21 marzo: "Giornata mondiale contro qualsiasi forma di razzismo e di discriminazione" - LETTERA DAL FUTURO



21 marzo: "Giornata mondiale contro qualsiasi forma di razzismo e di discriminazione"

LETTERA DAL FUTURO

In tempi ormai lontani succedeva che se una sventura ci colpiva, davamo la colpa a demoni o stregoni. Ma siamo andati avanti. Progressivamente abbiamo acquisito nuove conoscenze e le credenze di una volta oggi ci appaiono quanto meno bizzarre. Quelle credenze spesso, però, erano causa di violente diatribe, se non di sanguinose guerre, tra diverse fazioni che si accusavano a vicenda. Oggi, alla luce delle conoscenze acquisite, quelle diatribe e quelle guerre ci appaiono in tutta la loro inutile stupidità e difficilmente potremmo immaginare noi stessi come facenti parte di una fazione o dell'altra senza apparire al nostro stesso sguardo come degli stolti. Il livello di conoscenza a cui siamo arrivati ci permette di affermare senza alcun dubbio che quelle antiche lotte, a cui oggi non parteciperemmo mai, erano alimentate da ingenue credenze basate su quello strano moto che spingeva i nostri avi a cercare i colpevoli delle proprie disgrazie.

E così si passava dai demoni e dagli stregoni ai nostri simili. Era sufficiente che parlassero un'altra lingua o che avessero il colore della pelle diverso dal nostro per individuare in essi i colpevoli delle nostre sciagure. Succedeva così che, mentre l'avanzamento della scienza ci permetteva di sconfiggere malattie incurabili e di volare fino a raggiungere altri pianeti, interi popoli, individuati come i colpevoli di turno delle nostre disgrazie, venivano massacrati e schiavizzati, mentendo dall'alba al tramonto, falsificando il nostro stesso pensiero, le nostre emozioni e le nostre azioni. Vennero alzati muri, vennero affondate navi, vennero chiuse le frontiere, vennero costruiti lager. Tutto quello che si poteva fare per perpetuare la menzogna fu fatto, con grande dispendio di risorse umane ed economiche.

Migliaia di anni erano passati da quei tempi ormai lontani in cui la colpa veniva data ai demoni o agli stregoni. Eppure l'antico moto di puntare il dito, di cercare i colpevoli delle nostre disgrazie, era sempre lì, sempre presente, attentando alla vita ad ogni passo, creando ad ogni passo sofferenza. Anche questo, alla luce della nostra conoscenza, ci appare oggi semplice preistoria. Evidentemente la sola scienza non bastava. La sola scienza non poteva essere conoscenza perché non era da sola sufficiente per imparare senza limiti.

Com'era possibile continuare a credere, dopo migliaia di anni, che per ogni evento della vita che non rispondesse alle nostre aspettative ci fossero sempre uno o più colpevoli che andavano scovati ed eliminati? Com'era possibile continuare a vivere nella menzogna che tutti i nostri problemi avevano come unica causa la diversità dell'altro? Un altro che aveva l'unica colpa di essere solo simile ma non uguale a noi.

Con un livello di conoscenza così limitato non si poteva più andare avanti, perché il superamento della nostra sofferenza era sempre indissolubilmente legato all'induzione della sofferenza in altri. Bisognava superare i limiti, guardare oltre i muri che avevamo costruito fuori e dentro di noi.

Allora successe una cosa straordinaria. Si aprì davanti a noi un paesaggio fino ad allora nascosto dalle menzogne in cui eravamo nati e cresciuti. Cominciavamo a conoscere il nostro paesaggio interno. Scoprimmo che in questo paesaggio c'erano tutte le nostre credenze. Ma la nostra meraviglia cominciò a trasformarsi in illuminante consapevolezza quando scoprimmo che in quel paesaggio non c'era solo ciò che credevamo delle cose, ma anche i nostri ricordi, le nostre emozioni, le nostre immagini. La consapevolezza si trasformò poi in lucidità quando scoprimmo che ciò che vedevamo fuori di noi passava attraverso il filtro di questo paesaggio interno.

La realtà era diventata quindi più ampia, perché non era solo mero paesaggio esterno, ma era il risultato di una visione in cui non c'era più un esterno e un interno, bensì una cosa sola in cui esterno ed interno si mischiavano indissolubilmente. Il risultato non era la semplice somma di due paesaggi, ma qualcosa di straordinario e unico, che potevamo chiamare "la realtà che costruisci". Una realtà che, quindi, non subivamo più come qualcosa di fronte alla quale potevamo solo reagire, ma una realtà che stavamo costruendo, perché essa era sempre il risultato di questa inevitabile fusione tra il paesaggio esterno e il nostro paesaggio interno.

Nulla quindi ci fu più totalmente estraneo e capimmo che se colpivamo un nostro simile stavamo colpendo anche noi stessi. Se trattavamo gli altri come oggetti senza intenzionalità, stavamo trattando anche noi stessi come degli oggetti. Allora capimmo che spesso la proiezione all'esterno delle nostre contraddizioni poteva provocare eventi da noi non voluti e che, quindi, non c'era nessuno da incolpare, ma c'era solo da lavorare per risolvere quelle contraddizioni. Allora capimmo che l'unica via per superare veramente la sofferenza era trattare gli altri come avremmo voluto essere trattati.
Allora imparammo senza limiti.
Allora amammo la realtà che stavamo costruendo.
Allora cominciò la storia.


Carlo Olivieri
umanista