[Diritti] Foibe, esodo, nazionalismi



Domenica 7 febbraio
corteo antifascista
alle Vallette.

Appuntamento alle 17
in corso Cincinnato angolo corso Toscana

“Nazionalismo: cancro dei popoli”. Questo sarà uno degli striscioni del
corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe
per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena
ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti
ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno
hanno voluto fosse il culmine di una settimana di informazione e lotta. I
fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la
zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di
esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le
armi della retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei
profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il
1943 e il 1956.
Per gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere
al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le
proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male
profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad
ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e
“loro”. Chiunque essi siano.

Sino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle
foibe, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle
destre, che liquidavano le ultime convulse fasi della seconda guerra
mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei
confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle
zone.
Oggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle
popolazioni giuliano-dalmate fu scatenato «da un moto di odio e furia
sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto
nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una
pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della “giornata del
ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla
destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate
alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le
richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi
fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.
Il dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra
mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il
trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite dalla
conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento,
Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone
parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in
tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre
cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari
dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o
slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste
“italiana”. Una città poliglotta e vivace, stava smarrendo la propria
peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.
Il fascismo accentuò la repressione nei confronti delle popolazioni di
lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia
fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione
di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di
guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un
milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.
Nelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se
i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste.
Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo
erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità,
perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in
quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici
concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane
da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo
sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.

Più significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate.
Città come Pola e Zara persero oltre il 80% della popolazione. Accolti
bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio
altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga.
Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con
involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”. La radice del
male, oggi come allora, è nel nazionalismo che divide, separa, spezza.

A ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di
altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti
del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri,
all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.
Ricordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante
volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che
riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che
solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che,
ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una
nazione, di una frontiera fatta di nulla.

Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – riunioni – aperte agli interessati  – ogni giovedì alle 21

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