[Disarmo] La seconda Nakba dei palestinesi di Yarmouk



Siria. Dove è finito il 90% del campo profughi? Intervista al portavoce dell'Unrwa, Gunness: «Difficile monitorarli: la maggior parte hanno trovato rifugio in altri campi in Siria, altri sono fuggiti in Giordania e Libano». E alcuni sono finiti a Gaza

La chia­mano la seconda Nakba, la fuga dal campo pro­fu­ghi che ha sosti­tuito la Pale­stina. Yar­mouk si è svuo­tato: in quat­tro anni di guerra civile il 90% dei 160mila resi­denti è scap­pato da guerra e fame. In que­ste set­ti­mane, dopo l’offensiva nell’Isis, la lotta strada per strada tra com­bat­tenti pale­sti­nesi e mili­ziani isla­mi­sti, la stampa è tor­nata a vol­gere lo sguardo a Yarmouk.

Ma dove sono finiti tutti gli altri? Dove è oggi il 90% di Yar­mouk? Alle prese con una nuova Nakba, la cata­strofe del popolo pale­sti­nese, come viene chia­mata l’espulsione da parte delle forze sio­ni­ste nel 1948 di 850mila abi­tanti della Pale­stina storica.

«Le infor­ma­zioni che abbiamo a dispo­si­zione sono ancora incom­plete – spiega al mani­fe­sto Chris Gun­ness, por­ta­voce dell’Unrwa, agen­zia Onu per rifu­giati pale­sti­nesi – Yar­mouk è la più grande comu­nità pale­sti­nese in Siria e molti dei resi­denti hanno con­tatti all’esterno. In genere i pro­fu­ghi pale­sti­nesi ten­dono a cer­care rifu­gio in altre comu­nità pale­sti­nesi: sap­piamo che molti da Yar­mouk si sono spo­stati in altri campi dove hanno amici, parenti, una rete sociale».

«Dei rifu­giati pale­sti­nesi in Siria, sap­piamo che 45mila sono entrati in Libano, ma le chiu­sure del governo hanno impe­dito che ne entras­sero di più. Ce ne sono altri 15mila in Gior­da­nia. Non abbiamo dati certi in merito a coloro che sono fug­giti in Tur­chia e Siria per­ché l’Unrwa non è pre­sente nei due paesi. Ma quello che è certo è che la grande mag­gio­ranza dei pro­fu­ghi pale­sti­nesi in Siria sono sfol­lati interni e tra loro molti resi­denti di Yarmouk».

Den­tro restano circa 15mila per­sone a cui è quasi impos­si­bile for­nire assi­stenza uma­ni­ta­ria: «Non entriamo nel campo dal 18 marzo, se non nella zona nord – con­clude Gun­ness – Molti pro­fu­ghi sfol­lati da Yar­mouk hanno tro­vato rifu­gio in quar­tieri a est e sud est, fuori dal campo, nelle zone di Babila, Yalda e Beit Saham. Lì stiamo for­nendo loro assi­stenza in cen­tri medici e punti di distri­bu­zione di cibo e medicinali».

Di aiuti ne ser­vi­reb­bero ben di più: da tempo l’Unrwa lamenta la man­canza di fondi per prov­ve­dere alle tante crisi (da Gaza alla Siria) che stran­go­lano ancora oggi il popolo della dia­spora. L’agenzia Onu ha lan­ciato un rin­no­vato appello per la rac­colta di 30 milioni di dol­lari neces­sari a soste­nere i civili den­tro Yar­mouk e gli sfol­lati all’interno o in Libano e Giordania.

Per que­sti pro­fu­ghi, figli di pro­fu­ghi, nuo­va­mente costretti a lasciare le case che face­vano da sosti­tuto a quelle lasciate in Pale­stina, chiuse amo­re­vol­mente a chiave nel 1948 nella con­vin­zione di rive­derle pre­sto, l’unico luogo in cui rina­scere è la terra pale­sti­nese. In mezzo c’è Israele. Lo scorso anno, quando comin­cia­rono a girare nei media le foto dei pro­fu­ghi di Yar­mouk ridotti a pelle e ossa, l’Autorità Pale­sti­nese si offrì di acco­gliere le fami­glie del campo nei Ter­ri­tori. Inac­cet­ta­bile per Israele che della Cisgior­da­nia con­trolla i con­fini: far entrare un solo rifu­giato da Yar­mouk signi­fi­che­rebbe rico­no­scere il diritto al ritorno.

Solo un con­fine Israele con­trolla di meno, o almeno non diret­ta­mente. Quello tra Egitto e Gaza. Così alcuni riu­sci­rono ad entrate nella pic­cola enclave mas­sa­crata da 8 anni di blocco. Da un asse­dio all’altro: «Mio fra­tello è den­tro Yar­mouk, rie­sco ad avere qual­che noti­zia da mio nipote a Dama­sco. I mili­ziani [le oppo­si­zioni siriane, ndr] con­fi­scano tutto quello che entra, soprat­tutto cibo, e lo riven­dono a prezzi ele­va­tis­simi. Ho chie­sto a mio nipote: come soprav­vi­vete? Ha rispo­sto che man­giano quello che tro­vano, erba, gatti. Ma ora anche i gatti sono introvabili».

Ibra­him aveva rac­con­tato la sua sto­ria al mani­fe­sto oltre un anno fa. A 60 anni era stato costretto di nuovo alla fuga, come suo padre prima di lui. Un rifu­gio Ibra­him lo aveva tro­vato a Gaza City, lì lo abbiamo incon­trato. Sem­pre che rifu­gio si possa chiamare.

Dif­fi­cile moni­to­rare le vie di fuga dei rifu­giati di Yar­mouk: dei 560mila pro­fu­ghi pale­sti­nesi che vive­vano in Siria prima del 2011 480mila sono ancora nel paese, ma 280mila sono sfol­lati interni. Altri 15mila hanno rag­giunto la Gior­da­nia, 45mila il Libano, dove l’accoglienza non è stata delle migliori: da due anni Bei­rut tenta di impe­dire l’ingresso ad altri pale­sti­nesi, non rila­sciando docu­menti di ingresso o riti­rando quelli già consegnati.

A dicem­bre 2012, dopo l’inizio dell’assedio di Yar­mouk, migliaia di pro­fu­ghi lascia­rono il campo diretti verso il Paese dei Cedri. Nelle stanze dei bot­toni liba­nesi si parlò all’epoca di un’ondata di 50mila rifu­giati pale­sti­nesi da Yar­mouk che si sareb­bero river­sati oltre il con­fine verso i 12 campi pale­sti­nesi in Libano. Un timore insop­por­ta­bile per uno Stato fra­gile e attra­ver­sato da decenni da set­ta­ri­smi reli­giosi e etnici che Bei­rut, in diverse occa­sioni, ha impu­tato pro­prio alla pre­senza palestinese.