"Dopo vent'anni nuove atomiche,per il Pentagono"



La corsa al riarmo
PAOLO MASTROLILLI
NEW YORK
La scelta del modello è fatta: ora gli Stati Uniti possono avviare il processo per tornare a costruire nuove testate atomiche, per la prima volta in circa vent’anni. Secondo il governo si tratta solo di un’iniziativa di sicurezza, che consentirà di ammodernare l’arsenale senza fare test. Secondo l’opposizione, è una mossa pericolosa, che rischia di rilanciare la corsa al riarmo proprio mentre Washington cerca di fermare i programmi nucleari di Iran e Corea del Nord.

Da diverso tempo gli Stati Uniti ragionavano sul futuro del loro arsenale. Al momento, secondo le stime più accreditate, hanno circa 6.000 testate schierate, e 4.000 nella riserva. In base agli impegni per il disarmo presi con Mosca, entro il 2012 dovrebbero ridurre il totale fra 1.700 e 2.200 ordigni. Molte di queste testate, però, sono vecchie, e la loro affidabilità è in discussione: per alcuni specialisti potrebbero durare altri cent’anni, soprattutto quelle costruite col plutonio, ma per altri stanno diventando pericolose.

Nel 2001 la Nuclear Posture Review redatta dall’amministrazione Bush chiedeva di sviluppare una nuova generazione di armi atomiche, come le controverse testate «bunker buster» per penetrare le strutture sotterranee più protette. Il Congresso però aveva negato i fondi, indirizzando piuttosto la ricerca verso l’ammodernamento delle testate esistenti. In seguito a questa scelta era stato lanciato il programma Reliable Replacement Warhead, che ha proprio lo scopo di rimpiazzare i vecchi ordigni con bombe più affidabili.

Uno dei primi studi di fattibilità ha riguardato la sostituzione delle testate W-76, montate sui missili intercontinentali Trident nei sottomarini. I principali laboratori nazionali, Livermore della California e Los Alamos del New Mexico, si sono messi al lavoro, producendo due progetti in concorrenza. Il primo copiava una bomba già testata nel deserto del Nevada all’inizio degli anni ‘80, mentre il secondo sviluppava un concetto completamente nuovo. A gennaio sembrava che il Pentagono avesse optato per la soluzione salomonica di combinare i due designi, in modo da garantire lavoro ad entrambi i laboratori. Venerdì, però, la National Nuclear Security Administration (NNSA) ha annunciato di aver scelto il progetto di Livermore. Il motivo sta nella maggiore affidabilità e digeribilità della proposta. La testata californiana, infatti, si basa su una tecnologia già collaudata. Quindi la nuova bomba non dovrebbe richiedere test sotterranei, che violerebbero la moratoria internazionale sulle esplosioni atomiche. Questo potrebbe rendere più accettabile il progetto non solo all’opinione pubblica, ma anche alle altre potenze nucleari rivali come Russia e Cina. Adesso comincerà una fase di studio che costerà 119 milioni di dollari per un anno, sotto la supervisione della US Navy, e se tutto procederà bene la nuova testata sarà pronta nel 2012. Thomas D’Agostino, amministratore della NNSA, ha assicurato che gli Stati Uniti non vogliono scatenare un’altra corsa al riarmo. Le nuove bombe serviranno solo a sostituire le vecchie, garantendo più sicurezza, perché adotteranno un particolare sistema che impedirà di utilizzarle se qualche terrorista dovesse rubarle. Per il resto, l’impegno a scendere sotto le 2.100 testate entro il 2012 rimane.

Non tutti, però, si sono lasciati convincere dal ragionamento del governo. La senatrice della California Diane Feinstein, una delle contestatrici più deteminate del progetto, lo ha bocciato così: «La mia preoccupazione è questa: nel momento in cui cominci ad aggiungere testate più sofisticate all’arsenale esistente, in sostanza stai creando nuove armi nucleari. A quel punto diventerà solo una questione di tempo, prima che le altre nazioni cominceranno a fare altrettanto». Secondo la Feinstein, in sostanza, il programma Reliable Replacement Warhead fomenta la corsa al riarmo, perché incoraggia paesi come la Russia e la Cina a potenziare i loro arsenali. Nello stesse tempo indebolisce la logica della non proliferazione, perché per Washington diventerà più difficile convincere avversari come l’Iran che possono e devono fare a meno delle bombe atomiche, proprio mentre il Pentagono aggiorna le proprie.
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