Guerra ai migranti, e all'Africa



Guerra ai migranti e occupazione militare del Mediterraneo. 
Ben oltre la guerra alla Libia, verso il controllo totale dell'Africa e la sua ricolonizzazione. 

Invio un articolo che argomenta e documenta la funzione e gli scopi dell'enorme 
dispiegamento militare internazionale nel Mediterraneo (e non solo militare), ben oltre le 
esigenze belliche necessarie alla distruzione e alla conquista della Libia e delle sue risorse. 
Alla Guerra ai migranti, estensione della guerra alla Libia e al contenimento dello spirito 
popolare delle rivolte arabe e alla loro normalizzazione, collaborano Ong varie come 
l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e la Croce Rossa, le italiane Direzione 
generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) del ministero degli Affari esteri italiano e 
la sua Protezione civile (sic!), Frontex - Agenzia europea per la gestione della cooperazione 
operativa alle frontiere (sic!). Più ovviamente la Nato tutta, con le sue estensioni a Sud, ad 
Est e in Medio Oriente (Qatar e le emissarie informative Al-Jazeere e Al-Arabya, Algeria, 
Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia). Non poteva mancare, 
ovviamente, il Comando Usa AFRICOM e i suoi "reparti speciali". Con l'interessamento 
personale del Premio Nobel per la Pace Barak Obama. 
Centinaia di unità militari armate di tutto punto, decine di migliaia di as-soldati, per una 
guerra che va ben oltre il perseguimento dell'assassinio di un Capo di Stato al di fuori di 
ogni ordinamento giuridico nazionale e internazionale. Una guerra per il ridisegno della 
geopolitica mediterranea e africana.
L'Onu, ovviamente, sta a guardare, quando non plaude. 
La Sinistra parlamentare italiana ed europea, ovviamente, sostiene la bontà del tutto. 
La Sinistra di base e le sue organizzazioni (?) sociali guardano altrove o tacciono, salvo 
rare ma insufficienti eccezioni. 

Giorgio Ellero

------------ 

Immigrazione. 
La partnership Italia-Tunisia contro i migranti

di  Antonio Mazzeo 

ROMA - "Gli assetti aerei e navali italiani messi a disposizione della NATO per l´operazione 
Unified Protector continuano le missioni assegnate per l´imposizione della no-fly zone e 
dell´embargo navale. Nell´ultima settimana sono state effettuate 39 missioni aeree. Gli 
assetti impiegati dall´Aeronautica militare sono stati i cacciabombardieri Tornado, F16 
Falcon e AMX, gli aerofornitori KC130J e KC767A ed un velivolo a pilotaggio remoto 
Predator B (...)
Per quanto riguarda l´emergenza immigrazione, in applicazione dell´intesa italo-tunisina, 
Nave Comandante Borsini, Nave Chimera ed un aereo Atlantic continuano la sorveglianza 
in prossimità delle acque tunisine".

Fonte: il Ministero della Difesa italiano. 

Il ministero della Difesa italiano emana settimanalmente un dispaccio con un consultivo 
delle missioni effettuate dalle forze armate nella ormai lunga campagna militare in Libia. 
Quasi a consacrare che uno degli obiettivi della guerra globale e permanente è quello di 
contro-arrestare i flussi migratori in direzione sud-nord, lo Stato maggiore congiunge nello 
stesso comunicato le scarne informazioni sui bombardamenti in Libia e l´esibizioni 
muscolari delle unità navali inviate per impedire la libera circolazione nel Mediterraneo di 
uomini, donne e bambini in fuga dalle carestie e dai conflitti africani.      

Che si tratti di vera e propria guerra alle migrazioni, anche se ufficialmente non dichiarata o 
mascherata dietro la formula di comodo dell´"intervento umanitario", lo prova l´arsenale 
militare a bordo delle unità che presidiano le acque tunisine: Comandante Borsini è un 
pattugliatore d´altura dotato di cannoni OTO Breda 76/62 e mitragliere OTO Oerlikon 25/80 
(più un elicottero multiruolo Agusta Bell AB-212), mentre Chimera è una corvetta della 
classe Minerva con cannoni Oto Melara "Compatto", lanciatori multi razzi "Barricade" e 
missili "Aspide". Truce ostentazione di morte in un mare dove sono ormai naufragate 
speranze, solidarietà, accoglienza.

Come se non bastasse, il tratto di mare fra Lampedusa, Malta e il nord Africa è sorvegliato 
giorno e notte anche da numerose unità della Guardia di finanza e della Guardia costiera 
italiana, in prima linea nelle operazioni di "contenimento" e respingimento dei migranti diretti 
verso le coste siciliane e calabresi. 

Poi c´è Frontex, l´Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle 
frontiere, che dopo aver inviato a Lampedusa uno special team operativo nei settori 
d´intelligence e delle identificazioni, ha schierato nel Mediterraneo centrale quattro aerei, 
due navi e due elicotteri messi a disposizione da Francia, Germania, Italia, Malta, Spagna e 
Olanda nel quadro della cosiddetta missione Hermes 2011. 

Alla crociata internazionale anti-migranti non fa mancare il suo apporto la flotta NATO con 
quattordici unità da guerra, che presidia le coste nordafricane nel quadro dell´operazione 
Unified Protector. Al 27 settembre 2011, come riferisce il Comando supremo dell´Alleanza 
Atlantica di Bruxelles, "un totale di 2.844 navi sono state contattate per un controllo, 293 
abbordate e 11 dirottate dall´inizio delle operazioni di embargo sulle armi". Come dire che 
nulla sfugge ai mille occhi dei radar terrestri, aerei e navali e ai satelliti della NATO, eppure 
nel Mediterraneo si continua a morire, troppo spesso proprio a causa di ritardi e omissioni o 
per l´insufficienza dei soccorsi.   

È quanto accaduto ad esempio l´1 giugno 2011 nel tratto di mare tra la Tunisia e 
Lampedusa, quando un´imbarcazione con oltre 800 migranti è affondata per un guasto 
tecnico. Secondo la ricostruzione dei media tunisini, il barcone si sarebbe  capovolto 
quando molte persone, impaurite, hanno cercato di mettersi in salvo e raggiungere i 
gommoni della guardia costiera tunisina. Le unità, però, potettero soccorrere solo 577 
persone, tra cui 92 donne e 21 bambini, mentre altre 200-270 persone morirono annegate, 
senza che sia stato poi possibile il recupero dei loro corpi. Chissà perché, allora, i potenti 
sensori delle forze armate atlantiche non furono in grado d´intercettare e lanciare l´SOS in 
tempo per evitare una delle peggiori tragedie in mare degli ultimi anni.

Ma può anche succedere che per imperizia o cinica follia una nave da guerra giunga a 
speronare un battello carico di rifugiati causandone l´affondamento. Impossibile non 
ricordare quanto accaduto lo scorso 10 febbraio in acque internazionali, quando la 
motovedetta della Guardia costiera tunisina Liberté 302, secondo quanto denunciato da 
alcuni sopravvissuti all´agenzia France Press, avrebbe "deliberatamente speronato" 
un´imbarcazione con a bordo 120 migranti, causando cinque morti e ventidue dispersi. 
Sempre secondo il racconto dei sopravvissuti, l´imbarcazione era partita da El-Ogla, località 
turistica nei pressi di Zarzis, ed era diretta a Lampedusa. "Dopo lo speronamento,  il nostro 
battello fu avvicinato da un elicottero militare italiano che filmò quanto accadeva e da 
un´altra unità della Guardia costiera tunisina", aggiungono. Le forze armate italiane e 
tunisine hanno scelto però di secretare le dinamiche dell´"incidente", facendosi garanti 
dell´impunità dei responsabili e dell´oblio per le vittime.
Impunità e oblio che incarnano l´immane vergogna dei respingimenti in mare e delle 
deportazioni manu militari di chi è riuscito a scampare ai naufragi e toccar terra nel sud 
Italia. 

Per fortuna, però, si riesce talvolta a rompere il muro di silenzio, e rivelare le gravi 
violazioni dei diritti umani e delle convenzioni internazionali che caratterizzano l´odierna 
guerra ai migranti. 
Il 21 agosto, gli operatori dell´associazione Askausa di Lampedusa hanno documentato 
l´ingresso in porto di un´unità della Guardia di finanza con una trentina di immigrati a bordo. 
Invece di attraccare, la nave si accostò ad un imbarcazione della Guardia costiera, 
trasbordò sei persone che richiedevano cure mediche (tra cui un paraplegico e due donne 
poi condotti nel presidio ospedaliero di Lampedusa), fece manovra e riprese la direzione del 
mare. Si apprenderà poi dall´agenzia Ansa che gli altri migranti, scampati ad un naufragio a 
circa trentacinque miglia dall´isola, erano stati imbarcati sulla nave della Marina 
Comandante Borsini, e successivamente consegnati a una motovedetta tunisina. Un 
modello operativo ripetutamente sperimentato in passato dall´Italia con la Libia del 
colonnello Gheddafi.

Citando fonti anonime "che hanno partecipato alle operazioni di soccorso in mare" degli 
immigrati deportati dalla Marina militare in quell´occasione (104 in tutto), il 28 agosto 
l´agenzia di stampa Redattore Sociale ha pubblicato un´inchiesta sulle modalità con cui 
ormai vengono applicati i respingimenti collettivi da parte italiana. "Le unità navali avvistano 
le barche di migranti - chiamate "target" in gergo militare - che si dirigono a Lampedusa", 
scrive Redattore Sociale. "Avvistato il target, l´unità della Marina militare italiana avvisa il 
comando della Guardia di finanza che è preposta alla difesa delle frontiere e al controllo 
dell´immigrazione irregolare. A quel punto si coordinano tra loro per sorvegliare le 
imbarcazioni cariche di migranti, verificandone la rotta, la velocità e le condizioni di 
navigazione. Quando si ritiene che la barca sia partita dalla Tunisia, viene raggiunta dalle 
motovedette o dall´unità della Marina. I migranti vengono imbarcati sulla nave italiana e poi 
trasbordati di nuovo su una motovedetta tunisina". 
L´agenzia di stampa denuncia infine i modi sommari e superficiali con cui si procede 
all´identificazione in mare dei migranti. "L´elemento fondamentale è la rotta a ovest di 
Lampedusa, l´altro aspetto su cui si basa il respingimento sono i tratti somatici. Dalla 
carnagione dei migranti, i militari intuiscono a occhio se sono arabi, somali o subsahariani. 
Un´identificazione collettiva che non permette di valutare se sulla barca ci sono potenziali 
richiedenti asilo, visto che la domanda di protezione internazionale avviene su base 
individuale e riguarda la storia personale di chi fa richiesta...".

Respingimenti, devoluzioni e deportazioni sono il frutto dell´accordo sottoscritto il 5 aprile 
2011 dai governi d´Italia e Tunisia, a conclusione di un lungo e difficile negoziato tra le parti. 
Come ha dichiarato il ministro dell´Interno italiano, Roberto Maroni, "si tratta di un accordo 
tecnico sulla cooperazione tra i due Paesi contro l´immigrazione clandestina" e sul 
"rafforzamento della collaborazione tra forze di Polizia". 
Tra i punti più controversi la previsione del "rimpatrio diretto per i tunisini che sbarcheranno 
in Italia successivamente all´entrata in vigore del decreto sul permesso di soggiorno 
temporaneo", firmato il 6 aprile dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Nell´accordo 
non si fa accenno a tempi e modalità di svolgimento dei "rimpatri coatti", consentendo alle 
parti ampia discrezionalità. Unica concessione al diritto che il rimpatrio avvenga solo 
"successivamente all´accertamento della nazionalità del migrante", ma la vicenda del 
respingimento collettivo da Lampedusa a fine agosto, è emblematica dell´inaffidabilità delle 
identificazioni effettuate. 
L´accordo, infine, assicura un´illimitata libertà di azione alle unità militari italiane impegnate 
nel pattugliamento delle coste tunisine, mentre assegna alla Marina militare e alla Guardia 
costiera tunisina l´attività assai meno edificante e assai più pericolosa del blocco in mare e 
della riconduzione in patria delle imbarcazioni sequestrate.

In occasione della sua ultima visita a Lampedusa lo scorso 18 settembre, il ministro della 
Difesa, Ignazio La Russa, ha annunciato la firma di un "ulteriore accordo" tra i rispettivi 
ministeri dell´Interno che "consente nell´arco di una settimana, di rimpatriare coloro che non 
hanno diritto di rimanere". Due giorni dopo, il quotidiano Avvenire ha rivelato che questo 
nuovo accordo "prevede cento rimpatri al giorno, per cinque giorni alla settimana". 
Gli annunci del ministro hanno ulteriormente esasperato gli animi dei cittadini tunisini 
detenuti nel centro di contrada Imbricola a Lampedusa e, il pomeriggio del 20 settembre, la 
tensione è sfociata nell´incendio doloso di due capannoni utilizzati come alloggi e, qualche 
ora dopo, nelle violentissime cariche delle forze dell´ordine. 
"Il pericolo incombente che da tempo si sta segnalando a Lampedusa è che i tunisini che 
stanno all´interno del centro, in ripetute occasioni, hanno minacciato di incendiare il centro, 
come è già accaduto nel 2008", aveva "profeticamente" annunciato il sindaco Bernardino 
De Rubies, a conclusione dell´incontro con La Russa. 
Benzina su benzina, odio su odi, guerra che si sovrappone alla guerra. E l´"emergenza" 
migranti che diviene sempre più militare e militarizzata. 
Non è un caso così che dopo gli scontri di Lampedusa, sia stato attivato un ponte aereo tra 
l´isola e la base aereonavale siciliana di Sigonella per trasferire centinaia di immigrati 
tunisini con due velivoli C-130 "Hercules" della 46^ Brigata dell´Aeronautica militare (Pisa).

Altrettanto ambiguo il ruolo assunto dalla Direzione generale per la cooperazione allo 
sviluppo (DGCS) del ministero degli Affari esteri italiano. 
A seguito della richiesta tunisina di contribuire al rimpatrio dei cittadini stranieri giunti in 
Tunisia dopo essere fuggiti dal conflitto libico, i primi giorni di marzo la DGCS ha inviato 
nell´area di Ras Ejder un advanced team per collaborare "all´immediato rimpatrio delle 
popolazioni interessate, alla costituzione di un presidio di coordinamento internazionale per 
le operazioni e all´equipaggiamento dei campi di accoglienza". 
I rimpatri, coordinati dalla stessa Direzione per la cooperazione allo sviluppo, con il 
contributo di Protezione civile, ministeri della Difesa e dell´Interno e Croce Rossa Italiana, 
sono stati effettuati grazie ai C-130 "Hercules" dell´Aeronautica militare e a vettori Alitalia. 
Si è trattato in tutto di sei voli, tre verso l´Egitto, uno verso il Mali e due verso il Bangladesh 
per complessivi 863 cittadini di paesi terzi e di cui ovviamente è stato impossibile 
conoscere la disponibilità al "rimpatrio". 
La DGSC ha inoltre contribuito con 500 mila euro al Libya evacuation and stabilization 
project lanciato dall´Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per "facilitare il 
rimpatrio dei cittadini di paesi terzi fuggiti verso Egitto e Tunisia, assicurando, in particolare, 
le procedure di identificazione dei fuoriusciti".

Sempre con fondi della cooperazione allo sviluppo, l´Italia prevede di "concentrare la 
propria attenzione", come dichiara la Farnesina, "sullo sviluppo delle regioni costiere, dal 
punto di vista ambientale, turistico e della sicurezza marittima", attraverso "programmi già 
predisposti (creazione di una rete radar per il monitoraggio delle coste) o già approvati 
(programma per la protezione del Mediterraneo e programma per la diversificazione 
dell´offerta turistica)". "È allo studio, inoltre, un programma di creazione di una rete radar 
contro l´inquinamento marino da 35 milioni di euro a credito d´aiuto (anch´esso con un tasso 
di concessionalità che lo rende equiparabile a un dono)". Nell´ambito dello stesso "piano", 
l´Italia prevede infine la fornitura alle forze di polizia tunisine di sei motovedette, quattro 
pattugliatori e un centinaio di fuoristrada, per un valore complessivo di 100 milioni di euro, a 
cui dovrebbe aggiungersi successivamente un altro sistema di rilevamento radar.

Quello della primavera 2011 non è purtroppo il primo patto anti-migranti sottoscritto da Italia 
e Tunisia. 
Nel 1998, l´allora governo Prodi firmò un "accordo per contrastare l´immigrazione 
clandestina", stanziando a favore del governo tunisino 150 miliardi di lire in tre anni sotto 
forma di "crediti all´industria". 
Nello stesso anno il Parlamento italiano ratificò la "Convenzione di cooperazione nel campo 
militare tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica Tunisina" 
che consentì l´implementazione di programmi bilaterali nel campo della sorveglianza 
marittima, del trasferimento di sistemi d´arma e tecnologie militari, delle esercitazioni 
aeronavali. 
Nel 2009 il governo Berlusconi concesse a Ben Ali un "aiuto" di 50 milioni di euro, 
condizionato all´applicazione di "una più efficace politica di identificazione" da parte 
tunisina. Il 27 gennaio 2009, in particolare, con la visita a Tunisi del ministro Roberto Maroni 
e del capo della polizia italiana Antonio Manganelli, venne definito con le autorità tunisine 
un piano d´interventi per la "semplificazione e accelerazione delle procedure necessarie 
all´identificazione degli immigrati tunisini presenti nei Centri di identificazione ed espulsione 
italiani e il rimpatrio graduale e costante, entro il termine massimo di due mesi, di coloro 
che sono già stati identificati e si trovano nelle strutture di Lampedusa".

Il comunicato finale della Commissione militare mista italo-tunisina, riunitasi a Roma dal 14 
al 16 ottobre 2008 e copresieduta dai ministri della Difesa, Ignazio La Russa e Kamel 
Morjane, indicava le priorità di "combattere emigrazione ed immigrazione clandestina" e 
"perseverare nella lotta al terrorismo ed ai gruppi terroristici". 
Oltre alla previsione di nuovi accordi collaborativi tra le rispettive accademie navali ed 
aeronautiche, l´Italia s´impegnava a ripristinare l´efficienza dei fari di Capo Bon e delle isole 
dei Cani e di Kuriat, di fronte a Monastir, a continuare a fornire sistemi, materiali e mezzi 
militari "in surplus" e "pezzi di ricambio per camion per un valore commerciale di 200.000 
euro" e a "potenziare lo scambio dati in materia di controllo del traffico marittimo attraverso 
il programma della Marina italiana Virtual Regional Maritime Traffic Control (VRMTC)", 
utilizzato particolarmente in funzione anti-immigrati.

Il consolidamento della partnership militare con la Tunisia ha permesso grandi affari al 
complesso militare industriale italiano, depauperando però le casse statali tunisine d´ingenti 
risorse finanziarie che potevano altrimenti essere destinate a ridurre i gap nell´offerta 
educativa, formativa, sanitaria e assistenziale, rafforzando le politiche di welfare. 
Sono di produzione italiana buona parte dei cacciaintercettori e degli elicotteri da guerra 
oggi a disposizione dell´aeronautica militare tunisina. Nello specifico sono stati acquistati 
una ventina di aerei Aermacchi MB-326, venticinque SIAI Marchetti nelle versioni F260 ed 
S208, ventisei elicotteri Agusta Bell (versione AB-205, 212 e 412) e cinque grandi aerei da 
trasporto Aeritalia G.222. Si tratta di velivoli già utilizzati e che potranno ancora essere 
efficacemente utilizzati nelle guerre "a bassa intensità" contro le migrazioni mediterranee.

Rilevanti ai fini della formazione delle forze armate tunisine nella vigilanza e nel blocco dei 
flussi migratori sono state le numerose esercitazioni realizzate nel quadro della cosiddetta 
Iniziativa 5+5 Difesa per la cooperazione, la sicurezza e la stabilità nel Mediterraneo 
(avviata nel 2004 dalle forze armate di Algeria, Francia, Italia, Libia, Malta, Mauritania, 
Marocco, Portogallo, Spagna e Tunisia) e del "Dialogo Mediterraneo", il programma di 
cooperazione fra le marine NATO e quelle di Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, 
Marocco e Tunisia. 
Determinante infine il sostegno fornito dai reparti militari d´eccellenza degli Stati Uniti 
d´America e dal comando USAFRICOM, attivato a Stoccarda (Germania) per pianificare ed 
eseguire nuovi interventi armati USA nel continente africano.

Qualche mese fa l´amministrazione Obama ha approvato un piano a favore delle forze 
armate tunisine "per sostenere l´odierno cambiamento democratico" e che prevede la 
vendita di armamenti e mezzi militari per un valore di venti milioni di dollari. Il Dipartimento 
della difesa ha spiegato che l´aiuto statunitense è finalizzato "a potenziare la marina militare 
tunisina, principalmente nelle sue capacità di pattugliamento delle acque territoriali". "Gli 
aiuti", aggiunge il Pentagono, "consentiranno al governo di Tunisi di acquistare pattugliatori 
USA in surplus per intercettare imbarcazioni sospette di al-Qaeda e di migranti illegali in 
rotta tra il nord Africa e l´Europa". 
Washington ha inoltre offerto la propria disponibilità a modernizzare i radar e gli elicotteri di 
produzione statunitense, in dotazione all´esercito e all´aeronautica militare tunisina e, inoltre, 
a fornire "addestramenti addizionali" e "velivoli da trasporto tattico terrestre".

Nel periodo compreso tra il 1987 e il 2009, gli "aiuti" militari USA alla Tunisia hanno 
raggiunto complessivamente i 349 milioni di dollari. Ad essi vanno aggiunti i 282 milioni in 
pezzi di ricambio, motori, supporto tecnico e logistico e formazione, richiesti lo scorso anno 
dalla Defense Security Cooperation Agency nell´ambito del programma Foreign Military 
Sale per ammodernare i dodici elicotteri multimissione SH-60F delle forze armate tunisine. 
"Questa proposta di vendita contribuirà alla politica di sicurezza degli Stati Uniti e alla 
crescita nel campo della difesa di un paese amico che è stato e continua ad essere 
un´importante forza per il progresso economico e militare in nord Africa", dichiarava il 
Dipartimento della difesa alla vigilia dello scoppio delle rivolte popolari contro Ben Ali. 
"Questo programma consentirà la modernizzazione dell´aeronautica militare tunisina, 
migliorerà le sue capacità operative di ricerca e riscatto in alto mare e l´interoperabilità con i 
mezzi delle forze armate USA e di altri partner della regione, svilupperà le capacità della 
Tunisia a effettuare missioni umanitarie, combattere gli incendi e mantenere l´integrità delle 
sue frontiere". Elicotteri polivalenti, dunque, da impiegare per interventi militari, la 
protezione civile e, ancora una volta, per il contenimento delle migrazioni.

Nell´agosto 2010, infine, la holding statunitense Lockheed Martin ha comunicato la stipula di 
un contratto con la Tunisia per la fornitura di due grandi aerei da trasporto C-130J "Super 
Hercules", la cui consegna è prevista nel 2013 e nel 2014. Negli hangar militari tunisini sono 
stipati già quattordici C-130 nelle versioni B, E ed H, ma la nuova versione raggiunge 
velocità ed autonomia d´azione superiori e consente il trasporto di carichi più pesanti. 
I C-130J vengono utilizzati normalmente per rifornire truppe ed equipaggiamenti via terra o 
con aviolanci, per il rifornimento in volo e il trasporto di aiuti umanitari. 
Lo scorso mese di marzo l´US Air Force li ha pure utilizzati, insieme ai KC-130 del Corpo 
dei marines, per il ponte aereo Djerba-Il Cairo che ha trasferito 640 cittadini egiziani 
rifugiatisi in Tunisia dalla Libia. L´operazione, coordinata dal Comando USAFRICOM, ha 
preso il via dalla base aerea tedesca di Ramstein. Dopo aver caricato generi alimentari, 
tende e contenitori d´acqua potabile stoccati nei depositi della base US Army di Camp 
Darby (Pisa), i velivoli cargo hanno effettuato una sosta tecnica negli scali aerei di Souda 
Bay a Creta e Sigonella, in Sicilia. Da lì hanno poi preso il volo verso Djierba. 
Chissà se, all´occorrenza, i velivoli acquistati dai militari tunisini non verranno utilizzati per 
deportare nell´Africa sub-sahariana ed orientale i rifugiati espulsi dai centri-lager di mezza 
Europa...


Relazione presentata in occasione dell´incontro internazionale 
"Ripensare le migrazioni: per una libera circolazione nello spazio euro-mediterraneo", 
tenutosi a Tunisi il 30 settembre e l´1 ottobre 2011.

http://www.dazebaonews.it/dazebao-news/inchiesta/item/5962-immigrazione-la-partnership-
italia-tunisia-contro-i-migranti



.  
---  from : jure ellero <glry at ngi.it> 
----------------------------------------------
per comunicazioni: <glry at ngi.it> 
NOTIZIE LIBIA: http://news.stcom.net 
Redazione "L'Unità dei Comunisti F.V.G.": 
<redazione.cufvg at yahoo.it> 
Indirizzo Comunisti Uniti Friuli-V.G.: 
<comunistiunitifvg at yahoo.it> 
Sito nazionale Comunisti Uniti: 
http://www.comunistiuniti.it 
----------------------------------------------