La "carta della pace" di Bouteflika è in realtà un golpe istituzionale



La “carta della pace” di Bouteflika è in realtà un golpe istituzionale
Oggi si vota per la “riconciliazione” della nazione. Ma il capo dello Stato mira a un accentramento dittatoriale di poteri
Roma. La Vecchia Europa, Francia in testa, vede in questi giorni maturare i frutti avvelenati della sua strategia di contrasto al terrorismo islamico, concretizzata in un appoggio incondizionato al governo algerino. Questa strategia è iniziata nel 1991 con l’annullamento delle prime elezioni democratiche (vinte dagli islamici), che ha innescato una guerra civile con ben 200 mila morti: è un modo di operare contrapposto a quello adottato dalla “Coalition of the willing” in Iraq. Così, mentre il governo di Baghdad, democraticamente eletto, chiama al voto per l’approvazione di una Costituzione liberale e democratica, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika (eletto con un voto non democratico con l’83,9 per cento dei suffragi) chiama gli algerini a un referendum sulla “Carta per la riconciliazione nazionale”, in un contesto in cui il terrorismo islamico non è stato sconfitto, ma cronicizzato: 44 morti nel settembre 2005 e una media di 400-500 persone uccise l’anno.
La Carta dovrebbe limitarsi a delineare la strada per la pacificazione, ma in realtà sancisce un golpe istituzionale. Il suo dispositivo legislativo centrale, infatti, assegna al presidente della Repubblica poteri monocratici assoluti e dittatoriali senza che l’elettore ne sia informato, perché la scheda non riporta il testo della Carta, ma soltanto il titolo. Il suo dispositivo legislativo stabilisce che “il popolo algerino dà mandato al presidente della Repubblica di adottare tutte le misure atte a concretizzare le disposizioni”. Viene così assegnato a Bouteflika, in termini giuridici e politici, un potere tirannico che gli permette di legiferare motu proprio, evitando Parlamento e Corte costituzionale sull’intero campo delle libertà civili. Questo “golpe referendario” è denunciato con forza dalle organizzazioni algerine di difesa dei diritti dell’uomo, dalle forze d’opposizione, a partire dal Fronte des forces socialistes (Ffs) di Hocine Aït Ahmed, il Rassemblement pour la culture (Rcd) di Saïd Sadi e dalle famiglie dei “desaparecidos”, che chiamano al boicottaggio del voto. La loro previsione è che, abrogata per via referendaria anche la forma dei poteri del Parlamento (in un regime controllato in realtà dai generali) sui temi cruciali delle libertà individuali, Bouteflika intenda passare a una modifica costituzionale autoritaria che gli permetta di prolungare all’infinito il suo mandato.

Il paragone con Baghdad
Tra le ragioni del boicottaggio chiesto dalle forze di opposizione vi è anche lo scandalo di un meccanismo di “pacificazione” che copre le responsabilità del regime algerino nella conduzione della guerra civile, in cui ha agito con straordinaria ferocia. Tale comportamento è stato sempre tollerato e mai denunciato dalla Vecchia Europa, pur avendo raggiunto tali vette di crudeltà che il 31 marzo 2005 lo stesso Faruk Ksentini, presidente della Commissione per la promozione dei diritti dell’uomo voluta da Bouteflika, è stato costretto a dichiarare che le forze di sicurezza algerine avevano eliminato – “non sappiamo se sono vivi, sappiamo solo che sono scomparsi” – 6.146 avversari. Secondo Amnesty International e le associazioni delle famiglie, i “desaparecidos” a opera del governo (ci sono poi anche le sparizioni a opera dei terroristi) sono in realtà 18 mila. Al riguardo, però, la Carta prevede una disposizione che “respinge ogni contestazione mirante ad addossare allo Stato la responsabilità” degli omicidi illegali, avallando la tesi ufficiale che gli assassini “hanno agito a titolo personale e non su ordine del governo o dell’esercito”.
Per sottolineare ancora di più la natura autoritaria del provvedimento, il 25 settembre Bouteflika si è rimangiato la sua stessa proposta di riconoscere alla lingua tamazight dei berberi della Cabilia – che da anni chiedono l’autonomia e sono repressi nel sangue – lo status di lingua ufficiale accanto all’arabo, affermando che “non c’è alcun paese al mondo che abbia due lingue ufficiali e l’Algeria non sarà il primo”.
Molti governi, invece, offrono questa possibilità e proprio a Baghdad la Costituzione sottoposta al voto di questi giorni riconosce al curdo questo status. Il parallelo con l’Iraq è spesso evocato dai dirigenti algerini per contrapporre la propria strada di “pacificazione” a quella in corso a Baghdad. Il ministro algerino per la Cultura, Khalida al Messaoudi, sostiene: “Il terrorismo si è aggravato in seguito alla guerra in Iraq, gli Stati Uniti sono scesi in guerra per mettere le mani sul petrolio e governare il Golfo e il loro intervento ha completamente sfasciato lo Stato iracheno”.