L'oro nero della guerra in Iraq



Analisi Lo studio di due economisti sul rapporto tra prezzo del petrolio e conflitti militari. I profitti scendono, ma quando iniziano a parlare le armi salgono nuovamente
Enzo Modugno da il Manifesto 21.1.07 p. 13
Ancora due argomenti a sostegno della tesi che la guerra sia sempre «un buon investimento», come ha affermato di recente il segretario di stato Usa Condoleeza Rice. Il primo viene da Wall Street, i cui analisti prevedono per il 2007 un buon anadamento dei profitti (un 20 per cento in più rispetto lo scorso anno) per il settore militare industriale. Un aumento sostenuto da una ulteriore impennata delle spese militari e dall'esportazione di missili ed aerei nei paesi arabi ed asiatici. Registato il rapporto di Wall Strett, Il Mondo (26 gennaio) ha prontamente invitato i nostri investitori ad approfittarne. Ma si può ora documentare un secondo argomento. Questa volta viene da uno studio in cui si analizza la stretta relazione tra le guerre in Medio Oriente e il prezzo del petrolio. Che ci fosse un qualche rapporto tra armi e greggio lo aveva ribadito la guerra in Iraq. Uno dei suoi effetti è stata la «sparizione» del petrolio iracheno al mercato, sparizione che ne ha fatto triplicare il prezzo del greggio. Ma ora due economisti - Jonathan Nitzan, insegnante universitario in Israele e Shimshon Bichler, che insegna alla York University di Toronto - in uno studio apparso su Global Research (e tradotto da www.resistenze.org), considerano nell'arco di trent'anni i profitti delle più importanti compagnie petrolifere, Bp-Amoco, Chevron, Exxon-Mobil, Royal-Dutch, Texaco. E dimostrano che i conflitti direttamente o indirettamente legati al petrolio, hanno avuto queste costanti caratteristiche: ogni conflitto per l'energia è preceduto da un declino dei profitti delle compagnie petrolifere; ogni conflitto per l'energia viene seguito da un periodo nel quale questi profitti vanno oltre la media; e con la sola eccezione del 1996-97, mai le compagnie petrolifere riescono a superare la media senza che prima avvenga un conflitto per l'energia.
Il problema è che adesso il prezzo del barile sta scendendo.
Per questo le recenti dichiarazioni del vicepresidente Usa Dick Cheney e dello stesso presidente Bush sul pericolo iraniano, potrebbero essere qualcosa di più che un semplice avvertimento. Il 19 febbraio, nelle sue consuete analisi, il Financial Times ha infatti sottolineato che ci sono molti segnali che che sta per succedere qualcosa di molto grosso, arrivando a prevedere qualche tipo di conflitto o scontro militare con l'Iran, condotto dagli Usa direttamente o tramite altri.
Ancora un'occasione per gli investitori, nel settore energetico.
«La ragione pensante (intelletto) acuisce l’ottusa differenza del diverso, la mera molteplicità delle rappresentazioni, sino a farne la differenza essenziale, l’opposizione. Soltanto i molteplici, elevati sino al vertice della contraddizione, divengono mobili e viventi l’uno rispetto all’altro: acquisiscono quella negatività che è l’immanente pulsare dell’automovimento e della vitalità. La “tenerezza” per la natura e la storia è, nei filistei, l’aspirazione a depurarle delle contraddizioni e della lotta.
[Vladimir Ilic Lenin, Quaderni filosofici]