Verso l’«incidente» nel Golfo Persico ?



                                                                                   
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Verso l’«incidente» nel Golfo Persico 
 ratto dal sito http://www.effedieffe.com/
   Maurizio Blondet
02/03/2007
 
 
La Nimitz attualmente nel golfo

James Webb è stato segretario alla US Navy ai tempi di Reagan.
«Quando ero segretario della Marina io, e fino a tempi molto recenti», 
ha detto, «non abbiamo mai mandato delle portaerei nel Golfo Persico 
perché, primo, il raggio di svolta è molto stretto, e secondo, è alto 
il rischio di andare in collisione accidentale contro qualcosa che può 
provocare un problema diplomatico».
Una portaerei infatti fa fatica a cambiare rotta di 180 gradi nel 
Golfo (le occorrono almeno una dozzina di miglia di mare aperto), 
specie nello stretto di Ormuz, un braccio di mare che è largo come un 
fiume; e da cui passano praticamente tutte le petroliere del mondo.
Bush, di portaerei, ne ha mandato due - la «Stennitz» e la 
«Eisenhower» - con le loro relative squadre d’assalto, di supporto e di 
protezione; una terza, la «Nimitz» con propulsione atomica, è attesa a 
giorni, secondo il giornale Gulf News del 21 febbraio.
Ad occhio e croce, almeno un centinaio di navi da guerra americane (e 
inglesi) affollano il braccio di mare più stretto e congestionato del 
pianeta.
Tutto è pronto per creare «l’incidente» necessario alla Casa Bianca, 
con le navi americane praticamente immobili a portata di missili 
iraniani - veri o presunti.
Il vice-ammiraglio Patrick Walsh, che sta per lasciare il comando 
navale del Central Command (CENTCOM) ha ventilato che gli iraniani 
possano posare mine per bloccare lo Stretto.
E le mine, ha detto Walsh, sono «armi offensive di tipo terroristico».
Nuovissima dottrina.
Le mine marine sono per definizione «difensive».
Ma è ovvio che essendo l’Iran lo Stato terrorista per eccellenza, 
tutti i suoi mezzi di difesa sono illegali e terroristici.
Come diceva Fedro: «Superior stabat lupus, inferior agnus…».
Del resto è dal 2003 che gli USA hanno approntato il piano di 
battaglia contro l’Iran, in codice  TIRANNT (Teather Iran Near Term) il 
cui scopo ufficiale è «proteggere gli interessi vitali degli Stati 
Uniti nella regione, ossia il sicuro e ininterrotto accesso degli USA e 
alleati al petrolio del Golfo».
E come ha scritto il Washington Post del 23 aprile 2006, citando 
«ufficiali al corrente del piano», «un attacco terroristico può creare 
la giustificazione e insieme l’opportunità ora mancante [sic] per 
ritorsioni contro bersagli noti».
E’ pronta la lista dei bersagli: siti industriali, infrastrutture 
civili come strade, ponti e acquedotti, edifici governativi oltre alle 
installazioni nucleari.
Almeno 10 mila bersagli, a quanto dice il Gulf News.
L’uso di armi nucleari come bunker-buster («tattiche») non è escluso.

La vera speranza viene dalla rivolta che cova nel Pentagono.
Fonti britanniche hanno detto al Sunday Times che «cinque o sei 
generali ed ammiragli darebbero le dimissioni se Bush ordinasse l’
attacco all’Iran», alcuni perché non credono che un simile attacco sia 
«efficace o anche possibile», altri per «problemi di coscienza».
Lo stesso Robert Gates, il ministro che ha sostituito Rumsfeld al 
Pentagono, ha più volte messo in guardia contro l’attacco all’Iran, e 
chiarito che questa è la posizione dei comandi supremi USA.
Si aggiunga che il generale Peter Pace, nuovo «chairman of the joint 
chief of staff», il 14 febbraio scorso ha sbugiardato le notizie di 
presunta «intelligence» secondo cui le armi e i proiettili usati dai 
«terroristi» in Iraq siano di fabbricazione iraniana.
Siccome questa «intelligence» viene o è ispirata dalla Casa Bianca (lo 
stesso tipo di intelligence sulle armi di distruzione di massa di 
Saddam), la posizione del generale è stata letta come una aperta sfida 
a Bush.
Secondo Hillary Mann, che è stata fino al 2004 la massima esperta di 
Iran nel Consiglio di Sicurezza Nazionale, l’uscita di Pace («Un 
soldato molto serio e leale») è segno di «un grave scontento ai vertici 
della gerarchia militare».
Il generale Pace stesso sarebbe uno di quelli pronti a dimettersi se 
Bush ordinasse l’attacco «in coordinazione con il primo ministro 
israeliano Ehud Olmert», secondo Robert Parry di ConsortiumNews, che 
anche lui cita le proprie «fonti nelle gerarchie».
In un rapporto riservato, Pace avrebbe fatto presente che l’impegno 
contro l’Iran  ridurrebbe in modo drammatico la capacità USA di 
fronteggiare un’altra minaccia.
Ben tre portaerei impegnate ridurrebbero infatti la presenza americana 
nel Pacifico con i loro tipici mezzi di egemonia.
Tale la situazione.
Che induce Dedefensa a ventilare una interessante ipotesi: il nuovo 
ministro Gates, che è un uomo del gruppo realista  Baker-Hamilton 
«impiantato» nell’amministrazione, ha indotto Bush a promuovere 
generali e ammiragli che si rivelano tutt’altro che docili alla Casa 
Bianca; al contrario di Rumsfeld, egli sostiene i suoi generali nella 
rivolta.

Uno di questi generali, esaltati come fedelissimi, espertissimi e 
perciò messo da Bush al comando delle operazioni in Iraq, è David 
Petraeus: e il generale ha appena dichiarato che l’America ha sei mesi 
di tempo in Iraq per cogliere una qualche vittoria, «se no ci troveremo 
davanti a un collasso nel sostegno pubblico e politico tipo Vietnam, e 
che può obbligare le forze armate ad una ritirata precipitosa».
Quanto al viceministro Gordon England, uomo di Gates, ha scritto un 
memorandum in cui si legge: «Per assicurare ai combattenti e ai 
contribuenti il massimo beneficio dalle attuali iniziative [ossia dalla 
guerra in Iraq, Afghanistan] sarebbe altamente auspicabile completare i 
progetti in corso entro l’estate-autunno del 2008».
Insomma, finiamola lì con la «guerra al terrorismo globale» appena 
dopo la fine del mandato di Bush, o anche prima.
Forse per questo la Casa Bianca si è detta disposta, d’improvviso, a 
intavolare trattative con Siria e Iran per stabilizzare la situazione 
in Iraq; una avance subito corretta dal portavoce Tony Snow: «Nessun 
dialogo bilaterale con Siria e Iran».
Snow ha inoltre ripetuto l’accusa (smentita da Pace) che gli iraniani 
forniscono armi ai terroristi (leggi: guerriglieri) iracheni.
La voglia  di incenerire l’Iran resta; ma potenti forze stanno 
opponendo resistenza.

Maurizio Blondet


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