senza parole: Diritti umani: Russia, Arabia Saudita, Pakistan Cina e Cuba nel Consiglio Onu



Diritti umani: Cina e Cuba nel Consiglio Onu
Eletti i membri del nuovo organismo che rimpiazza la vecchia Commissione. Critici gli Stati Uniti, riserve anche dall'Italia
 
La notizia cattiva è che a difendere i diritti umani nel mondo da ieri ci sono (tra gli altri) la Russia di Vladimir Putin, la Cuba di Fidel Castro, la Cina di Hu Jintao, l'Arabia Saudita dei principi del petrolio, il Pakistan di Pervez Musharraf. Regimi che in fatto di libertà e diritti hanno poco da raccontare ma che sono stati scelti dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per far parte dei 47 Paesi che formeranno il nuovo Consiglio dei Diritti Umani.
La notizia buona è che non sono riusciti a essere eletti l'Azerbaijan di Ilham Aliyev e soprattutto l'Iran di Mahmoud Ahmadinejad (ma nemmeno l'Iraq che si era candidato) e che altri violatori seriali della libertà — come Zimbabwe, Libia, Sudan, Siria — non hanno avuto la faccia di candidarsi, a differenza di quanto avevano fatto in passato con la screditatissima Commissione, della quale il Consiglio ha preso il posto dopo che è stata abolita nel corso del processo di riforma del Palazzo di Vetro.
A questo punto, il vero test sarà la prova del budino: vedere quanto è buono, come funziona il Consiglio una volta che sarà messo in tavola. Di sicuro, la partenza non è stata fulminante: è già appesantito sia nella reputazione sia nell'operatività dalla presenza di regimi totalitari che lo potrebbero usare più per difendersi dalle accuse di violazione che per proteggere i diritti umani. In più, gli Stati Uniti si erano opposti alla creazione del nuovo Consiglio, considerato ancora troppo numeroso, burocratico e non selettivo proprio in tema di diritti umani, quindi non hanno presentato la loro candidatura e guardano iper-critici. «Vogliamo una farfalla — aveva detto l'ambasciatore americano all'Onu John Bolton —. Non intendiamo mettere un rossetto a un bruco e chiamarlo un successo».
La stessa Italia, che pure in marzo ha accettato la riforma come tutta la Ue, ha riserve e non si è proposta per essere eletta. Numerosi gruppi della società civile impegnati sulla questione hanno invece salutato positivamente il nuovo Consiglio, soprattutto perché ha rotto il meccanismo della Commissione precedente, non solo popolata di dittature ma anche totalmente inefficiente, sostanzialmente inutile. Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch, ha ammesso che nel Consiglio «ci sono governi che non dovrebbero essere lì» ma ha apprezzato il fatto che molti dei Paesi che violano sistematicamente i diritti umani non si siano candidati. In più, si aspetta un Consiglio più efficace e più duro nella difesa dei diritti.
L'organizzazione Reporter Senza Frontiere è invece estremamente critica. Gli Stati Uniti avrebbero voluto un Consiglio molto più piccolo e meno burocratico di quello adottato, che ha ridotto solo a 47 i 53 membri che facevano parte della Commissione precedente. In più, avrebbero voluto che i membri fossero eletti da due terzi dell'Assemblea sulla base delle loro credenziali in fatto di diritti umani. Invece, il sistema è aperto a tutti i 191 Paesi dell'Onu e non ha alcuna restrizione se non quella delle quote regionali di appartenenza.
E anche sulle quote Washington è stata critica: l'area con i migliori diritti umani — l'Occidente — ha per esempio solo sette seggi contro i 13 ciascuno di Africa e Asia, gli otto dell'America Latina e i sei dell'Europa dell'Est (che ieri è riuscita a eleggerne solo tre). Alcuni miglioramenti, rispetto al passato, sono stati in realtà introdotti, come la possibilità di espellere a maggioranza di due terzi dell'Assemblea Generale un membro del Consiglio sorpreso a violare i diritti umani. Ma l'Amministrazione Bush li ha ritenuti del tutto insufficienti e ha scelto di stare a guardare.
Il risultato della votazione di ieri non migliora le cose, per Washington. In particolare, l'elezione della Cina innervosisce il Congresso, dove la cosiddetta Un-land — cioè il Palazzo di Vetro — è sempre meno amata. Nel programma presentato a sostegno della sua candidatura, Pechino ha promesso che si impegnerà per evitare l'«errore» di permettere che il Consiglio emetta «risoluzioni specifiche per Paese»: vuole cioè che di diritti umani si parli solo come fatto generale e accademico. Un'impostazione che, se passasse, zittirebbe di fatto il Consiglio e provocherebbe onde alte a Washington. Il problema per il presidente Bush e per il suo ambasciatore Bolton è che la famosa riforma complessiva dell'Onu sta producendo poco. Sull'ampliamento del Consiglio di Sicurezza non si è fatto nulla. Sui diritti umani si è visto. La riforma del sistema manageriale dell'Organizzazione è stata fatta deragliare la settimana scorsa dal G77, cioè i Paesi in via di sviluppo sostenuti dalla Cina. Chi, nella capitale americana, pensa che le Nazioni Unite siano irriformabili ha nuovi argomenti.
Danilo Taino
10 maggio 2006