perchè l'11-02 torneremo in piazza



Mutande parlanti unite nella lotta

Il 14 gennaio è una data da segnare nel nostro diario: dopo la sconfitta
referendaria di giugno le donne hanno finalmente sentito un desiderio
irrefrenabile di scendere in piazza.
I temi toccati dall'agenda istituzionale e la scottante attualità delle
pratiche tecnopolitiche che si esercitano quotidianamente sui corpi delle
donne hanno spinto donne e uomini consapevoli a riconquistare una
visibilità pubblica che negli ultimi anni era stata intermittente.
Ora c'è da pensare al futuro, al dopodomani che comincia adesso e ci
appartiene: vogliamo segnare sul nostro diario anche l'11 febbraio della
Breccia di Roma e dell'interruzione volontaria del Silenzio di Napoli, per
rilanciare e alzare la posta in gioco.
Non è cosa da poco, visto il soffocante clima politico che ci tocca respirare.
Ci aspettiamo da chi vorrebbe rappresentarci che dichiari di abbandonare
ogni pretesa prescrittiva sui corpi delle donne e si assuma la
responsabilità e si prenda l'impegno di non indurre e non cadere nella
tentazione di leggi etiche. In ogni caso qualunque governo ci aspetti non
(ri)entreremo nel silenzio di nessuna casa, nemmeno di quelle che sembrano
più accoglienti e rassicuranti.
La maggior parte delle donne e degli uomini politici ammicca e compiace le
gerarchie ecclesiastiche e non pare così turbata dalla continua prassi di
scambi politici sui corpi delle donne.
L'autodeterminazione, intesa come spazio di auto-nomia dei corpi e delle
diverse sessualità, e il riconoscimento della libertà, per tutti gli
infiniti generi, di disertare l'istituzione matrimoniale sperimentando
modelli alternativi di relazione, sono due questioni sulle quali per
definizione non si può affatto delegare.
E' questa la ragione sociale del movimento delle donne e del movimento
glbt(q)(z).
Dire basta, una volta per tutte, all'imposizione di morali univoche nelle
scelte individuali, ai tentativi di sottrarre alle donne (e agli uomini) il
potere sul proprio corpo, di disciplinarci attraverso una norma sessuale,
riproduttiva e produttiva.
La società dello spettacolo e della precarietà cerca di addomesticare le
donne che non intendono ricoprire i ruoli scelti da altri, stringendole
nell'abbraccio mortale tra l'immagine della donna-perfetta
madre-moglie-manager e la coreografica donna-velina, che se parlasse
diventerebbe pericolosa anche lei. Ma dal silenzio si esce davvero provando
ad allargare l'orizzonte della comunicazione ed è possibile farlo giocando
con le parole, inventando un nuovo vocabolario, senza abusare di termini o
slogan che hanno avuto fortuna in passato ma che ora hanno bisogno di
essere rimodulati.
Siamo alla ricerca di una politica radicale della parodia capace di mettere
in scacco l'opposizione violenza/nonviolenza.
A chi vuole impropriamente strumentalizzare il corpo delle donne, i suoi
molteplici significati e piani di espressione, banalizzando le scelte che
stanno dietro all'aborto o alla fecondazione assistita, rappresentandoli
come melodrammi in cui il protagonista di tutte le inquadrature è un feto
che galleggia nel vuoto, noi vogliamo rispondere con l'uso in proprio del
desiderio, dell'immaginario e della materialità del corpo.
Da qui nasce l'idea della campagna uso improprio, improprio rispetto a
tutte le norme e al tentativo di rappresentare una molteplicità
irrapresentabile.
Il 14 gennaio abbiamo scelto un triangolo di stoffa per sottolineare
l'ambigua centralità di un oscuro oggetto del desiderio sul quale
confliggono l'ansia della norma e la volontà di libera auto-gestione.
Mutande parlanti, mutande che parlano per noi: se i nostri corpi vengono
isolati dalle nostre soggettività e fatti a pezzi facciamo un uso improprio
di questa frammentazione per agire la nostra interezza. Se proprio dovete
rappresentare la parte per il tutto - il feto per la madre, i genitali per
il sesso, il sesso per l'amore - almeno lasciateci libere di nominarla e
viverla ognuna in proprio.
Un desiderio che crediamo sia condiviso anche da chi non partecipa alla
piazza per noia, distrazione, incoscienza o disperazione. Per questo
invitiamo tutte e tutti ad indossare mutande parlanti come segno di
riconoscimento, per farne un lascia passare che si intrufola ovunque,
provando a superare la pesantezza e i limiti dei linguaggi e delle pratiche
politiche tradizionali. Per questo continueremo ad indossarle e a
disseminarle l'11 febbraio a Roma e a Napoli.

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