[Diritti] Al Municipio di Ostia



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 9.11.2017

  

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ADL 120

 

1897

2017

 

 

18 novembre 2017

Cooperativo Zurigo, St. Jakobstrasse 6, 8004 Zürich

 

Una giornata di studi e dibattiti

nel 120° dalla fondazione dell'ADL

 

 

Ore 10.00 - Libri e autori

Mattia Lento, Giovanni Battista Demarta e

Viviana Meschesi al confronto con il pubblico zurighese

 

Il Dr. Demarta illustrerà l'edizione italiana, da lui curata, di Per un'economia umana di Julian Nida-Rümelin (Milano, 2017). Il Dr. Lento parlerà de La scoperta dell'attore cinematografico europeo, (Pisa 2017). La Dr. Meschesi parlerà di Sistema e Trasgressione. Logica e analogia in Rosenzweig, Benjamin e Levinas, (Milano 2010). Moderatore: Francesco Papagni, teologo e giornalista.

 

 

Ore 11.00 - Anima, mondo ed esperienza

L'eredità kantiana in Helmut Holzhey

 

 Il prof. Pierfrancesco Fiorato (Sassari) discute con Helmut Holzhey (professore emerito presso l'Università di Zurigo, foto sotto) la sua opera Il concetto kantiano di esperienza, riedita nell'ottantesimo com­pleanno dell'Autore. / Moderatore: Dr. Andrea Ermano, direttore dell'ADL.

  

Ore 12.15 - Pausa dei lavori e rinfresco

 

Ore 13.15 - Il "Caso Englaro" otto anni dopo

Ricordi e riflessioni di Beppino Englaro e Renzo Tondo

 

Beppino Englaro, padre di Eluana Englaro, e l'on. Renzo Tondo, Governatore della Regione Friuli Venezia-Giulia all'epoca del "Caso Englaro", verranno intervistati dal decano dei giornalisti italiani in Svizzera, Giangi Cretti.

 

 

Ore 14.15 - Grande Riforma?

Ma l'Italia ha bisogno di grandi riforme? E, se sì, di quali?

 

Il sen. Paolo Bagnoli (Università Bocconi di Milano e Università di Siena), l'on. Felice Besostri (costituzionalista autore dei ricorsi contro il Porcellum e l'Italicum) e il Dr. Andrea Ermano, direttore dell'ADL, verranno "moderati" dal Dr. Mattia Lento (Innsbruck).

 

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Paolo Bagnoli, Felice Besostri

 

Ingresso libero

Info: 044 2414475 / cooperativo at bluewin.ch

 

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23 novembre - ore 18.00

Photobastei - Sihlquai 125 - 8005 Zürich

 

Letzte Front

 

Vernissage della mostra dedicata alla vita

e all'opera di Andy Rocchelli (1983-2014)

 

Intervengono: Miklós Klaus Rózsa (Syndicom, fotografo, curatore della mostra), On. Beppe Giulietti (Presidente Federazione Nazionale Stampa Italiana), Giangi Cretti (Direttore Comunicazione Camera Commercio Italiana). Finissage: 13 gennaio 2018, ore 18.00.

 

Ingresso libero.

Orari di apertura: lunedì-sabato 12-21; domenica 12-18.

Info: www.photobastei.ch - cooperativo at bluewin.ch

 

Organizzano: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, Collettivo Cesura, Fabbrica di Zurigo, Famiglia Rocchelli, Fondo Gelpi Ecap Schweiz, Photobastei, Società Cooperativa Italiana, Società Dante Alighieri, Syndicom Schweiz.

 

Con il patrocinio dell'Istituto Italiano di Cultura Zurigo

e della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

 

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Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24).

    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

 

 

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Al Municipio di Ostia

 

Due inviati del programma Rai "Nemo – Nessuno escluso" sono stati aggrediti il pomeriggio del 7 novembre a Ostia. Il giornalista Daniele Piervincenzi e il cameraman Edoardo Anselmi sono stati assaliti da Roberto Spada (nella foto mentre colpisce Piervincenzi con un man­ga­nello). La famiglia Spada è nota alle cronache per diverse inchieste giu­diziarie. Piervincenzi ha il setto nasale rotto, con prognosi di 30 giorni. Si trovava nel Decimo Municipio di Roma per realizzare un servizio sulle elezioni a Ostia, Comune sciolto due anni fa per mafia. Roberto Spada è fratello di Carmine, detto 'Romoletto', il boss con­dan­nato a dieci anni per estor­sione con l'aggravante del metodo mafioso. Su FB il suo commento sull’accaduto: "La pazienza ha un limite".

          

   

Da CRITICA LIBERALE >>> nonmollare

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Un travaglio lacerante

 

di Paolo Bagnoli 

 

I risultati delle elezioni regionali siciliane non sappiamo se anticipano la radiografia di quelle politiche. Di sicuro confermano le previsioni degli osservatori che davano per sicura la vittoria della destra e la sconfitta del partito democratico con in mezzo i 5Stelle che hanno cercato di vendere la pelle dell'orso prima di averlo preso. Il voto disgiunto ci dice che, almeno in Sicilia, la contestazione di tipo so­lipsistico al sistema che vogliono rappresentare, è in fase calante.

    Il voto siciliano è indicativo, ma non è detto preannunci l'esito na­zio­nale. Ogni elezione fa storia a sé. Ciò che, da elezione in elezione, resta permanente è il trend negativo del Partito democratico. La batosta ricevuta, tuttavia, ci porta a dire che il renzismo, quale "filosofia" del fare politica è in fase di superamento. Il resto è patetica sceneggiata in un Paese che, circa a un quarto di secolo dall'inizio della crisi della politica democratica, quasi un drammatico girotondo, si trova al punto di partenza; ossia a Berlusconi il quale, benché non eleggibile, torna al centro del panorama nazionale come catalizzatore che batte i 5Stelle. Il populismo di ieri sconfigge la demagogia di oggi in un sistema che, se andiamo a guardare i voti reali, è una democrazia senza popolo; senza la gente che era il nerbo della democrazia italiana tramite i soggetti rappresentati dai partiti politici di un tempo.

    Ripetiamo che il voto siciliano potrebbe essere benissimo diverso da quello che, tra qualche mese, sarà quello nazionale. Oggi rimaniamo a questo che ci dice quanto non abbia pagato quello che appariva come uno degli aspetti principali della campagna elettorale: ossia l'assenza del Pd. Esso, infatti, sarebbe stato esercito solo ed esclusivamente dal suo segretario da giorni in viaggio su un treno per portare il verbo democratico al Paese; un messaggio che ha al proprio centro lui stesso in uno schema che lo vede in solitaria contro tutti. Tale canone non ha pagato. La Sicilia, ove Renzi si è appena affacciato, gli ha riservato, comunque la si voglia mettere, un cannolo duro da digerire.. Inizierà dalla Sicilia il processo di rottamazione del rottamatore? Al momento nessuno lo può dire; certo che non si è mai visto il massimo respon­sa­bile di una formazione politica muoversi in campagna elettorale in modo del tutto indipendente da essa.

    Confessiamo che siamo rimaniamo stupiti dal ragionamento che reg­ge il comportamento di Renzi le cui radici affondano nella suggestione veltroniana del partito a vocazione maggioritaria che, in un passaggio importante quale quello delle elezioni europee quando il Pd raccolse il 40% dei suffragi, apparve essere confermata dai fatti. Ma fu un pas­saggio, appunto, che come apparve subito dopo scomparve e anche se Renzi mette in coppiola quel risultato con quello del refe­rendum che fu, peraltro, leggermente più basso, solo un'allucina­zione può ritenere i due risultati omologabili: che, quindi, ci sia uno zoccolo duro del Paese pari al 40% o vicinissimo a tale percentuale a favore del Pd ossia di Matteo Renzi. Evidentemente egli è più che convinto che sia così e su tale convincimento fonda la sua sfida rivolta a tutti, compreso il pro­prio partito. Forse, dopo l'indebolimento dovuto al responso dell'isola, ci potrebbero anche essere dei cambiamenti.

    Ora, al di là di ogni valutazione di ordine psicologico sull'uomo, il ragionamento evidenzia una solida mancanza di lucidità politica che ci dice, da un lato, quanto egli abbia sofferto la sberla dell'esito referen­dario e, dall'altro, come non abbia fatto i conti seriamente con quel risultato e sulla sua portata, ma l'abbia considerato alla stregua, né più né meno, di un mero incidente di percorso. Un inciampo da cui lo avreb­bero riscattato le primarie, che cita a ogni piè sospinto, per dare ragione dei propri comportamenti. Va anche detto che, in una democra­zia senza popolo, ma solo delegata a gruppi di comando, quanti lo hanno votato alle primarie, sono una fetta di popolo.

    Equiparare il voto europeo con quello referendario è come sommare le pere alle mele: fin dalle elementari, ci hanno insegnato che è impos­sibile. Infatti, mentre i suffragi europei hanno la caratteristica di con­for­mità politica essendo stati raccolti da una lista partitica, quelli refe­rendari ne hanno un'altra poiché ai referendum i voti sono trasversali e nessuno sa cosa c'è dentro quel voto come nessuno sa cosa c'è dentro il 60% che ha respinto la proposta di riforma costitu­zio­nale. Secondo Renzi, però, chi ha votato alle europee il Pd sono gli stessi elettori che hanno poi espresso voto favorevole al referendum. Il ragionamento non sta in piedi politicamente poiché le pere non sono le mele. Quella di Renzi è una vera e propria sfida che lancia alle forze politiche, al Pae­se, a tutti insomma con un'ostinazione della quale gli va dato atto, ma in politica le sfide di solito non si vincono da soli. Gli esempi abbon­dano. Un atteggiamento, tra l'altro, in contraddizione con la realtà considerato che, senza Denis Verdini, la legge elettorale non sarebbe passata e di Verdini, tutto lascia capire, ci sarà ancora bisogno per la legge di stabilità. E mentre Verdini ha assicurato che non solo lui ci sarà, ma che c'è sempre stato, Pietro Grasso e Antonio Bassolino se ne sono andati con toni aspri verso il partito e il suo segretario. I due abbandoni sono il sintomo di un malessere più che profondo e il Pd dovrebbe ringraziare Grasso – a cui, come Presidente del Senato, non c'è proprio niente da rimproverare - per aver deciso di uscire dopo l'approvazione della legge elettorale. Pensiamo cosa sarebbe successo se avesse abbandonato la carica per rivendicare il diritto della Camera che presiede di dibattere la legge elettorale come sarebbe stato giusto? La legge sarebbe sicuramente decaduta, ma il gesto sarebbe stato sicu­ramente più significativo al fine di recuperare quella autorevolezza delle istituzioni continuamente calpestata. Forse l'intenzione di Grasso era veramente questa, ma forti freni lo devano aver trattenuto.

    Il Paese si trova di fronte a uno scenario del tutto nuovo i cui sviluppi non sono prevedibili; certa è la continuazione di un travaglio lacerante la tramatura di un sistema che imporrebbe di essere ricostrui­to, nello spirito della democrazia repubblicana, politicamente e nel significato morale di cosa significa l'ordinamento democratico in un Paese costituzionalmente motivato.

 

Vai al sito di Critica liberale e a quello di nonmollare

      

  

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Dopo la sconfitta del Pd in Sicilia:

serve il ritorno a sinistra

 

Il Pd deve guardare a sinistra autentica in Europa: all'indubbio successo di James Corbyn in Gran Bretagna, al ruolo di Jean-Luc Mélenchon, candidato alle presidenziali francesi con un programma che vedeva al centro, la questione sociale e quella ecologica, sino al governo in Portogallo guidato dal socialista Antonio Costa.

 

di Maurizio Ballistreri

 

Non si comprende la sorpresa per la nuova sconfitta del Pd, in un test strategico qual è sempre stato storicamente il voto per le regionali in Sicilia. Infatti, dopo la débacle nel referendum costituzionale del 5 dicembre 2016, il Partito democratico ha mostrato di non avere più linea strategica, con la crisi della leadership di Matteo Renzi e la debolezza del suo "cerchio magico".

    Una serie di sconfitte elettorali il cui presupposto risiede in un elemento che accomuna il Pd a parte delle socialdemocrazie europee, in primo luogo la Spd in Germania: se la sinistra, anche di orientamento moderatamente riformista, pratica politiche economiche e sociali di tipo liberista, perde il suo elettorato tradizionale, che viene attratto dalle falene del nazional-populismo in grado di esorcizzare l'insicurezza sociale, e non cattura i voti della destra di ceppo popolarista e conservatore; già, questa destra vota per l'originale e non per l'imitazione!

    Il Pd renziano paga per intero il paradigma delle "Due destre", fondato su di una dialettica tra una destra plebiscitaria e una destra liberista e tecnocratica travestita da centrosinistra blairiano.

    Da una parte una destra sostenitrice della sovranità nazionale e dell'identitarismo territoriale; l'altra destra con tecnocrati "prestati alla politica" che trovano di volta in volta il sostegno della sinistra ex-comunista e dei cosiddetti "cattolici democratici", alleati con il "salotto buono" del capitalismo italiano (o ciò che rimane dei "poteri forti" un tempo organizzati attorno alla Mediobanca di Enrico Cuccia, oggi essenzialmente la "nuova Fiat" di Marchionne) e la grande editoria invero pressoché tramontata, con l'avvento dei social. I governi Amato, Ciampi e Dini (1992-1996) e il breve esecutivo Prodi del 2006-2008 con ministro dell'Economia Padoa-Schioppa, per taluni aspetti rappresentano i precursori di Monti e di quel "governo dei tecnici" il cui archetipo è nella proposta formulata nei primi anni '80 del secolo scorso dal repubblicano Bruno Visentini.

    D'altra parte, anche l'attuale politica economica del governo Gen­ti­loni, con un ex tecnico del Fondo Monetario, Carlo Padoan, in via XX settembre, fondata su aumenti dissimulati delle tasse e qualche mancia elettorale, modifiche in peggio al sistema di previdenza pubblica con l'allungamento della vita lavorativa e il taglio delle pensioni e la ridu­zione dei diritti del lavoro, risponde al modello liberistico del "Wash­ington consensus", la dottrina economica americana imposta a livello planetario dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale e dalle agenzie di rating e in Europa dal monetarismo di Frau Merkel e della Banca centrale europea.

    Il Pd, adesso, deve guardare a sinistra, a quella autentica in Europa, in cui non mancano fermenti: dall'indubbio successo di James Corbyn in Gran Bretagna al ruolo di Jean-Luc Mélenchon, candidato alle pre­si­denziali francesi con un programma che vedeva al centro, la questione sociale e quella ecologica, sino al governo in Portogallo guidato dal socialista Antonio Costa con il "Bloco de Esquerda" e i comunisti.

    Si guardi al Partito socialista portoghese, che ha stravinto le ultime elezioni amministrative, conquistando il 38% dei consensi su scala nazionale e vincendo in 158 comuni su un totale di 308. Il leader socialista portoghese Antonio Costa si è battuto per voltare pagina rispetto alle politiche di austerità e ha già cancellato alcune delle misure di austerity concordate tra il governo di centrodestra e il Fondo Monetario Internazionale e la Ue tra il 2011 e il 2014 e ha alzato il salario minimo, ha abbassato l'età pensionabile e ha aumentato gli investimenti pubblici, in particolare quelli nella sanità: in pochi anni il Portogallo ha recuperato diverse posizioni nelle classifiche internazionali sulla qualità dei servizi sanitari.

    A luglio il tasso di disoccupazione ha raggiunto l'8,9 per cento, il livello più basso dal novembre 2008. L'economia dovrebbe crescere quest'anno del 2,5 per cento, sostenuta da turismo ed esportazioni.

    Un modello per un Pd che intenda tornare, anzi che intenda andare veramente a sinistra.

 

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SPIGOLATURE

 

Baruffe e batoste

 

di Renzo Balmelli 

 

RISCATTO. Basta batoste. Basta brutte figure. Basta baruffe tanto sciocche quanto infantili. E basta ai regali nell'urna, buoni soltanto ad aizzare il gioco al massacro degli avversari. Dalla Sicilia arriva un monito ineludibile per la sinistra prossima al collasso. Diversamente dallo sbarco dei Mille in camicia rossa, essa poco a poco è affondata nel mare procelloso del suo pazzesco marasma interno, trascinando nei gorghi una certa idea dell'Italia moderna, aperta e dinamica, ormai sempre più soverchiata dalle forze della reazione. Peggio della controprestazione, lascia però trasecolati il tentativo di liquidarla come l'inevitabile conclusione di una sconfitta annunciata che ha tutto il cattivo sapore di una resa senza condizioni. Ma vi pare possibile! E come se non bastasse, quando il disastro si era già consumato, avanti con i rimbrotti, le faide, le rese dei conti che oltre a indebolirla sono anche un elemento di disaffezione degli elettori. Se è nel solco di questo spettacolo indecoroso che la sinistra, litigiosa e indecisa, intende avvicinarsi alle prossime elezioni nazionali senza dare segni di risveglio, è inutile chiedersi come andrà a finire. La sua sarà davvero una Caporetto però senza il riscatto del Piave.

 

TRACCE. Silvio c'è! Torna il grido di esultanza della destra (scritta volutamente senza centro) a tal punto baldanzosa che , previo il consenso dei Cinque stelle, autoproclamatisi vincitori morali , già si vede insediata a Palazzo Chigi, nel cuore del potere, da cui l'uomo di Arcore, non fosse per i guai con la giustizia che ne impediscono la rielezione, vorrebbe cacciare coloro che considera alla stregua di usurpatori. Certo è che l'ola trionfante del quartetto vittorioso sull'isola è un serio indizio di come potrebbe diventare il Paese se di colpo si trovasse con un glorioso futuro alle spalle e un incerto passato davanti a se. Nello scenario che ripropone alcuni passaggi dell'infausta era berlusconiana manca soltanto il celeberrimo "meno tasse per tutti" , poi sconfinato nel sarcastico "meno tasse per Totti", e la tavola per una "cena elegante" sarebbe già bella che imbandita. A quei tempi le magniloquenti promesse del Cavaliere si vendevano un tanto al chilo , ma nonostante i risultati disastrosi, non sembrano avere lasciato tracce, al punto da riproporsi tale e quali come prima, però con una aggravante di peso: l'avanzata delle frange estreme che crescono in maniera inquietante nelle periferie abbandonate dalla politica senza che siano state escogitati i necessari rimedi.

 

DIALOGO. Al giro di boa del diciassettesimo anno del nuovo millennio, se c'è una immagine che non si immaginava di vedere negli Stati dell'Europa comunitaria è quella che mostrava il corteo dei neri cellulari con a bordo i ministri catalani rinchiusi in galera per il loro sostegno alla causa dell'indipendenza da Madrid. A prescindere da come ci si ponga di fronte agli interrogativi sollevati dalle controverse, problematiche e divisive spinte autonomiste di Barcellona, scene simili, malgrado le divergenze, non hanno nulla da spartire con i principi della civile convivenza. Da quando sono state rimosse le rovine della guerra, all'interno dell'Unione Europea, garante del più lungo periodo di pace nel continente, i contenziosi, per quanto gravi , si regolano attraverso il dialogo e non con le misure coercitive. Cose simili accadevano il secolo scorso, quando il continente era percorso dalle orde con gli scarponi chiodati. Adesso, per fortuna, da noi non si imprigiona più nessuno per le sue idee, giuste o sbagliate che siano. Altri scenari lontani dalla nostra cultura umanista e dal nostro sentire comune potrebbero avere ricadute perniciose nel momento in cui sono all'opera movimenti ispirati da ideologie bacate che mirano a sovvertire l'ordine democratico, l'unico che ci pone al riparo dai conflitti di una volta.

 

SHOPPING. L'America ha smesso di sognare. Mentre Trump attraversa l'Estremo oriente con la furia di un ciclone per puntellare la sua traballante Presidenza, il suo Paese si trovava esposto una volta ancora all'altra faccia dell'attualità: quella più dura segnata dal terrore, sia esso politico o personale. Come appunto sembrerebbe essere la strage di fedeli nella chiesa battista di Sutherland Springs, nel Texas, imputabile al gesto di un folle. Ma per quelle 27 vittime non cambia assolutamente nulla che la loro fine sia da mettere sul conto del fanatismo ideologico e religioso oppure il frutto di una mente bacata .Perché con le armi a portata di mano come fossero giocattoli, la violenza seriale da qualunque parte venga ha un effetto contagioso che colpisce sia la spumeggiante Las Vegas che la quieta campagna di provincia. Tutti gli autori di queste infamie contro l'umanità si considerano, a modo loro, dei vendicatori e non dei volgari assassini quali sono. Per ammazzare basta che facciano shopping indisturbati al discount di pistole e fucili. L'inquilino della Casa Bianca invoca la protezione di Dio sulla gente, ma se provasse a dargli una mano mettendo un freno alla lobby delle armi, la Nazione a stelle e strisce potrebbe ricominciare a sognare. Ma è risaputo che i sogni muoiono all'alba.

 

IMBARAZZO. Quando la Svizzera era il forziere del mondo, era impossibile perforare la cortina di riserbo che circondava i titolari dei conti cifrati, protetti dal segreto bancario e custoditi, sotto il manto di graziosi "nickname" , non soltanto negli istituti delle principali piazze finanziarie, ma anche nelle più piccole e insospettabili filiali alla periferia della Confederazione. Se ciò avvenga ancora oggi non si sa, ma quanto si può dire in proposito è che di quella centenaria discrezione non v'è traccia nell'enorme flusso di denaro che ora si muove in tutt'altre direzioni, alla ricerca di ospitali paradisi fiscali in grado di fornire lo strumento giuridico necessario alla pratica dello sport preferito da chi manovra centinaia, forse migliaia di milioni: evadere le tasse. In quelle oasi dove il comune cittadino, operaio o salariato, non metterà mai piede se non vedendole al cinema, l'affollamento di personalità in vista è pari a quello delle ore di punta. Un continuo andirivieni svelato per l'occasione dai " Paradise Papers", documenti scottanti che lambiscono addirittura la Regina delle Regine, nonché capi di Stato, ministri, star della politica e dello spettacolo. I loro portavoce si affrettano a sottolineare che ovviamente non v'è nulla di illegale in tutto ciò. Sarà vero, ma intanto le carte mettono in imbarazzo l'Occidente.

 

VALORI. Come accade in tutte le democrazie consolidate, anche negli Stati Uniti è nelle urne, e solo lì, che si misurano gli umori e la temperatura del Paese. Da face book a twitter, i social saranno senz'altro un elemento del termometro, ma alla fine sono i voti i criteri  che contano realmente. E Trump, alle prese con un primo test importante e con una popolarità ai minimi storici, si trova confrontato ad una nuova erosione di consensi su cui cerca di sorvolare, ma che solleva altri interrogativi sul suo operato a un anno dalla campagna che lo ha condotto alla Casa Bianca. Quelli incassati ad opera dei democratici eletti governatori in Virginia e nel New Jersey, ossia due Stati non propriamente progressisti, senza essere decisivi sono comunque due colpi che fanno male; così come lascia un segno il successo dell'italo americano Bill De Blasio, confermato sindaco di New York, ovvero la metropoli da dove Trump è partito per dare la scalata al potere senza però condividerne i valori. Perché è proprio sui valori che si è giocata questa partita significativa per ridare tono e fiducia ai democratici e che può essere un segnale di ripresa in vista delle elezioni di metà mandato. Se ti rivolti contro i valori della tua città e pretendi di sfidarli – ha commentato De Blasio rivolgendosi al Presidente – la tua città risponde a tono. E così è stato!

   

        

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Fca licenzia i precari,

scatta lo sciopero

 

Otto ore di stop indette dalla Fiom Cgil nell'impianto di Cassino (Frosinone) per protestare contro la decisione di non rinnovare i contratti di 530 addetti in somministrazione. "L'azienda - dice il sindacato - scarica le proprie debolezze sui lavoratori".

 

Sciopero di otto ore mercoledì 8 novembre alla Fca di Cassino (Frosi­no­ne), con presidio davanti ai cancelli dell'azienda, per protestare contro la decisione della società di licenziare 530 lavoratori precari.

    "Martedì 31 ottobre – spiega una nota della Fiom Cgil – la direzione aziendale comunica ai nostri delegati, in merito alla scadenza degli 830 contratti precari, prevista appunto per il 31 ottobre, che solo a 300 la­vo­ratori è stato prorogato il rapporto di lavoro. Gli altri, da giovedì 2 novembre non sono più in forza nello stabilimento".

    Nell'incontro di giovedì 2 novembre la Fiom aveva proposto la ro­tazione di tutti i somministrati. "Sarebbe stato un modo – spiega il sin­dacato – per non farli uscire dal circuito aziendale, visto che dicono di volerli richiamare nei primi mesi del 2018. Ma la direzione aziendale ha deciso di recedere il rapporto di lavoro". Una decisione che per i me­talmeccanici della Fiom è inaccettabile: "Lo stabilimento di Cas­si­no, che doveva essere il rilancio del polo del lusso del marchio Alfa in Italia, è invece diventato un punto di debolezza, che ancora una volta l'azienda scarica sui lavoratori".

    Da qui la decisione della Fiom dello sciopero odierno, indetto an­zi­tutto "per la difesa occupazionale del territorio e per la sta­bi­liz­za­zione di tutti gli 830 lavoratori e lavoratrici interinali". Il sindacato, inoltre, chiede la convocazione di "un tavolo istituzionale per affrontare il fu­tu­ro occupazionale e produttivo in Fca e nel­l'in­dotto" e una "riforma del sistema pensionistico che permetta ai lavoratori turnisti di andare in pensione e ai giovani di avere un lavoro stabile".

 

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Presidio per i giovani precari

lasciati a casa da FCA a Cassino

   

        

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Renzi sì, Renzi no

 

di Mauro Del Bue

 

Quel che mi ero permesso di anticipare e cioè l'idea di pensare a Gentiloni come candidato premier della coalizione, cioè alla personalità in questo momento più gradita dalla pubblica opinione, é diventato il tormentone della giornata. Ne ha parlato apertamente il capogruppo del Pd alla Camera Rosato, lo ha ipotizzato Emiliano, non lo ha escluso Franceschini nella sua intervista al Corriere, lo ha (forse da tempo) immaginato Orlando. Franceschini, uomo accorto, ha svolto un ragionamento che parte dalla legge elettorale, che non richiede un candidato premier (nessuna legge lo richiedeva, visto che la Costituzione non prevede la figura di un premier o candidato alla presidenza del Consiglio), e ha proposto di andare alle elezioni senza un candidato comune dell'alleanza di centro-sinistra.

    Franceschini, ex democristiano, é capace di fare i conti. E sa benissimo che un candidato premier con questa legge conta quasi nulla. Il quasi é determinato dalla possibilità di conduzione della campagna elettorale, dall'effetto simbolico e di trascinamento del leader. Resta il fatto, ha precisato Franceschini, che nemmeno il centro-destra si presenterà all'appuntamento elettorale con un unico candidato. Ma il centro-destra, che dopo le elezioni siciliane appare quanto meno in pool position per la vittoria (se mai ci sarà una vittoria) ha gia fatto sapere che il presidente del Consiglio lo sceglierà il partito che otterrà più voti, introducendo un elemento di competizione che potrebbe aumentarne la produttività elettorale. Ma il centro-sinistra?

    Tra chi vorrebbe giocare la carta Gentiloni, chi, come Franceschini, propone di non lanciare un unico candidato, da segnalare, tra i renziani, una dichiarazione del solo Renzi che sostiene di volere tenere duro, che in tanti lo vogliono far fuori, e di puntare al 40 per cento. L'ultimo proposito appare quanto meno di improbabile riscontro. Anche perché la carta Renzi impedisce quel che pare essere proposito di molti, e soprattutto condizione, forse neppure sufficiente, di chi si vorrebbe ulteriormente aggregare nell'alleanza. Sul fatto che Renzi intenda tenere duro, non si capisce se solo da segretario del Pd o anche da candidato alla presidenza del Consiglio, non avevo dubbi. Vuoi vedere che o passerà la proposta del leader innominato di Franceschini, o qualcuno proporrà primarie di coalizione? Tra chi? L'idea blinderà il perimetro e chiuderà le porte. A proposito una domanda. Qualcuno ha capito la posizione di Pisapia? Pare che l'ex sindaco di Milano la chiarisca nella convention convocata tra un paio di giorni. Attendiamo speranzosi…

 

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Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Germania: Una leader

per due coalizioni

 

Il risultato delle elezioni tedesche è stato accolto come uno choc sia in Germania che fra i partner europei.

 

di Paolo Pombeni

 

Il risultato delle elezioni tedesche è stato accolto come uno choc sia in Germania che fra i partner europei. Non per l'esilio complessivo, che in sé era quello previsto: conferma della leadership della Merkel, successo dell'estrema destra, batosta dei socialdemocratici. Ciò che ha colpito gli osservatori sono i numeri che hanno sostanziato la conferma di quanto ci si aspettava. Intanto però, per capire, bisogna partire dal dato che il sistema elettorale tedesco non consente di rilevare di-rettamente la fiducia nella persona della Merkel, perché al massimo si può vedere come le è andata nel suo collegio elettorale (ma non è significativo), mentre per il resto sono voti che vanno al suo partito, anzi a quella relativa anomalia che è un partito non solo con due anime (in realtà ne ha poi di più), ma con due sigle che rappresentano due componenti ben di-stinte.

    Ecco allora un primo dato da rilevare: entrambe le componenti sono andate male. La Cdu ha perso 8 punti, ma la bavarese Csu ne ha persi 10, ed è questo il fatto più rilevante su quel fronte. I cristiano sociali (che per la verità tanto sociali non sono) rappresentano tradizio­nal­men­te l'ala destra di quella unione, e sono insediati in un Land che salvo brevi intervalli governano in continuazione dal dopoguerra. Il loro non è un contesto dove si trovino arretratezza e miseria, che non ha sofferto alcuna significativa crisi economica, che non ha nep-pure problemi impellenti di integrazione degli immigrati. Ep-pure l'emorragia di voti è stata pesante, tanto da lanciare il cattivo presagio di una possibile perdita della maggioranza assoluta da parte della Csu nelle elezioni per il parlamento del Land che si terranno l'anno prossimo.

    Ciò significa che nella complessa trattativa per la formazione del nuo­vo governo di coalizione Merkel avrà a che fare con un alleato par­ticolarmente riottoso (docili i bavaresi non lo sono mai stati). Riottoso fino al punto di dissociarsi? Improbabile, per due buone ragioni. La pri­ma è che senza di loro diventerebbe praticamente im­pos­sibile avere una coalizione di governo, il che significherebbe in sostan­za dover tor­nare a breve alle urne. Una prospettiva inquietante sia per le me­mo­rie storiche che richiama (l'instabilità causa della catastrofe di Wei­mar), sia per il colpo pesante che darebbe all'immagine della Ger­ma­nia come leader della se-conda ricostruzione europea (per inten­der­ci, quel­la su cui punta Macron con la necessaria sponda di Berlino). La se­con­da ra­gio­ne è che alla Csu non conviene affrontare un anno elet­to­rale a livel­lo di Land senza poter far valere il ruolo "nazionale" e go­vernativo del partito, che altrimenti diventerebbe una forza come tutte le altre: e que­sto non piacerebbe certo in un contesto che ha una eco­no­mia rilevante.

    Come si è osservato in molti commenti la notevole contrazione dei consensi al blocco Cdu/Csu è stata prevalentemente interpretata come un distacco dell'opinione pubblica conservatrice dalle politiche socialmente aperte del governo Merkel. Ciò è indubbiamente vero, ma fino ad un certo punto. L'analisi dei flussi elettorali ha mostrato che l'estrema destra di Alternative für Deutschland (Afd), sia pure non nella stessa misura, ha pescato un po' da tutti i partiti, inclusi Spd e Linke. Significa che l'attrattiva, più che da un orientamento classicamente conservatore, è costituita da una miscela di insoddisfazioni che si possono mettere sotto la generica etichetta di populismo. Ma di che tipo di insoddisfazioni si tratta in un paese che ha la più invidiabile situazione economica di tutta la Ue? Natural-mente sappiamo bene che anche in una situazione del genere ci sono diseguaglianze, sacche di povertà, effetti di erosione dei redditi di alcuni settori della società: ma è difficile concludere che questo basti a spiegare un cambiamento di panorama politico così significativo.

    Non dobbiamo dimenticare infatti che non è andato bene solo il nuovo partito populista Afd, ma si sono piazzati bene anche Verdi e liberali, mentre è regredita, sia pure non di molto, la sinistra dura e pura della Linke, il partito che era nato dalla fusione fra i socialisti dissidenti di Oskar Lafontaine e gli ex comunisti della Ddr. A mio giudizio questo significa che l'u-niverso politico è percorso da molte inquietudini che non si polarizzano sui due classici estremi a destra e a sinistra, perché c'è grande incertezza nell'interpretare cosa possa riservare il futuro. In fondo questo finirà per favorire l'abilità tattica della Merkel, che sinora si è sempre dimostrata molto capace di ricondurre a sintesi posizioni diverse, accettando di recepire (magari annacquandolo) quanto di interessante si muoveva sulla scena delle forze politiche. Ma su questo fra poco.

    Prima è necessario affrontare il problema della autentica débacle della Spd. Ormai stanno volando gli stracci, perché colui che era stato scelto come leader della campagna elettorale, cioè Martin Schulz, ha cominciato a dire che la colpa di tutto va fatta risalire alla politica sbagliata del suo predecessore Sigmar Gabriel, che peraltro sarebbe anche colui che ha scelto Schulz per quella che sembrava una posizione di prestigio, cioè candidato cancelliere. È un giochetto politico piuttosto miserabile - sia consentito dirlo, pur essendo tutt'altro che raro nel mondo politico - quello di addossare ogni colpa ai predecessori. Certo Schulz ha buon gioco nel proporre queste tesi, perché è opinione diffusa che la sconfitta socialdemocratica sia figlia della sua partecipazione alla Grande Coalizione dove avrebbe dovuto condividere le politiche di austerità economica del governo senza poter trarre beneficio dai successi in politica internazionale che sarebbero stati attribuiti solo alle qualità della Cancelliera.

    Ad una analisi più distaccata, però, le cose appaiono un bel po' più complicate. Se i socialdemocratici non hanno tratto il profitto che avrebbero potuto guadagnare dalla loro partecipazione alla Grande Coalizione è per il vecchio vizio ideologico della sinistra, che quando partecipa a governi in qualche modo di salute nazionale lo fa sempre con l'aria un po' schifata di chi deve sottoporsi ad un sacrificio di cui si farebbe volentieri a meno. Dunque è difficile poi lamentarsi se la gente coglie questi umori e quella di sinistra conclude che dovevano deci-dersi ben prima a togliersi dalla sgradevole compagnia.

    Si aggiunga che scegliendo Schulz il partito non ha certo tra-smesso l'immagine di una forza che puntava ad un rovescia-mento sensato di prospettive, essendo Schulz un prodotto del burocratismo dell'Europar­la­mento, più esperto in negoziati di corridoio che non nell'elaborazione di visioni politiche innovative. In queste condizioni il candidato can­cel­liere socialdemocratico tutto poteva apparire tranne che una alternativa credibile alla cancelliera in carica, il cui peso nella politica europea era assolutamente evidente. Schulz e la Merkel ne erano entrambi consapevoli, tanto è vero che la campagna elettorale è stata considerata "noiosa" proprio perché nel confronto fra i due era difficile cogliere qualche scintilla di novità. Solo che la cancelliera poteva lasciare che si affermasse da sola l'evidenza del peso e dello spessore del suo ruolo, mentre lo sfidante, che non poteva ragionevolmente metterli in discussione (visto anche quel che aveva fatto a Bruxelles, dove aveva sostenuto di fatto una grande consociazione spartitoria fra Pse e Ppe), ha dovuto arrampicarsi sui vetri per costruirsi un'immagine diversa, ma perfettamente sovrapponibile a quella della famosa Mutti. > > > continua la lettura sul sito di mondoperaio

 

       

         

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

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Freschi di stampa, 1917-2017 (24)

 

E una ricca raccolta darà questa seminagione!

 

A tre anni passati dall'inizio della Grande guerra, Maksim Gor'kij pub­blica sull'ADL dell'8.9.1917 un testo – I pensieri intempestivi – che di seguito riproduciamo integralmente.

    «Parecchie diecine di milioni di uomini, robusti, sani, laboriosi, so­no tolti dalla grande opera della vita, dallo sviluppo delle forze pro­duttive della terra e sono mandati ad uccidersi gli uni contro gli altri.

    Rintanati nella terra, essi vivono sotto la pioggia e la neve, nel fan­go, nella strettezza, tormentati dalle malattie, divorati dai parassiti. Vivono come bestie, spiando gli uni gli altri per uccidere.

    Già è il terzo anno che noi viviamo nell'incubo sanguinoso e ci sia­mo imbestialiti, e siamo impazziti. L'arte eccita la sete di sangue, di massacro, di distruzione. La scienza, violata dal militarismo, serve ubbidiente allo sterminio di uomini.

    Questa guerra è il suicidio dell'Europa! Pensate. Quanto cervello sano, magnificamente organizzato, fu buttato sulla terra fangosa durante questa guerra! Quanti cuori sensibili si sono fermati!

 

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Maksim Gor'kij (a destra)

con Lev Tolstoj nel 1900

 

Questo insensato sterminio dell'uomo, da parte di un altro uomo, que­sta distruzione delle grandi opere dell'uomo non si limita alle perdite ma­teriali, no! Diecine di migliaia di soldati mutilati, per lungo tempo, fino alla morte, non dimenticheranno i loro nemici. Nei racconti sulla guerra essi trasmetteranno il loro odio ai figli, cresciuti sotto le im­pres­sioni dei tre anni di orrore quotidiano. In questi anni molto odio è seminato sulla terra e una ricca raccolta darà questa seminagione! E pe­rò da così lungo tempo ci si parlò con tanta eloquenza della fratel­lan­za degli uomini, dell'unità! Chi è colpevole del diabolico inganno, della creazione di questo caos di sangue?

    Non andiamo a cercare i colpevoli fuori di noi stessi, diciamo la ve­rità amara: tutti noi siamo colpevoli di questo delitto, tutti e ciascuno.

    Immaginate per un momento che viviamo nel mondo degli uomini savi, sinceramente preoccupati dalla buona organizzazione della loro vita, fiduciosi nelle loro forze creatrici; immaginate per esempio che a noi, russi, nell'interesse dello sviluppo della nostra industria fosse sta­to necessario scavare il canale Riga-Kherson, riunire il Baltico col Mar Nero, opera alla quale sognò già Pietro il Grande. Ed ecco, in­ve­ce di mandare al macello milioni di uomini, noi ne mandiamo una par­te soltanto a questo lavoro, necessario al paese, al popolo. Io sono si­curo che gli uomini uccisi in tre anni di guerra avrebbero potuto in que­sto periodo di tempo asciugare le migliaia di chilometri delle no­stre paludi, irrigare la Steppa della Fame e altri deserti, riunire i fiumi del Basso Ural colla Kama, costruire una strada attraverso il Caucaso e fare altri grandi lavori per il bene della nostra Patria.

 

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Maksim Gor'kij sull’ADL dell’8.9.1917:

«Disgraziati, abbiate compassione di voi!»

 

Ma noi distruggiamo milioni di vite ed enormi quantità di energie del lavoro per l'eccidio e lo sterminio.

    Si fabbricano masse enormi di esplosivi carissimi e distruggendo le migliaia di vite questi esplosivi si fondono senza traccia nell'aria. Dal proiettile scoppiato restano almeno i pezzi di metallo dai quali in se­gui­to, potremmo fare magari i chiodi; ma tutte queste meliniti, lidditi, dinitro-tolnoli mandano veramente in fumo e al vento la ricchezza del Paese.

    Non solo miliardi di rubli, ma milioni di vite umane insensatamente sono distrutte dal mostro dell'Avidità e della Stupidità.

    Quando vi penso, una fredda disperazione mi stringe il cuore e un folle grido vuole liberarsi dal petto:

     "Disgraziati, abbiate compassione di voi!"» (ADL 8.9.1917).

 

Maksim Gor'kij a parte, l'ADL apre sulle agitazioni operaie scoppiate a Torino il 23 agosto 1917: «Il proletariato ha dato una nuova formi­da­bile prova del suo odio alla guerra, della sua capacità rivoluzionaria. Come? Quando? Quali sono i dettagli? Non sappiamo. Sappiamo solo che la Cavalleria affrontò la folla per le vie; che il palazzo dell'As­so­ciazione Generale degli Operai, ove ha sede il Partito Socialista e la Camera del Lavoro è chiuso; che alla "FIAT", ove lavorano 80'000 operai metallurgici, il lavoro è stato abbandonato per cinque giorni; che il pane è mancato e manca tuttavia; che il questore è punito, che il prefetto è sospeso dalle sue funzioni; che l'allarme risuonante di paura passa dai giornali borghesi ai giornali pseudo-rivoluzionari, come il "Popolo d'Italia"» (ADL 8.9.1917).

    La sommossa di Torino scoppia spontaneamente e subito è schiac­ciata nel sangue, la capitale sabauda viene classificata "zona di guerra" e sottoposta a legge marziale: oltre cinquanta i morti, più di duecento i fe­ri­ti. Gli arresti indiscriminati di massa decapitano la se­zio­ne cittadina del PSI. La guida del partito torinese passa a un comitato di dodici com­pagni, tra cui anche Antonio Gramsci, esponente allora ven­tisei­en­ne del gruppo giovanile che venti mesi più tardi si cristal­liz­ze­rà – con Angelo Tasca, Umberto Terraccini e Palmiro Togliatti – nel­la reda­zio­ne de "L'Ordine Nuovo – Rassegna settimanale di cultura socialista".

    Papa Benedetto XV, in quell'estate infuocata, non fa nulla per na­scondere la propria empatia di fondo verso il popolo torinese, anche se socialista e anticlericale, vedendovi in ogni caso l'espressione di un comune sentire contro la guerra, "inutile strage". Ma l'accenno a sug­gello delle notizie sulla sommossa che l'editoriale dell'ADL fa al quo­ti­diano "Il Popolo d'Italia", fondato e diretto dal futuro duce del fa­sci­smo, prefigura già lo scontro che andrà consumandosi nel primo dopoguerra italiano tra i "Consigli operai" e la prima ondata di violen­za in camicia nera.

    L'atteggiamento papale si riallineerà a quello dell'establishment dopo lo scoppio della guerra civile tra "rossi" e bianchi" nella nascente Unio­ne Sovietica. La Chiesa cattolica manifesterà un favore crescente per le organizzazioni mussoliniane. E queste, osteggiate ai tempi dell'interven­ti­smo bellico, verranno ora invocate, invece, come risposta "provvi­den­zia­le" al bolscevismo.

    Il successo dei fascismi, dilaganti di lì in poi dall'Italia all'intera Eu­ro­pa, nasce da una potente convergenza d'interessi – politici, eco­nomi­ci e religiosi – postasi sotto l'egida delle "tempeste d'acciaio" e del loro connotato ideo­logico più ovvio ed esiziale: il nazionalismo. I regimi fascisti ne vor­ranno incarnare l'adattamento a un nuovo clima popu­li­stico che la mobilitazione generale delle masse in guerra ha ormai suscitato su tutto il con­ti­nente.

    Così, Mussolini potrà congegnare "da destra" uno stato sociale ca­pa­ce di offrire al popolo d'Italia le concessioni necessarie alla tenuta del sistema, concessioni che per l'establishment saranno accettabili, però, solo in un quadro autoritario, e tendenzialmente totalitario. Questo ap­parirà il regime più idoneo a garantire la sostanziale saldezza delle ge­rar­chie di censo e di potere lungo un percorso di perequazione minima con­trollata.

    Il fascismo, lo "stato sociale di destra", sarà la risposta totalitaria del­­l'Europa occidentale alla grande sfida dello "stato sociale di sinistra" che la Rivoluzione russa subito impersona nelle speranze dei popoli, anche se ben presto im­­boccherà a sua volta i tragitti del totalitarismo. Una terza variante del­lo "stato sociale", quella gloriosa, di matrice rooseveltiana, seguirà in­fine a partire dagli anni Trenta. Ma verrà poi tradita e rimossa dal pen­siero unico neo-liberista subito dopo la caduta dell'URSS.

(24. continua)

 

 

Nell'anno delle due rivoluzioni russe l'ADL di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad An­ge­li­ca Bala­banoff, fautrice de­gli stretti legami tra i so­cia­listi ita­liani e russi impe­gna­ti, insieme al PS svizzero, nella gran­de campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Con­fe­renza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

    

        

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

Allegato Rimosso
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