Fermare il treno dell’intolleranza, dell’odio e della vendetta contro l’altro



L'opinione di Renato Sacco (Pax Christi)

Se il treno parte...

14 dicembre 2011
 
Sono in treno, fermo alla stazione di Bologna, davanti a quella ferita nel muro che ricorda le vittime della strage del 2 agosto 1980. 
Come non pensare ad altre stragi e ad altre vittime? 
A Firenze, ieri, una strage razzista con due senegalesi uccisi e il suicidio dell’assassino.
A Torino, qualche giorno fa, il rogo del campo Rom, per vendicare uno stupro, mai esistito. Anche a Novi Ligure, nel febbraio 2001, stava partendo una fiaccolata contro gli Slavi, non dimentichiamolo. 
È bastata una bugia, amplificata dai mass media per scatenare la furia omicida e razzista. “Mette in fuga i due rom che violentano la sorella - Dieci minuti di terrore. Il fratello della ragazza ha sentito le grida ed è corso in suo aiuto. «Li ho fatti scappare - racconta. Li ho inseguiti per un tratto ma sono riusciti a fuggire scavalcando la recinzione della scuola Russell». Potresti riconoscerli? «Certo. Uno era alto e aveva i capelli a spazzola, indossava una felpa grigia. L’altro aveva una vistosa cicatrice in faccia». (La Stampa 10 dicembre 2011) 
19 anni fa ero sulla stesso treno che da Ancona mi riportava a casa, dopo essere rientrato, con don Tonino e gli altri 500, dalla marcia a Sarajevo, città chiusa in un terribile assedio da 9 mesi... In quella città, bevendo un thè al riparo dalle granate, un amico mi aveva detto: “La guerra è come un treno: quando parte non riesci più a fermarlo!”. 
Allora, nel dicembre 1992, mi sentivo molto segnato dalla tragedia di Sarajevo, ma anche convinto che qui da noi, in Italia, un treno come quello della Bosnia non sarebbe mai partito. Ora non ne sono così sicuro. Forse è il caso di fermarsi a riflettere su quello che succede, finchè siamo (se lo siamo) ancora in tempo. 
Credo sia un dovere di tutti, di ognuno! 
Della politica, preoccupata di altro, in questi tempi. 
Dei mezzi d’informazione che hanno una grossa responsabilità, sia nei casi ricordati in Italia, sia nelle guerre. La prima vittima della guerra è la verità. E chi veicola le bugie? La Stampa di Torino poi ha chiesto scusa per l’articolo sulla ragazza violentata, certo. Ma ormai era tardi... 
Credo sia un dovere anche della Chiesa tutta, non solo di chi è ritenuto professionista della carità, della solidarietà: associazioni e nomi famosi che rischiano di fare da paravento a una cultura razzista che piano piano cresce nell’animo delle persone e che dovrebbe essere motivo di riflessione negli incontri di catechismo, con i genitori, le famiglie, nelle lectio dei giovani. 
Per evitare che magari si faccia anche una bella veglia di preghiera o un bel presepe... ma poi non si accetta di riconoscere quel bambino che ha la pelle più scura e non ha una casa. E che anche in ambienti molto religiosi si sentano delle affermazioni razziste da far venire la pelle d’oca. Altro che poesia del Natale. 
Riusciremo a fermarlo questo treno dell’intolleranza, della violenza, della guerra, dell’odio e della vendetta contro l’altro, che sale dalla pancia, dalle viscere? 
Certo... una speranza viene proprio dalle donne di ‘Se non ora quando’. Loro no, non hanno invitato a raid punitivi contro gli uomini, contro i mariti o comunque i parenti, responsabili della gran parte delle violenze sulle donne. Ci hanno parlato di altre strade, nuove, liberatorie, non punitive. Forse da lì si può ripartire e, certo, sperare! 
Il treno riparte. Quella ferita resta lì nel muro a perenne memoria.

 don Renato Sacco

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