vittoria dele vittime militari da uranio impoverito



dal  il  giornale di sardegna  del 27\4\2005



L' AVVOCAT URA DELLO STATO ha riconosciuto
la fondatezza della richiesta
avanzata dal marescialloMarcoDiana
didannobiologico per
l’esposizione all’uranio impoverito per
un risarcimento di 900 mila euro».


Lo
ha rivelato ieri Falco Accame, presidente
dell’Associazione familiari vittime
arruolate nelle forze armate (Anavafaf).
«Qualcuno - ha commentato
Accame - si accorge finalmente dopo 5
anni di lotte della pericolosità dei danni
provocati dall’uranio impoverito a
personale militare e civile in Italia, specie
nei poligoni della Sardegna ed all’estero
». Il danno biologico, ha concluso,
«deve ora essere esteso al più presto a
tutti i militari e civili danneggiati, incluse
le famiglie di chi ha avuto bambini
nati deformi». Oltre alla richiesta del
maresciallo Diana è stata accolta anche
quella della famiglia di Stefano Melone,
ex maresciallo dell’aeronautica
morto per un tumore probabilmente
dovuto all’uranio impoverito.
La battaglia con lo Stato
La vicenda del maresciallo di Villamassargia,
esperto missilistico che
nel poligono di Capo Teulada ha partecipato
a diversi "giochi di guerra",
ha suscitato molte discussioni.Congedato
dopo aver contratto una grave
e rara forma di tumore dopo aver
partecipato a una missione in Somalia,
Diana combatte da anni per cercare
di curarsi, ovvero di trovare una
soluzione alla malattia che sarebbe
stata provocata dall'uranio impoverito.
Alla fine dell'anno scorso è stata
istituita in Senato una Commissione
d'inchiesta sull'uranio impoverito
che dovrà occuparsi anche del suo
caso, che nei mesi scorsi è approdato
anche in Consiglio regionale. « Bisogna
che i fatti vengano chiariti scientificamente
e che la soluzione finale
sia finalmente obiettiva», aveva detto
Diana, denunciando con forza come
il “caso uranio” sia solo una goccia in
un oceano di altre sostanze nocive alle
quali altri militari in servizio sarebbero
stati colpiti. «Non cerco colpevoli
perché l'esercito non mi ha mai
tradito - aveva aggiunto Diana -ma è
necessario che i militari caduti in disgrazia
e i loro familiari siano indennizzati
correttamente per danni biologici
legati al servizio, anche con una
degna pensione che possa garantire
le cure necessarie».
La vedova di Stefano Melone
«Vuol dire che la giustizia prevale», ha
commentato Paola Melone, vedova
di Stefano, dopo il riconoscimento
della fondatezza della richiesta di risarcimento
dei danni. Anche a Stefano
Melone - originario di Caserta e
residente a Canale di Orvieto - è stata
infatti riconosciuta la fondatezza
della richiesta per il riconoscimento
del danno biologico per l’esposizione
all’uranio impoverito, con un risarcimento
per gli eredi di 510 mila
euro. «Non c' è somma che possa pagare
la vita di una persona - ha detto
Paola Melone - e tutti i calvari che si
fanno intorno a queste malattie, però
una soddisfazione c' è, perchè vuol
dire che la giustizia prevale». «Ho conosciuto
Marco Diana e sono contenta
», ha aggiunto spiegando di aver
rischiato grosso dal punto di vista
economico e, soprattutto, di essere
stata lasciata sola dallo Stato. «Due
giorni prima di morire Stefano mi
aveva chiesto di portare avanti la battaglia
legale per il riconoscimento del
danno biologico, per lui e per gli altri
ragazzi militari ammalati. Io l’ho fatto,
ma ho rischiato grosso perchè se
avessi perso in giudizio, avrei dovuto
pagare somme ingenti». La vedova
ha fatto tuttavia sapere che il giudizio
non è ancora definitivo, ma che si è
aperto un precedente importante.
«Ma ancora non posso gioire per me e
per tutti gli altri ragazzi militari che si
trovano in situazioni analoghe».



Cicu: sono felice ma in quelle zone non c'è pericolo

Il sottosegretario alla Difesa: la causa del male non è nei territori dove ha combattuto                                                                 «Sono felice per il arescialloMarco Diana»: questa la prima
reazione del sottosegretario alla
difesa Salvatore Cicu alla notizia
del riconoscimento da parte dell'Avvocatura
dello Stato, del risarcimento
di 900 mila euro al
sottoufficiale di Villamassargia.
«Sono felice per lui, è un amico.
- prosegue Cicu - ma non conosco
nel merito la decisione dell'Avvocatura,
quindi non la posso
commentare». Di sicuro, lo afferma,
il sottosegretario non crede
che nei teatri di guerra dove ha
combattuto il maresciallo fosse
presente l'uranio impoverito.
«Sulla materia sono intervenute
commissioni come quella Mandelli
-spiega l'esponente di Forza
Italia - il mio governo ha creato
una commissione apposita
(quella sull'uranio impoverito) .
La questione è delicata». E questo
lo sa bene anche il maresciallo
Diana che da anni sta portando
avanti la sua battaglia personale
dopo aver combattuto per lo
Stato. Il sottosegretario esclude
poi una contaminazione nei poligoni
sardi. «In Sardegna sia l'Università
di Cagliari sia quella di
Siena hanno verificato - continua
Cicu -la non presenza di
questo metallo. Bisogna affrontare
in modo serio l'argomento -
conclude il sottosegretario - dobbiamo
cercare di capire come
stanno davvero le cose». (s.a.)



IL PADRE DI VALERY MELIS                                                                                                                                        «Questa è una piccola vittoria per la causa dei nostri ragazzi»


«È una piccola vittoria per la causa dei nostri
ragazzi»: a parlare è Dante Melis, padre di
Valery, il caporalmaggiore dell’Esercito
stroncato oltre un anno fa da una leucemia
contratta dopo una missione di pace nei
Balcani. In casa Melis la notizia dei 900 mila
euro stanziati dallo Stato come indennizzo
a Marco Diana è stata accolta con grande
sorpresa: «Siamo contentissimi per Marco»,
ha detto Melis, «ha avuto ciò che gli spetta e
ora potrà affrontare i suoi problemi con più
tranquillità».
Ma per la soluzione del caso di Valery bisognerà
aspettare ancora. E la conclusione,
qualunque essa sia, non potrà certo essere
positiva. «La questione non si può chiudere
con una manciata di euro» ha continuato
Melis, «a noi e agli altri genitori di militari
deceduti nessuno potrà ridare i nostri figli.
L’eventuale vittoria delle nostre cause non
sarà mai una questione di soldi: si tratta solo
della dignità dei nostri cari». Valery Melis è
stato ucciso nel febbraio 2004 da una rara
forma di leucemia, il “linfoma di Hodgkin”.
L’aveva contratta dopo alcune missioni di
pace nei Balcani. Aveva 26 anni e per lui iniziava
un calvario che in 4 anni l’avrebbe portato
al decesso. A oltre un anno dalla sua
morte, i genitori non si danno pace e lottano
perché sia fatta giustizia. «Dopo questa sentenza
abbiamo magari qualche speranza in
più», ha precisato Dante Melis, «ma ogni caso
è diverso dall’altro». Lo Stato, alcuni mesi
fa, ha riconosciuto al giovane caporalmaggiore
di Quartu la causa di servizio: ma era
ormai inutile. Ora la famiglia aspetta la soluzione,
ancora lontana, della causa intentata
contro il Ministero della Difesa per la morte
del giovane: il 4 maggio ci sarà la seconda
udienza, la prima era coincisa con la data
dell’anniversario della morte del giovane.
«Tutta questa storia per noi è una presa in giro
», ha concluso Dante Melis, «ci è stato
confermato più volte che ci spettano anche
le elargizioni previste dalla legge 308/81, ma
le nostre domande sono state sempre bocciate
».
Giulia Antinori



ANTONIO MARTINELLI

È IL PRIMO MILITARE che ha
vinto la battaglia contro lo
Stato. «Ma io l'ho fatto solo
per giustizia». A Marco Diana, il
maresciallo dei granatieri di Sardegna,
che ha il cancro nell'intestino
causato dall'esposizione all'uranio
impoverito, è stato riconosciuto
il danno biologico. Dovrebbe
incassare circa 900 mila
euro. La notizia si è diffusa in un
baleno, ma lui non ne sapeva nulla.
Ieri sera era nella modesta ma decorosa
abitazione dei genitori a Villamassargia, in
piazza Antonio Gramsci. È lui che apre la porta
agli ospiti, ai cronisti, ai militanti dei partiti
che stanno tentando di conquistare ilmunicipio.
Capelli cortissimi, occhi neri e profondi,
dai quali traspare tutto il dramma che sta
vivendo da quando, nel 1993 cominciarono a
presentarsi i primi segni della malattia.
La notizia non è arrivata da Roma
«No, non so ancora nulla. C'è in corso la
trattativa col ministero della Difesa. Sto
aspettando che mi chiamino a Roma per firmare
il contratto». Il maresciallo Diana non
pensa ai quattrini. «Certo, non l'ho fatto per
una questione venale. Dovevo curarmi e non
avevo i soldi. Ogni mese spendevo cinque
milioni delle vecchie lire per acquistare le
medicine». Cinque anni di battaglie durissime,
montagne di carte bollate, avvocati che
si sono occupati di lui per ottenere il riconoscimento
del danno biologico (in particolare
l'avvocatoGiancarlo Peddis) e lo studio Pettinau
per il ricorso alla Corte dei Conti. «Volevo
ottenere gli integratori, le medicine per
continuare a vivere. Con la sola pensione non
potevo fronteggiare quel mare di spese». Ad
aiutarlo in questa battaglia si schierò tutto il
paese, anche con raccolte di soldi. «Poi arrivò
a casa Renato Soru. Ventiquattr'ore dopo ero
già una persona assistita». La battagliaper la
vita l'ha vinta in quel momento. «Però, prima,
ne ho dovuto fare. Sono stato io ad andare
a Roma a protestare davanti al Parlamento
». Poi le interrogazioni parlamentari, presentate
da Forcelli, Malabarba, Maurandi. «È
stata una grande vittoria. Oggi posso dire che
il diritto che rivendicavo mi è stato riconosciuto.
Ma non per i quattrini. Perché mi hanno
dato l'opportunità di curarmi, di continuare
a vivere».
Ogni tantoMarco Diana trattiene il sospi
ro, non riesce a parlare. «Sono imbottito
di antidolorifici. Non sembra perché
parlo, perché partecipo, quando
posso, anche ai convegni. Ma sto morendo,
sono in fin di vita. Sono solo in
attesa che la metamorfosi della malattia
si evolva. Poi sarà tutto finito».
Non pensa a se stesso. Pensa a ringraziare
chi l'ha aiutato. «Oggi la Asl di
Iglesias mi da tutto. Le medicine e anche
i viaggi che occorre fare». A gennaio
ne ha compiuto un altro a Milano.
È stato visitato, i suoi campioni
hanno fatto il giro del mondo. «Non
c'è niente da fare. Non c'è cura. Il mio
carcinoma è uno dei cinque più rari al
mondo». Ilmaresciallo non dà la colpa
all'uranio impoverito. «Quelle che
mi stanno uccidendo sono le sostanze
mutagene e cancerogene. Quelle
che si usavano quando ero in servizio.
L'uranio è un componente ma non
determinante. Ho le cartelle cliniche
per dimostrare ciò che dico».
Ora è seguito a Milano dal professor
Veronesi. «Ma solo per andare
avanti. I farmaci ubriacano la malattia.
Ma non possono fare altro». La
sua storia clinica ha fatto il giro della
terra. «I miei campioni sono stati esaminati
da uno scienziato del nord Europa.
Il migliore che c'è. Ha detto che
non esiste rimedio, che devo morire
».
Una sentenza, senza appello, che
Marco Diana accetta con la fede.
«Credo in Dio, nel Signore, sono
religioso e credo anche nell'uomo.
In quegli uomini politici
che hanno dimostrato di non
essere politicanti».
La medaglia per gli eroi
Ma poi non nasconde il suo
disappunto per quanto ha dovuto
soffrire per arrivare a vincere
la guerra contro lo Stato.
«Quando un soldato muore in
battaglia gli viene assegnata la
medaglia d'oro al valore. Anche noi stiamo
morendo, anche noi siamo eroi della Patria.
Io, ancheoggi, darei la vita per il mio popolo,
per la divisa. E anche noi meritiamo la medaglia
d'oro, come fossimo morti a Nassirya».
Quando il fotografo gli chiede di scattargli
una foto non si rifiuta ma indossa subito gli
alamari. «Io sono un soldato, che sta morendo
per la Patria. Ho contratto questa malattia
in servizio». E ricorda il suo breve ma intenso
servizio che ha svolto con la divisa da granatiere.
«Quando mi sono arruolato avevo 19
anni. A 28 mi sono ammalato». Si accorse dei
primi sintomi al rientro dalla Somalia. «Era il
1993». Poi la grande battaglia contro la burocrazia.
«Mi revocarono anche la pensione
d'invalidità». Altre battaglie, altre carte bollate.
«Debbo riconoscere che l'Esercito non mi
ha mai abbandonato. Posso dire che è stato il
triondo degli uomini di buona volontà, la vittoria
della buona politica». A dare la svolta
era stato il presidente della Regione Renato
Soru. «Ma non solo, anche il sottosegretario
Cicu e Michele Cossa. Ad un certo punto ho
trovato tanta solidarietà. E posso dire che i diritti
vanno sempre rivendicati perché prima
o poi saranno riconosciuti». Marco Diana
Non pensa a quei soldi che dovranno arrivargli.
«Posso dire di aver vinto la mia battaglia
quando mi fu riconosciuto il diritto ad avere
le medicine gratis, ad aver il viaggio e l'albergo
pagato per le visite cui dovevo sottopormi.
Non ho mai pensato di diventare milionario.
Chiedevo soltanto di potermi curare, di poter
vivere come un essere umano». Ora gli arriveranno
quei quattrini che, da Roma, dicono
saranno900 mila euro. «Nonso quanto sarà.
Ho lasciato fare al ministero della Difesa. Ho
chiesto è ottenuto il danno biologico, lemedicine.
Al resto non ho pensato. Certo, quella
somma mi permetterà di avere un aiuto, pagare
chi dovrà sostenermi quando le mie
condizioni di salute peggioreranno

Un'intera città mobilitata per comprare le medicine che gli hanno salvato la vita


È stato salvato anche dal paese, dai suoi
concittadini. Quando il maresciallo Diana
non aveva la possibilità di acquistare le
medicine, ci fu la mobilitazione e la
solidarietà dei paesani. Villamassargia ha
appena tremila abitanti ma un cuore
enorme visto che i villamassargesi sono
riusciti ad aiutarlo a superare quei momenti
tremendi che ha vissuto quando fu sospeso
dal servizio e, soprattutto, quando gli fu
revocata la pensione d'invalidità.
giorni Marco Diana si sentì davvero
perduto. Invece, con in testa il
Walter Secci, la popolazione dimostrò
grande attaccamento al maresciallo
riuscì a superare anche i dolori
malattia che lo stava consumando.
cominciò la lotta e le grandi battaglie
anche a Roma che gli hanno permesso
arrivare ai risultati di oggi.