Russo Spena. Antimafia: Perche' critichiamo la relazione di maggioranza



Antimafia: Perche' critichiamo la relazione di maggioranza





Articolo di Giovanni Russo Spena su Liberazione

Sono sempre stato propenso a ritenere che la relazione conclusiva debba
rispondere per
lo meno a tre precise istanze: un bilancio, innanzitutto, del lavoro fatto
collegialmente, come luogo di discussione, incontro, operativita'; in secondo
luogo la elaborazione di proposte normative al Parlamento (ricordo la famosa
commissione bicamerale stragi che enucle il reato di depistaggio di
funzionari dello Stato; potrei ricordare la morfologia della borghesia
mafiosa che individuammo nella relazione della Commissione Peppino
Impastato); in terzo luogo la capacita' di un contributo analitico, un passo
avanti nella ricerca, nello scavo, nellindagine di fenomeni sempre piu'
complessi ed articolati. In questo senso la relazione Centaro non una
relazione; un insieme copiosissimo di pagine, pezzi messi insieme
apparentemente alla rinfusa. Le manca un 'anima, una chiave di lettura, una
grammatica interpretativa. Ci tanto pi grave perche' siamo in una fase di
transizione globale dei fenomeni mafiosi, dell'intreccio tra economia legale
ed illegale. Lo sforzo di ricerca deve essere, quindi, incessante, infinito.
La relazione Centaro, nel migliore dei casi, un ponderoso rapporto del
ministero dell'Interno; nel peggiore dei casi uno scritto propagandistico
dell attivita' di un governo che, invece, in primo luogo, ha voluto leggi
sbagliate che hanno favorito le mafie, come il cosiddetto scudo fiscale, o
la legge obiettivo e tutte le norme di liberalizzazione rispetto ad ogni
vincolo, regola, controllo nellesecuzione delle opere pubbliche cos come
nella circolazione dei capitali; in secondo luogo ha esortato, nei fatti, i
cittadini a convivere con le mafie, stemperando e sfibrando ogni clima di
tensione, contenendo e condizionando la cultura diffusa della legalita'.
Abbiamo vissuto, insomma, in questi anni, una operazione sofisticata da
parte della maggioranza, che chiamerei di dissolvenza delle mafie. Il
governo ha imposto, come priorita', una visione esasperata e sicuritaria
della lotta alla criminalita' minore sul territorio, organizzando
demagogicamente le pulsioni di insicurezza e paura delle persone (come se i
termini sicurezza e democrazia fossero scissi), rendendo residuale il
contrasto alle mafie, inteso soprattutto come contrasto al rapporto tra
economia legale ed illegale. Scompare, in tal modo, nellanalisi, proprio il
paradigma del blocco di
potere politico-mafioso, sempre coerente nelladattarsi al mutare delle
circostanze. Vengono, in effetti, negati i rapporti organici tra mafia e
politica e tra mafia ed economia. , in questo senso, clamorosa l'assenza,
nella relazione, del processo Dell'Utri (una condanna in primo grado di un
importante esponente politico) cosi' come di una valutazione attenta della
vicenda di governo nella regione Sicilia, che vede il coinvolgimento del
presidente Cuffaro, apice dell'esecutivo regionale. Viene, cio', compiuta
una operazione mimetica: la mafia viene trasformata in una banda di meri
terroristi, in un esercito (poiche' oggi spara meno, perche' si inabissata
per ricontrattare i rapporti di potere, non esiste pi).Secondo il governo,
i rapporti tra mafia e politica riguardano situazioni regionali, episodi
spesso isolati, fuori da un contesto nazionale ed
internazionale. Sostengo il contrario: il rafforzarsi della borghesia
mafiosa ha reso ancora piu' stretto il nesso tra mafia e politica; mutata,
infatti, la morfologia stessa delle mafie; e spesso, ormai, come nel caso
Sicilia, la mafia si autorappresenta in politica, eliminando anche la
mediazione esistente allepoca del blocco di potere democristiano. Il
rapporto mafia/politica non residuale, non uninvenzione del demone
bolscevico: cresce, oggi, l'intreccio tra apparato militare, politico,
amministrativo, finanziario. proprio questo intreccio, che alla base
della formazione della borghesia mafiosa, il tema dominante, l'anima,
della relazione alternativa delle forze dellUnione, frutto di competenze,
professionalita', sapere collettivo di consulenti, operatori,
associazionismo. Mettiamo a fuoco un punto fondamentale: il nesso tra mafia
e modello di sviluppo. Cosa si nasconde, spesso, dietro privatizzazioni,
esternalizzazione, liberalizzazioni? E dietro precarizzazioni, condoni,
liberalizzazioni da tanti vincoli urbanistici, territoriali, dietro
l'abbattimento del sistema delle regole? Il famigerato convivere con la
mafia del ministro Lunardi non nasceva solo da un incauta aberrazione
soggettiva ma da una idea strutturale di sviluppo, del Mezzogiorno come
zona franca, che allude direttamente ad una convivenza tra democrazia
autoritaria e presenza fisiologica e normale delle mafie dentro i processi
di accumulazione ed i percorsi di valorizzazione del capitale. In questo
senso anche la Confindustria, in Sicilia ma non solo, finisce con lessere
coinvolta, perch il modello mafioso diventa componente essenziale del
contemporaneo modello economico liberista.
Credo che vi sia una nuova frontiera di lotta alle mafie, che hanno
accresciuto presenza e potenza proprio dentro la globalizzazione liberista.
Penso alle transazioni internazionali; alle leggi che hanno abbattuto
qualsiasi controllo sulla circolazione dei capitali; penso alle leggi
berlusconiane sul falso in bilancio, sullo scudo fiscale; penso allo
smantellamento di ogni possibilita' di controllo delle imprese ad incastro
ed ai meccanismi dei paradisi fiscali, anche europei. Il grande tema,
insomma, che ci viene sottoposto perfino dai rapporti della Guardia di
Finanza, questo: il confine tra economia legale ed illegale sempre piu'
labile ed incerto; la novita' degli ultimi dieci anni che esistono veri e
propri scambi di servizi tra circuito legale ed illegale (basti pensare al
traffico darmi, al riciclaggio del denaro attraverso servizi finanziari,
allo smaltimento di rifiuti di imprese regolari, che diventa, poi,
crescente profitto per le ecomafie). Le mafie si sconfiggono innervando il
territorio di presidi democratici. Le mafie si sconfiggono attaccandone
beni, ricchezze, profitti, processi di accumulazione.
Per questo Libera (di cui mi sento parte) non allude ad un impegno
astratto, ma alla costruzione di percorsi di legalita', di una militanza
antimafiosa di massa che individua un nuovo spazio pubblico, una vera e
propria nuova polis. lantimafia della contemporaneita'. Libera ha
dimostrato che confiscare i beni, le ricchezze delle mafie possibile,
reale. Che cosa vi e' di piu' importante, sul piano dell' antimafia sociale
del lavoro delle cooperative che lavorano la terra confiscata ai mafiosi,
producono olio, vino, legumi, che hanno il sapore della indignazione, della
ribellione, delle liberta'. Ma l'anno scorso il governo di centrodestra, non
a caso, ha deciso di chiudere lufficio del commissario straordinario per i
beni confiscati; la legge sui beni confiscati (che Libera ha conquistato)
dopo anni di esperienze importanti, deve essere migliorata; ma il governo
vuole peggiorarla e, di fatto, neutralizzarne gli effetti piu' dirompenti per
la mafia. Il nostro impegno sara' determinante e costante.
Giovanni Russo Spena

18/1/06