Guerra, ambiente e armi non letali



Da una discussione nel Parlamento europeo: tutta questa pappardella su catastrofi ambientali, ondate di profughi (sic!), criminalità ecc. mirava ad un unico scopo.
L'obiettivo è stato centrato e riguarda anche le nostre manifestazioni.

4. Ambiente, sicurezza e affari esteri

Theorin (PSE), relatore. – (SV) Signor Presidente, lo stato della politica di sicurezza ha subito profonde trasformazioni. La guerra fredda è finita e, in Europa, un evento bellico di grandi proporzioni pare del tutto improbabile. I conflitti davanti ai nostri occhi sono conflitti di carattere interno, causati da contrapposizioni etniche, religiose o sociali. Al contempo si stagliano all'orizzonte nuove minacce, quali ad esempio le ondate di profughi, il terrorismo, la criminalità internazionale e, non da ultimo, le minacce ecologiche e le catastrofi naturali. Ma non si tratta di conflitti che possano essere contrastati con la forza delle armi.

Una lunga serie di catastrofi ecologiche ha posto l'umanità davanti a problemi inediti: è il caso delle ricorrenti inondazioni in Europa, della rottura di una diga in Spagna o, ancor più recentemente, degli estesi fenomeni di erosione in America centrale. È evidente che non sono state mobilitate risorse sufficienti per scoprire o per sventare simili minacce di catastrofe. Poiché i disastri ecologici non conoscono confini, è indispensabile che le nazioni cooperino. Si assiste ad una crescente consapevolezza internazionale nei confronti della gravità del dissesto ambientale. Lo dimostrano le varie conferenze delle Nazioni Unite sull'acqua, sulla desertificazione, sui rapporti fra ambiente e sviluppo, nonché sul cambiamento climatico. Le emergenze ambientali possono tradursi in problemi talmente gravi da mettere a repentaglio la sicurezza di popolazioni e Stati.

L'acqua dolce costituisce una risorsa distribuita in modo altamente sperequato. Meno di dieci paesi si spartiscono il 60 percento del totale delle risorse di acqua dolce dell'intero pianeta e, in Europa, numerosi Stati dipendono da importazioni idriche. Nei conflitti futuri, l'attacco sferrato contro le fonti di acqua dolce rischia di rappresentare non tanto un obiettivo in sé, quanto piuttosto una causa di conflitto. Si calcola che 300 fiumi, laghi e falde freatiche si trovino in aree di frontiera fra Stati diversi. Nel Medio oriente, nove paesi su quattordici soffrono di carenze idriche. Su scala locale e regionale, problemi ecologici come la limitatezza delle risorse idriche o il massiccio afflusso di profughi dovuto a fenomeni ambientali rischiano di avere gravi conseguenze per le relazioni internazionali. Il totale di profughi per cause ambientali è stimato oggi a 25 milioni, rispetto ai 22 milioni di profughi «tradizionali». Si calcola che, nel 2010, i profughi per cause ambientali saranno il doppio rispetto a oggi.

Queste nuove cause di conflitti devono trovare riscontro nella politica estera di sicurezza e di difesa e nel modo in cui le nazioni scelgono di assicurare e di tutelare la pace e la stabilità. Per far fronte a tali sfide ambientali occorre mobilitare risorse adeguate. Gli interventi necessari sono di notevole portata, ma le risorse a disposizione sono molto limitate. Al contempo, il mutato quadro della politica di sicurezza ha condotto a una situazione di distensione e di disarmo. Con le risorse militari così liberate, gli eserciti possono rivelarsi preziosissimi, per capacità e per dotazioni, nel combattere le crescenti minacce ambientali. I militari vantano un'organizzazione ben strutturata e notevoli risorse tecniche che, senza grande spesa, possono essere mobilitate a fini di tutela ambientale.

Per prevenire le emergenze ambientali sono necessarie infrastrutture, organizzazione e risorse adeguate. Ve ne sono certamente in ambito militare, in diverso grado da paese a paese, ma comunque composte da personale qualificato, tecnici, sofisticati equipaggiamenti d'alta tecnologia, capacità organizzative, ricerca e sviluppo in campo militare. Il personale militare, insomma, è ben equipaggiato per intervenire in situazioni di catastrofe ed è addestrato per eseguire incarichi in condizioni estreme.

Tuttavia, l'attività militare è responsabile anche di una notevole parte del dissesto ambientale. Del resto l'inquinamento dell'ambiente ha sempre costituito, sin dall'antichità, un collaudato metodo bellico. La guerra in sé rappresenta la principale minaccia a carico dell'ambiente. Le forze armate sono inoltre responsabili dell'emissione di svariati gas che influiscono sul clima, o delle emissioni da combustibili fossili, e del rilascio di freon, ossidi di azoto e ossidi di zolfo. Le armi nucleari, le armi chimiche e le mine terrestri esemplificano alcune fra le più ovvie tipologie di armamenti dal pesante impatto sull'ambiente anche in epoche di pace.

In occasione di un'audizione pubblica, la nostra commissione parlamentare è stata informata circa la messa a punto delle cosiddette armi non letali e circa HAARP, un programma di ricerca sulle cosiddette radiazioni ad alta frequenza. Deploro sinceramente che gli Stati Uniti non abbiano inviato alcun rappresentante a quell'audizione, e che non abbiano colto l'occasione di formulare qualche commento sul materiale presentato in quella sede.

Abbiamo organizzato audizioni pubbliche per gettar luce sui complessi aspetti tecnici e giuridici delle cosiddette armi non letali e di HAARP, con una presentazione degli aspetti economici e pratici derivanti da un piano per la formazione di corpi militari preposti alla tutela ambientale. La mia proposta iniziale è stata trattata nel quadro della procedura Hughes e la commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori ha vigilato efficacemente sugli aspetti ambientali. È contro questo dettagliato sfondo che presento oggi questa risoluzione sull'ambiente, la sicurezza e la politica estera, accompagnandola con una serie di proposte di provvedimenti tanto a livello di Unione, quanto a livello nazionale. La risoluzione suggerisce a ogni Stato membro di adoperarsi per l'uso delle proprie risorse militari a fini di salvaguardia ambientale, inter alia con la formazione di corpi di difesa dell'ambiente allo scopo di istituire una comune brigata ambientale europea, e lo esorta a compiere un inventario delle proprie esigenze sul versante ambientale e delle proprie risorse in campo militare, per poi impiegare tali risorse in piani ambientali nazionali ma anche per metterle a disposizione delle Nazioni Unite e dell'Unione europea in caso di disastro ecologico, nonché nel quadro del partenariato per la pace. Le proposte avanzate prevedono che i militari debbano operare nel rispetto delle normative ambientali ora in vigore e intervenire per porre rimedio al dissesto ambientale già verificatosi.

La legislazione ambientale della società civile dovrebbe essere applicata a qualunque tipo di attività militare. Noi proponiamo che la Commissione, in ossequio a quanto disposto dal Trattato di Amsterdam, presenti al Parlamento e al Consiglio una strategia comune atta a conciliare la politica estera e di sicurezza comune con la politica dell'Unione in materia di commercio, aiuti, sviluppo e questioni ambientali internazionali. La risoluzione chiarisce che gli interventi di prevenzione in materia ambientale rappresentano un importante strumento di politica della sicurezza ed esorta pertanto gli Stati membri a definire obiettivi ambientali e sanitari nei propri piani a lungo termine in materia di difesa e di sicurezza.

La risoluzione affronta inoltre il problema dello stoccaggio e dello scarico incontrollato, insicuro e inappropriato di sottomarini nucleari e imbarcazioni di superficie, con i loro combustibili radioattivi e reattori nucleari incrinati. Nella risoluzione, noi esigiamo ugualmente che la Commissione proceda a uno studio approfondito sulle minacce ambientali che, in Europa, pesano sulla politica di sicurezza, e che metta a punto un Libro verde sull'impatto ambientale delle attività delle forze armate. La relazione affronta anche gli aspetti giuridici connessi alle attività militari. La relazione esorta l'Unione europea ad adoperarsi affinché la nuova tecnologia delle cosiddette armi non letali venga contemplata e regolamentata da convenzioni internazionali.

Finché esisteranno le armi nucleari, esisterà anche il rischio che esse vengano impiegate per errore. Questo rischio potrebbe calare notevolmente già nell'immediato, se le potenze nucleari dessero rapida attuazione alle sei fasi previste dalla Commissione di Canberra.

Mi sia consentito di concludere ricordando che, ogni giorno, noi riceviamo notizie di catastrofi ambientali che potrebbero essere evitate con un opportuno utilizzo delle risorse disponibili. Risorse che, in ambito militare, non mancano. Non occorre sottrarle agli eserciti, ma semplicemente chiedere loro di utilizzarle. Ciò che ancora manca è soltanto la volontà politica.