In Italia dall'India, ospite di Amnesty International, Rashida Bee, leader del movimento che lotta per ottenere giustizia per la strage di Bhopal del 1984



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COMUNICATO STAMPA
CS55-2005

IN ITALIA DALL'INDIA, OSPITE DI AMNESTY INTERNATIONAL, RASHIDA BEE, LEADER
DEL MOVIMENTO CHE LOTTA PER OTTENERE GIUSTIZIA PER LA STRAGE DI BHOPAL DEL
1984

A venti anni di distanza da uno dei peggiori disastri industriali del XX
secolo, migliaia di sopravvissuti alla strage di Bhopal, India, stanno
ancora lottando per ottenere giustizia e un risarcimento equo. Rashida
Bee, 46 anni, tra i principali protagonisti di questa lotta, interverra'
sabato 23 aprile all'Assemblea Generale della Sezione Italiana di Amnesty
International (Torre Pedrera, Rimini).

Nel dicembre 1984, una fuoriuscita di gas da uno stabilimento industriale
di Bhopal causo' la morte immediata di 7.000 persone. Altre 15.000 persone
sono decedute negli anni successivi. Almeno 100.000 sopravvissuti
continuano a pagare le conseguenze dell'esposizione al gas: tumore ai
polmoni e alla cervice, malattie respiratorie, ansia e depressione. La
stessa Rashida Bee ha perso cinque familiari, colpiti dal cancro, e'
parzialmente cieca e necessita di continue cure mediche.

A Bhopal Rashida Bee e' diventata una leggenda da quando anni fa guido'
una marcia di centinaia di donne, durata un mese intero, verso Nuova
Delhi, capitale dell'India.

Rashida Bee incontrera' la stampa, insieme al presidente di Amnesty
Italia, Marco Bertotto, sabato 23 alle ore 11 presso l'Hotel Punta Nord di
Torre Pedrera (via Tolemaide, 4). Rashida Bee rimarra' disponibile per
interviste per tutta la giornata di sabato 23.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 19 aprile 2005

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste (*):
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224, cell. 348-6974361, e-mail: press at amnesty.it

(*solo il 23 aprile: tel. 0541 720227; cell. 348 6976920)


Ulteriori informazioni su Bhopal

Dopo venti anni, l'impianto di Bhopal continua a rovinare la vita delle
comunita' che vivono nella zona e a colpire gravemente ? attraverso le
infiltrazioni e la contaminazione dell'ambiente ? i diritti umani
fondamentali. Amnesty International denuncia come le aziende e i governi
stiano aggirando i propri obblighi sui diritti umani e sottolinea la
necessita' di standard universali sui diritti umani per le imprese.

Una generazione dopo, i sopravvissuti stanno ancora attendendo un
risarcimento equo e cure mediche adeguate. La UCC e la DOW, che si e' fusa
con la UCC nel 2001, non hanno ancora bonificato il sito ne' arrestato
l'inquinamento che si e' prodotto con l'apertura dell'impianto negli anni
'70; la popolazione locale continua ad ammalarsi a causa dell'acqua
contaminata.

L'effetto del perdurante inquinamento puo' essere constatato sui nuovi
arrivati a Bhopal, che non furono esposti alla originaria fuga di gas.
Shehesta Kureishi ha 35 anni e da dodici si e' trasferita nella zona: 'Due
anni e mezzo fa il mio ciclo mestruale si e' interrotto definitivamente,
ho dolori all'inguine e alla schiena' ? ha dichiarato ad Amnesty
International. Suo figlio Ateeb soffre di dolori alle articolazioni.
Entrambi hanno bevuto acqua contaminata.

Gli studi medici sull'effetto della fuga di gas e dell'inquinamento sono
tuttora scarsi; cio' significa che l'impatto complessivo della
contaminazione e' ancora sconosciuto. Il governo indiano deve impedire
ulteriori danni alla salute della popolazione, da un lato garantendo che
la DOW bonifichi il sito e risarcisca pienamente le vittime e dall'altro
realizzando un'analisi approfondita dell'impatto sulla salute e
sull'ambiente.

Incredibilmente, nessuno e' stato chiamato a rispondere sul piano
giudiziario per la fuga di gas tossici e le sue devastanti conseguenze:
almeno 20.000 morti e almeno 100.000 persone con danni permanenti alla
salute. La DOW e la UCC negano entrambe ogni responsabilita' legale. La
UCC si e' rifiutata di comparire di fronte ai tribunali indiani e ha
tentato di scaricare la colpa sulla Union Carbide India Ltd. (UCIL),
affermando di non avere il controllo sulle sue filiali indiane. In
realta', la UCC possedeva il 50,9% della UCIL e manteneva un alto livello
di controllo aziendale, manageriale, tecnico e operativo, dunque era in
grado di prevenire il disastro.

L'UCC fu responsabile di una serie notevole di fallimenti nel periodo che
precedette la fuga di gas. Bhopal e' l'esempio di come alcune aziende
possono evadere i propri obblighi in materia di diritti umani. Per questo,
e' veramente necessario adottare standard universali sui diritti umani per
le imprese. Le Norme delle Nazioni Unite per le imprese, adottate
nell'agosto 2003, sono un importante passo in questa direzione, ma per
chiamare le imprese a rispondere in giudizio del proprio operato e
impedire altri disastri come quello di Bhopal, e' indispensabile avere
degli standard applicabili per ottenere il risarcimento delle vittime.

Un rapporto diffuso da Amnesty International nel novembre 2004 denuncia
che:
- la UCC ammasso' una grande quantita' di materiali chimici estremamente
pericolosi, non istitui' un piano di emergenza per la popolazione locale,
ignoro' gli avvertimenti sul rischio di una reazione chimica simile a
quella che causo' la contaminazione e occulto' informazioni fondamentali
per il trattamento medico delle vittime;
- le autorita' indiane non hanno protetto adeguatamente i propri cittadini
sia prima che dopo il disastro; esse sapevano che l'impianto utilizzava
sostanze chimiche pericolose, tuttavia Amnesty International non ha
rintracciato alcuna prova che le autorita' federali o locali avessero
preso misure adeguate per valutare i rischi cui era soggetta la
popolazione. Inoltre, senza consultare le vittime, il governo indiano ha
approvato un modesto compromesso finanziario con la UCC esonerando
quest'ultima da ogni responsabilita' legale;
- c'e' stata una violazione dei diritti umani di massa, compresi il
diritto alla vita e quello alla salute.

Le conseguenze della contaminazione e l'inadeguatezza dei risarcimenti,
insieme ad altri fallimenti del governo, si avvertono ogni giorno sulla
pelle dei sopravvissuti. Molti di essi non riescono a guadagnarsi da
vivere, ad avere una famiglia o persino a procurarsi i medicinali. Partati
Bai, 70 anni, e' ammalata e troppo debole per lavorare. Suo marito e'
morto pochi mesi fa a causa della contaminazione. La sua unica fonte di
reddito e' la pensione di 150 rupie (2,56 euro) al mese.

Amnesty International ha avviato una campagna mondiale per sollecitare la
DOW a bonificare il sito.



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