luisa.campatelli at corgiorno.it

Corriere del Giorno 31/3/06