[Diritti] Viva me!



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 28 settembre 2017

    

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Felicia Simion, Your Shot

 

IPSE DIXIT

 

Viva me! - «La causa principale di questi fallimenti è dovuta all'ege­mo­nia assunta dal discorso economico che ha com­ple­tamente sop­pian­tato il discorso politico, al punto che chi osava criticare l'attuale stato di cose in nome di una teoria passava per un residuo del passato… Ma alcuni segni inducono a pensare che questo "pensiero unico", econo­mi­ci­stico, tenda a scontrarsi sempre più con la necessità dell'Occidente di continuare ad esistere. Ma perché ciò sia possibile oc­corre una rivo­lu­zio­ne culturale che muti radicalmente il nostro stile di vi­ta. Fintanto che si spacciano per "valori democratici" il consumismo, l'edonismo, la distruzione del sistema scientifico-professionale, l'eli­mi­na­zione di ogni differenza… non c'è da meravigliarsi che trionfino l'igno­ranza e un ribellismo opportunistico ed egoistico, che qualcuno ha ben sintetizzato nella frase "Viva me! Abbasso gli altri!"». – Mario Perniola

 

         

Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24).

    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da 120 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

   

     

EDITORIALE

 

Cosa ci stiamo a fare qui,

nelle nostre cancellerie?

 

di Andrea Ermano

 

C'è la crisi dello Stato nazionale europeo e l'Europa stenta a decollare. Il Portogallo ha un governo di minoranza, lo stesso vale grosso modo per l'Italia, i governi spagnolo e britannico si reggono su maggioranze risicate. E adesso anche la Germania barcolla. Dov'è, dunque, la fa­mo­sa leadership per l'Europa? Tonnellate di carta stampata. Prodi e Blair, Sarkozy e Brelusconi, Renzi e Merkel: di tutto ciò non rimane molto.

    E Macron? Martedì scorso il presidente della République ha tenuto alla Sorbona un lungo discorso europeista, con accorato appello a istituire l'esercito comune, il coordinamento antiterrorismo, un bilancio comune, un Ministero delle finanze comune e l'elezione condivisa di un settore del Parlamento europeo a partire dai 73 seggi che non verranno più attribuiti alla Gran Bretagna nel 2019, dopo la brexit.

    Pare che il discorso di Macron sia risultato assai indigesto a Berlino, un discorso di cui si dice siano state rimaneggiate tra domenica notte e martedì mattina intere parti in seguito ai risultati delle elezioni in Germania: forse, dunque, un discorso un po' improvvisato e approssimato.

 

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Il presidente Macron alla Sorbona

 

D'altro canto, l'ossessione ordoliberista in forza della quale la Germania ha destabilizzato l'intero continente, si è ritorta a boomerang sugli equilibri politici tedeschi.

    Ovviamente, anche stavolta la grave perdita di cinque punti percentuali da parte della SPD è commentata come prova definitiva della fine ultra-terminale del socialismo europeo e della sinistra in genere. I nove punti persi dalla CDU-CSU danno, invece, adito a titoli tipo: "Vittoria della Merkel in Germania"… Vabbè.

    Alla diagnosi sulla sinistra si associa "il manifesto", quotidiano comunista per il quale la socialdemocrazia dovrebbe adesso revocare il congresso di Bad Godesberg, ritornando decisamente al marxismo. E perché no? Studiare Marx è buona cosa, trattandosi pur sempre di uno tra i più influenti pensatori della storia umana. Ma cerchiamo per una volta di essere onesti, come dice Yuval Harari: Che cosa studierebbe Marx stesso, oggi? Certo non si occuperebbe di scolastica, neo-scolastica e ortodossia, ma di problemi reali.

    Perché è vero che l'ormai consueta lotta di classe "dall'alto" che continua a trasferire ricchezza in sempre meno mani è una concausa conclamata della deriva populista in atto. Ed è vero che la finanziarizzazione del capitale tende «a scontrarsi sempre più con la necessità dell'Occidente di continuare ad esistere», come diagnostica il filosofo Mario Perniola. Mentre di contro «si spacciano per "valori democratici" il consumismo, l'edonismo, la distruzione del sistema scientifico-professionale, l'eliminazione di ogni differenza», sicché trionfano «l'ignoranza e un ribellismo opportunistico ed egoistico, che qualcuno ha ben sintetizzato nella frase "Viva me! Abbasso gli altri!"». Contro tutto ciò è giusto manifestare, protestare e cantare Red Flag.

 

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Il leader laburista Corbyn canta Red Flag

(fotonotizia del Daily Mirror )

 

Ma continuiamo lo sforzo di onestà intellettuale. Perché oltre alla crisi del Finanzkapital – che marxianamente si ripete a cicli, e che stavolta ha portato alla crisi dello Stato europeo moderno – oltre e dietro a ciò, in realtà, s'intravede ormai un'intera sequela di crisi ulteriori. Quella ambientale, anzitutto. E poi ancora le conseguenze migratorie e strategiche da essa derivanti. E poi ancora la caduta tendenziale della produttività umana in rapporto con l'ascesa produttiva dell'algoritmica e della robotica. E poi infine la transizione post-umana verso forme di vita sempre più caratterizzate da ingredienze bio-ingegneristiche e bio-informatiche.

    Se questi processi rimarranno sgovernati, non sarà un bello spettacolo sul pianeta Terra tra un po'. E non stiamo parlando di prospettive millenarie, ma di un centinaio di anni circa, durante i quali queste grandi ondate critiche verrebbero ad accavallarsi e ad avvicendarsi.    

    Così, nell'insicurezza dei popoli si mescola confusamente, ma inevitabilmente, una qualche consapevolezza di questa prospettiva. Perciò non ha torto Giorgio Agamben quando, a fronte dello stato di eccezione globale a venire, dice che i primi a non essere convinti della propria legittimità sono i governanti stessi. Si domanderanno, infatti: Se non abbiamo la benché minima idea di come governare i processi reali, che cosa ci stiamo a fare qui, nelle nostre cancellerie?

    Non ci sono governi, non ci sono statisti, non ci sono leadership, né Parlamenti né Stati, non c'è tout court la Politica, se manca una comprensione politica di questo orizzonte.

    In conclusione, Dio è morto e anche la sinistra europea si sente poco bene. Resta, però, il fatto che solo la via della soli­da­rie­tà e del dialogo può aiutarci realmente. E non sembri ingenuo dirlo. Per­ché solo una "umanità nuova" può affrontare i problemi esiziali, apparentemente insolubili, che l'umanità causa e somministra a se stes­sa medesima. Da ciò dipende, in fondo, la possibilità della Politica.

 

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Carlo Marx in una celebre

copertina di Der Spiegel

      

     

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Votare a 18 anni per il Senato.

 

I 945 parlamentari di questa legislatura sono ancora in tempo a fare la più grande riforma elettorale con il più piccolo intervento: scri­ven­do “diciottesimo” invece di “venticinquesimo” nell’articolo 58 della costituzione.

 

di Marco Morosini

 

“I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età.” Ancora oggi, dopo 70 anni di Repubblica, i pieni diritti elettorali sono negati in Italia a quat­tro milioni e mezzo di cittadini, quelli che, hanno tra i 18 e i 24 anni di età e che  non possono eleggere i senatori. L’Italia è quindi l’unico Paese al mondo nel quale solo la parte più anziana della popolazione elegge metà del Parlamento e quindi determina il Governo (che non può essere in carica senza la fiducia del Senato).  Quasi ovunque nel mondo, invece, si eleggono i parlamenti da quando si compiono 18 anni. Inoltre in 11 Paesi 300 milioni di cittadini votano già dall’età di 16 o 17 anni, mentre in 16 Paesi si vota dai 19, 20 o 21 anni.

    Lo sbarramento del “venticinquesimo anno” è ingiusto, diseducativo e dannoso. È ingiusto perché nega i pieni diritti civili proprio a quei milioni di giovani che più patiscono le conseguenze di un sistema politico e economico dominato dagli anziani. È diseducativo perché diminuisce proprio nei giovani la fiducia nel parlamentarismo e la partecipazione politica. Infine la soglia del “venticinquesimo anno” è dannosa perché contribuisce alla instabilità politica. L’Italia, infatti, è il Paese europeo con il più forte “voto generazionale”, ovvero con preferenze elettorali molto diverse secondo l’età degli elettori. Insistere a far eleggere Camera e Senato da due corpi elettorali in parte diversi rende più probabili maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento. In tal caso è difficile o impossibile formare un governo, la formulazione e approvazione delle leggi diventano più lente e a volte impossibili, alcune proposte di legge vanno avanti e indietro tra le due camere, e tutto il lavoro è volte gettato via perché la legislatura finisce. Inoltre la precarietà dei governi con maggioranze risicate aumenta, e con essa anche il prezzo politico e quello “commerciale” dei parlamentari disposti a cambiare partito, attirando in Parlamento più persone senza scrupoli.

    Certo, dare i pieni diritti elettorali ai diciottenni non basta a curare questi mali. Eppure, se su di essi la riforma del “diciottesimo anno” avesse qualche effetto, ne varrebbe sicuramente la pena, visto che si tratta di cambiare una sola parola nella Costituzione. Ciò richiede una procedura speciale e più lunga, che però è ancora praticabile prima delle elezioni, se avviata subito. La maggioranza necessaria è di due terzi. Ma quale partito avrebbe il coraggio di negare il diritto di voto per il Senato a quei quattro milioni e mezzo di giovani dei quali cerca il voto per la Camera?  E il primo partito che in Parlamento, nei media e nei talk-show televisivi si facesse paladino del pieno diritto di voto a 18 anni, non guadagnerebbe simpatia tra gli elettori più giovani?

    L’anacronismo del “venticinquesimo anno” è insieme effetto e parziale causa del dominio degli anziani nel nostro Paese. L’Italia spicca infatti nelle classifiche internazionali come il secondo Paese al mondo per percentuale di anziani e come la più radicata gerontocrazia tra i Paesi industrializzati. Con un'età media di 59 anni gli uomini di potere italiani sono i più vecchi d’Europa. L'età media dei banchieri e dei vescovi è 67 anni e quella dei professori universitari 63, rileva uno studio dell'Università della Calabria. 79 e 69 anni è l’età dei due politici extraparlamentari che dominano ancora due delle maggiori forze politiche, il centrodestra e il Movimento cinque stelle.  L’Italia è ventisettesima su 29 (ora 35) Paesi dell’Ocse nell’ultimo “Indice di giustizia generazionale” di Pieter Vanhuysse del European Centre for Social Welfare Policy. L’indice consta di quatto indicatori: debito pubblico nazionale pro capite dei minorenni, povertà infantile, rapporto tra la spesa sociale pro capite per gli anziani e quella per il resto della popolazione, impronta ecologica pro capite.

    L’Italia è un caso estremo di una tendenza generale. In quasi tutti i Paesi dell'Ocse, infatti, il potere e la prosperità degli anziani crescono a scapito dei giovani. Dal 1990 al 2005, l'età mediana dell'elettore in questi stessi Paesi è cresciuta tre volte più velocemente che nei trent'anni precedenti. Nei Paesi più ricchi una percentuale sempre maggiore di anziani e una loro maggiore partecipazione al voto, rispetto ai giovani, causano uno squilibrio politico generazionale. Per controbilanciare questa tendenza, e quella mondiale dei giovani a votare sempre di meno, in molte nazioni si moltiplicano le iniziative per dare i pieni diritti elettorali a partire dai 16 anni. Buoni argomenti per questa riforma sono esposti per esempio da Tommy Peto, dell’Università di Oxford, dal settimanale The Economist,  e dal giornale britannico The Guardian. Il voto ai sedicenni è però un tema controverso. Per questo è curioso che il Movimento cinque stelle, il partito italiano più giovane, con i deputati più giovani, e il più votato dai giovani, abbia espresso solo quest’anno una generica posizione per il diritto di voto a 16 anni, mentre in quattro anni i suoi 160 eletti non hanno fatto nulla di efficace in Parlamento e nei media per una riforma meno controversa e più semplice: il voto a 18 anni per il Senato.

    Gli italiani anziani sono in proporzione più numerosi e hanno più potere, occupazione, reddito, patrimonio e privilegi dei più giovani. Per questo molti giovani si sentono sempre più esclusi dal tessuto sociale e dalla partecipazione politica. In Italia la disoccupazione e l’emigrazione giovanile sono tra le più alte nei Paesi industrializzati. Ogni anno decine di migliaia di giovani, spesso laureati o dottorati, si trasferiscono all’estero. Ma proprio costoro non hanno diritto di eleggere tutti i legislatori né di contribuire a determinare i governi che potrebbero cercare di rimediare. È per questo che, promossa da  Oliviero Toscani, Elda Lanza, Vitaliano Damioli, Wolfgang Gründiger , oltre che da chi scrive (la nostra età media è 73 anni), è in corso la petizione “Voto a 18 anni per il Senato” , indirizzata alle massime autorità della Repubblica e ai Parlamentari.

    Il lungo e umiliante mercanteggiare sulle “grandi riforme” elettorali non ha prodotto niente di buono. Inoltre ha gettato discredito sul parlamentarismo, convincendo molti che ogni nuova proposta di riforma volesse solo favorire l’uno o l’altro partito. Se gli attuali parlamentari attuassero una “piccola riforma” dalle grandi conseguenze, che va davvero a beneficio di tutti i cittadini, forse riguadagnerebbero un po’ della loro stima. Prima della fine della legislatura si può e si deve finalmente dare i pieni diritti elettorali a tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni.

           

    

SPIGOLATURE

 

Banale dettaglio

della Storia?

 

di Renzo Balmelli

 

ALLARME. È inutile menare il can per l’aia. Solo quando si darà all’AfD la definizione più consona al suo inquietante e oscuro Dna, si potrà cominciare a ragionare seriamente sul vespaio in cui rischiano di trovarsi la Germania in particolare e l’Europa in generale dopo l’esplosiva avanzata dello schieramento ultrà. Tutti gli altri tentativi di addolcire la pillola sono scappatoie per non prendere atto di una deriva torbida e allarmante. Quasi cento deputati in un solo colpo non sono una bazzecola e neppure un casuale incidente di percorso, bensì l’espressione di uno stato d’animo alterato che non soltanto si ribella ai migranti e all’euro, ma che affonda le sue radici in un pantano maleodorante. Definire la Alternative un movimento di estrema destra pare quindi riduttivo. Per capirne la reale portata si pensi agli abitanti di quel villaggio tedesco che pur non avendo in casa un solo profugo hanno votato in massa per il partito che in appena quattro anni, a riprova della sua strisciante e contagiosa ramificazione, ha sbancato il tavolo delle elezioni al Bundestag. Magari sarà vero che l’AfD resterà tagliata fuori dalle alleanze, ma intanto l’allarme suona mentre si allarga il fronte di chi scalpita per “resettare” la democrazia. Il suo vero nome? Lo scopriremo presto, molto presto, e non sarà come soleva dire il vecchio Le Pen un banale dettaglio della storia.

 

SINISTRA. In passato, quando la destra tracimava (e adesso sta tracimando come un fiume in piena), toccava alla sinistra dare prova di saggezza per riportare le acque dentro il loro alveo naturale. Ma qualcosa ci dice che questa volta non sarà così. Dopo l’esito della tornata elettorale che ha messo a soqquadro la Berliner Republik, i margini di manovra della SPD, che porta con orgoglio il primato di più vecchio movimento della classe operaia e internazionalista, sono ormai piuttosto ridotti. Il crollo della compagine guidata da Martin Schultz evidenzia una crisi di programmi, leadership e consensi laddove, ai tempi di Willy Brandt, la SPD si poneva invece all’avanguardia nel contrastare le forze della reazione. Nell’intervista al Corriere della Sera il presidente emerito Giorgio Napolitano, al quale rubiamo le parole chiedendo venia per il plagio, sostiene che la sinistra «è in crisi ed ha smarrito la sua funzione». Giusto. L’analisi però non si limita al caso tedesco, ma punta i riflettori sulle condizioni in cui versa il socialismo europeo che ora, di fronte a questa sfida, ha l’impellente obbligo morale di ritrovare in sé la forza di reagire e di affrancarsi dalla litigiosità che lo paralizza nello svolgere appunto la sua naturale funzione. “Quale?”, si dirà. Non cerchiamo lontano. Essere semplicemente di sinistra, per quanto banale ciò possa suonare.

 

DOLORI. Non sappiamo se nella cultura del Myanmar, nome moder­no dell’antica Birmania, vi sia un personaggio simile al Werther di cui Goethe cantò i dolori. In una chiave di lettura contemporanea, a tale ruolo, sicuramente non dei più facili da interpretare, potrebbe essere associata la figura di Aung San Suu Kyi che – da celebrata, citata e imitata Premio Nobel per la Pace – di colpo si è trovata nel mezzo di durissime contestazioni a causa delle persecuzioni di cui sono vittima i profughi della minoranza Rohingya. La posizione poco chiara assunta dalla leader birmana nei confronti della crisi dagli evidenti risvolti umanitari oltre che politici, ha finito col trasformarla da ammirata e indomita lottatrice contro i soprusi della dittatura militare in una eroina tragica che, proprio a causa dell’atteggiamento defilato, mostra la debolezza del processo di transizione democratica nel Paese dei mille templi. E in cui i generali, seppure nell’ombra, pare abbiano ancora l’ultima parola. Solo le azioni dei prossimi tempi potranno restituire a questa donna che ha incarnato le speranze di tutto un popolo il credito internazionale andato perso nel corso di una vicenda che rischia di esporre il Myanmar a nuove ondate di radicalizzazione e ad altri dolori.

 

STRUMENTO. Da più parti era stato annunciato che l’anno in corso avrebbe segnato la sconfitta del populismo e il riscatto dell’Europa. Come una puntata al lotto che raramente ci azzecca, anche questo pronostico, seppur dettato dalle migliori e più condivisibili intenzioni, è andato nella direzione opposta. Il populismo non ce lo siamo lasciato alle spalle e tutto il magma indigesto che gli fa da contorno pesa come un macigno sul cuore e sullo stomaco. Per fortuna nostra – al di là di chi senza arrossire fa l’apologia dei soldati di Hitler - a evitare di cadere nel baratro provvede instancabile e salvifica la missione della cultura che non conosce frontiere, razze e problemi di identità. Esemplare a tale proposito è stato il Festival musicale di Lucerna che nel solco tracciato da Claudio Abbado e dal suo insigne erede Riccardo Chailly, per la prima volta ha aperto le porte ai migranti, sottolineando così il valore universale della musica quale potente strumento – è proprio il caso di dirlo – per mettere in comunicazione popoli diversi. Questa iniziativa raccoglie nel senso dell’apertura al mondo la sfida che Toscanini lanciò all’egida nazista e che ora prosegue affinché la note sublimi dei grandi compositori possano essere ascoltate da tutti scavalcando le bacate ideologie dei costruttori di muri.

 

               

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

La legge 194 è inapplicata,

l'Italia torna in piazza

 

Presidi e cortei nella "Giornata mondiale per il diritto all'aborto sicuro e legale". Una norma "di fatto svuotata dalla troppa

obiezione di coscienza", spiega il segretario generale Cgil

Susanna Camusso. Da Nord a Sud, leggi tutti gli appuntamenti

 

La legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza è del 22 maggio 1978. Sono ormai passati quarant’anni, ma quel diritto è sempre più messo in discussione. Ecco allora che le donne tornano in piazza oggi (giovedì 28 settembre), in tutta Italia, in occasione della Giornata mondiale per il diritto all'aborto sicuro e legale (www.september28.org), per “rivendicare ancora una volta – scrive la Cgil – il diritto alla libertà di scelta e all'autodeterminazione delle donne, il diritto a vedere applicata una legge dello Stato, di fatto svuotata dalla troppa obiezione di coscienza”.

    L’obiezione di coscienza per il personale sanitario è prevista dalla legge 194. Ma quest'ultima, spiega la Confederazione, ha raggiunto “dimensioni preoccupanti, come certifica anche l'ultima relazione del ministero della Salute, che quantifica l'obiezione di coscienza tra i ginecologi al 70,7 per cento, con punte del 90 in alcune regioni” (come Trentino Alto Adige, Molise e Basilicata). “La gravità del fenomeno – conclude la Cgil – è stata dimostrata dall'accoglimento, e dalla successiva condanna del nostro Paese, di due ricorsi, uno dei quali presentato dalla Cgil al Consiglio d'Europa per violazione del diritto alla salute delle donne”.

     “Le donne hanno diritto, in tempi brevi e certi, a vedersi finalmente garantito negli ospedali quanto previsto dalla legge 194”. Così la responsabile delle Politiche di genere della Cgil nazionale, Loredana Taddei: “L'Italia, a causa della sempre più estesa obiezione di coscienza, è in fondo alla graduatoria europea per la tutela della salute di coloro che vogliono abortire. Donne costrette a spostarsi da una struttura all’altra, anche in regioni diverse o addirittura a recarsi all’estero per trovare un ente ospedaliero che assicuri loro la prestazione richiesta. È dovere del governo rimuovere gli ostacoli alla piena e corretta applicazione della legge 194”.

 

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ADL 120

 

1897

2017

 

 

23 novembre - ore 18.00

Photobastei - Sihlquai 125 - 8005 Zürich

 

Letzte Front

Vernissage della mostra dedicata alla vita

e all’opera di Andy Rocchelli (1983-2014)

 

Intervengono: Miklós Klaus Rózsa (Syndicom, fotografo, curatore della mostra), On. Beppe Giulietti (Presidente Federazione Nazionale Stampa Italiana), Giangi Cretti (Direttore Comunicazione Camera Commercio Italiana). Finissage: 13 gennaio 2018, ore 18.00.

 

Ingresso libero.

Orari di apertura: lunedì-sabato 12-21; domenica 12-18.

Info: www.photobastei.ch - cooperativo at bluewin.ch

 

Organizzano: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, Collettivo Cesura, Fabbrica di Zurigo, Famiglia Rocchelli, Fondo Gelpi Ecap Schweiz, Istituto Italiano di Cultura Zurigo, Photobastei, Società Cooperativa Italiana, Società Dante Alighieri, Syndicom Schweiz.

       

   

Freschi di stampa, 1917-2017 (18)

 

All’estero si diffida di noi!

 

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

 

Il fondo in prima sull’ADL del 21 luglio 1917 riferisce di un viaggio intrapreso dall’on. Labriola “attraverso alla Francia, Inghilterra, Norvegia, Svezia e Russia e viceversa”. L’on. Arturo Labriola (1873-1959) – da non confondersi con il filosofo Antonio Labriola (1843-1904), del quale la Angelica Balabanoff era stata allieva a Roma nei primissimi anni del Novecento – aveva assunto in quegli anni una posizione interventista e social-patriota, dopo una lunga fase di impegno politico nelle fila del socialismo rivoluzionario. E, in tale veste interventista l’on. Labriola aveva intrapreso il suo viaggio nei paesi dell’Intesa, rientrando dal quale, così riferisce l’ADL, egli aveva deciso di affidare «ai giornalisti italiani le sue impressioni, in questa pillola concentrata: “All’estero si diffida di noi, e si accusa l’Italia di esplicare una politica imperialistica» (ADL 21.7.1917).

    Ironia della storia, l’Arturo Labriola che nel 1917 attacca l'imperialismo italiano, e che dopo l’avvento del fascismo va esule a Parigi, si riavvicinerà poi al regime nel 1935, aderendo entusiasticamente alla conquista coloniale dell’Etiopia: «Mi permetta di assicurare Vostra Eccellenza dei miei sentimenti di piena solidarietà», scrive al duce.  E, rientrato in Italia, diviene collaboratore de La Verità, rivista politica di Bombacci, finanziata dal Ministero della cultura popolare.

    Nicola Bombacci è una incredibile maschera tragica del Novecento demagogico italiano. Per pochi mesi, durante il “biennio rosso” (1919-1920), è segretario nazionale del PSI, un anno più tardi a Livorno passa al Partito comunista d'Italia, incolonnato nell’ala "destra” di Francesco Misiano. Si oppone al fascismo fino al 1926, quando la sua casa di Roma viene devastata dalle squadracce e lui, per mutata convinzione, si avvicina al regime. Di lì in poi, all’insegna dell’opposizione “proletaria” contro la “plutocrazia” occidentale, finirà per identificarsi totalmente con il regime mussoliniano, che per lui è il vero socialismo. Nel 1944 giungerà a magnificare il fascismo di Salò in un opuscolo edito a Venezia con il titolo: “Questo è il comunismo”.

    Finirà appeso a testa in giù, a Piazzale Loreto, il 29 aprile del 1945, insieme al duce, alla Petacci, a Pavolini e a Starace in uno dei più orribilmente spettacolari apici di brutalità politica nazionale.

    Sei settimane prima, il 15 marzo 1945, in un discorso rivolto alle camicie nere genovesi, Bombacci esclamava: «Compa­gni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l'amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all'avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell'inganno.»

 

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Piazzale Loreto, 29 aprile 1945. Esposizione dei corpi (da sinistra) di Bombacci, Mussolini, Petacci, Pavolini e Starace dinanzi a una cittadinanza milanese sulla soglia del tumulto. Un atto di brutalità politica in cui si chiude, con il fascismo, la vicenda dell’imperialismo italiano novecentesco.

 

Ma torniamo ad Arturo Labriola, le cui affinità con la “sinistra fascista” di Bombacci iniziano nel 1935 e cessano il 25 luglio del 1943, con l’arresto di Mussolini. Labriola non seguirà il direttore de La Verità nel protettorato hitleriano di Salò. E dopo la Liberazione, all’elezione della Costituente lo ritroveremo schierato sulle posizioni lib-lab dell’Alleanza Democratica della Libertà.

    Ma l’epoca di cui parliamo risale a trent’anni prima di tutto ciò, siamo nel 1917. E l’ADL riferisce che Labriola ha scoperto come: «l’Italia, al rimorchio dell’Intesa, più delle altre potenze alleate, ha addimostrato con una politica malaccorta, l’appetito dell’imperialismo, oltre ogni misura. L’Italia, entrata in guerra per un “sacro egoismo” che voleva apparire solo irredentista, ha svelato col protettorato sull’Albania, con le pretese su tutta la Dalmazia, sull’Asia Minore, sulle sponde del Mar Rosso, di contro a Massaua, un “sacro egoismo” ch’è prevalentemente imperialista e del colorito irredentista si serve soltanto per uso di comodo» (ADL 21.7.1917).

    In effetti, l’Albania, la Dalmazia, la Libia e il Dodecaneso costituiscono un capitolo molto speciale, poco noto, delle azioni belliche della “grande proletaria”, entrata in guerra, a parole, per la santa causa di Trento e Trieste oltre che, naturalmente, per soccorrere il “Belgio massacrato” e la “Francia aggredita” dagli Imperi Centrali.

    E però, commenta l’ADL, l’Italia «non ha mandato un fantoccio a Lovain, né un bersagliere a Verdun: ne ha inviati a centinaia invece in Albania, nell’Epiro, nelle isole greche», sicché la nazione italiana – mentre «la Russia rivoluzionaria rinuncia a Costantinopoli» – fa la figura della “pezzente del ieri” e della “parvenue dell’oggi” arrivando al «concerto degli alleati, satura di smodati appetiti ed avida di afferrare a destra e a manca pegni, protettorati e domini» (ADL 21.7.1917).

    Di qui si può ben vedere come l’“imperialismo straccione” italiano (Lenin) non possa preludere che alla “vittoria mutilata” (D’Annunzio) e a tutte le tonnellate di retorica protofascista e fascista che ne seguiranno.

    Ma siamo all’inizio dell’estate del 1917 e la Dottoressa Angelica è appena arrivata a Stoccolma da San Pietroburgo per assumere al più presto il lavoro nella “Commissione Internazionale”. Scrive ai compagni italiani assicurandoli di non avere mai compiuto, durante tutta la sua permanenza nella nuova Russia repubblicana, alcun passo politico a nome del PSI, della cui Direzione nazionale ella fa parte: «A nome del Partito Socialista Italiano ho fatto una cosa sola» – puntualizza la Balabanoff: «Ho portato una corona alle vittime ed ai martiri della rivoluzione.» (ADL 21.7.1917).

 

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“Un’aureola discussa”: il Soviet di

San Pietroburgo in una foto del 1917

 

L’Internazionale, scrive Angelica, ha deciso di convocare «la terza Conferenza di Zimmerwald… e ciò principalmente perché i Zimmerwaldiani potessero decidere collettivamente se e con quale programma» essi intendano prendere parte al Congresso del Soviet.

    Ma, inaspettatamente, apprendiamo che proprio intorno al Congresso del Soviet emergono virulente divisioni all’interno degli internazionalisti. Alcuni partiti aderenti al movimento pacifista di Zimmerwald intendono, infatti, partecipare comunque ai lavori, mentre altri non solo «non andranno al Congresso [del Soviet], ma minacciano di uscire dall’organizzazione Zimmerwaldiana, qualora la maggioranza dei partiti aderenti decidesse di intervenire» (ADL 21.7.1917).

    Per spiegare questo anti-sovietismo ante litteram degli Internazionalisti, un atteggiamento che «meraviglierà alquanto i nostri compagni all’estero», la Dottoressa Angelica parla di una “aureola discussa”, in quanto molti socialisti di tutti Paesi sono assai divisi intorno alla tattica del Soviet: «L’opposizione viene fatta non solo dai Leninisti, non solo da Trotzky, bensì anche da una parte di coloro che fino a ieri erano correligionari e amici intimi… dei “Menscheviki”». Senza contare che «taluni atteggiamenti del Governo provvisorio russo in materia di politica estera ed interna avranno dato a pensare anche a coloro che considerano le vicende russe da lontano» (ADL 21.7.1917).

    In altre parole, Angelica Balabanoff ci sta dicendo che “una buona parte degli Zimmerwaldiani” non intende partecipare al Congresso del Soviet russo perché in esso sembra prevalere una maggioranza fa­vo­revole alla continuazione della guerra. Sembra incredibile, a tre mesi dall'Ottobre rosso ("Tutto il potere ai Soviet!"), ma questa è la situazione. Per adesso.

 

(18. continua)

         

    

   

ADL 120

 

1897

2017

 

 

Una giornata di studi e dibattiti

nel 120° dalla fondazione dell'ADL

 

 

18 novembre 2017

Cooperativo Zurigo, St. Jakobstrasse 6, 8004 Zürich

Ingresso libero / Info: 044 2414475 / cooperativo at bluewin.ch

 

Ore 10.00

 

Libri e autori

Mattia Lento, Giovanni Battista Demarta e

Viviana Meschesi al confronto con il pubblico zurighese

 

Il Dr. Lento parlerà de La scoperta dell’attore cinematografico europeo, (Pisa 2017). Il Dr. Demarta illustrerà l’edizione italiana, da lui curata, di Per un’economia umana di Julian Nida-Rümelin (Milano, 2017). La Dr. Meschesi parlerà di Sistema e Trasgressione. Logica e analogia in Rosenzweig, Benjamin e Levinas, (Milano 2010). Moderatore: Francesco Papagni, teologo e giornalista.

 

Ore 11.00

 

Anima, mondo ed esperienza.

L’eredità kantiana in Helmut Holzhey

 

Il prof. Pierfrancesco Fiorato (Sassari) discute con Helmut Holzhey (professore emerito presso l’Università di Zurigo) la sua opera Il concetto kantiano di esperienza, riedita nell’ottantesimo compleanno dell’Autore. / Moderatore: Dr. Andrea Ermano, direttore dell’ADL.

 

 

Ore 12.15

Pausa dei lavori e rinfresco

 

 

Ore 13.15

 

Il “Caso Englaro” otto anni dopo

Ricordi e riflessioni di Beppino Englaro e Renzo Tondo

 

Beppino Englaro, padre di Eluana Englaro, e l’on. Renzo Tondo, Governatore della Regione Friuli Venezia-Giulia all’epoca del “Caso Englaro”, verranno intervistati dal decano dei giornalisti italiani in Svizzera, Giangi Cretti.

 

 

Ore 14.15

 

Grande Riforma?

Ma l’Italia ha bisogno di grandi riforme? E, se sì, di quali?

 

Il sen. Paolo Bagnoli (Università Bocconi di Milano e Università di Siena), l’on. Felice Besostri (costituzionalista autore dei ricorsi contro il Porcellum e l’Italicum) e il Dr. Andrea Ermano, direttore dell’ADL, verranno “moderati” dal Dr. Mattia Lento (Innsbruck).

 

Ingresso libero / Info: 044 2414475 / cooperativo at bluewin.ch

   

    

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Il generoso D’Alema

 

Perché Aldo Cazzullo e il Corsera affidino, a seguito del risultato delle elezioni tedesche, l’analisi della crisi della socialdemocrazia europea e le possibili soluzioni ai due ex dioscuri del Pci-Pds-Ds Walter Veltroni e Massimo D’Alema, mediante due torrenziali interviste, è arduo da comprendere tuttavia vi è da considerare che a Via Solferino da un po’ di tempo la confusione regna sovrana.

 

di Emanuele Pecheux

 

Non meritano grande attenzione le ripetitive ideuzze del fondatore del Pd che tra un libro, un film e altre amenità vive una dimensione onirica della politica e non aggiunge nulla (come potrebbe?) al vuoto pneumatico che da sempre è la cifra del suo profilo politico.

    Diverso il caso del Lider Maximo: con la sfrontatezza che gli è congeniale, Baffino afferma di essere stato “generoso” con Bettino Craxi perché nelle ultime settimane del 1999, quando ormai era noto a tutti che le condizioni di salute del leader socialista si erano aggravate (morì nel gennaio del 2000) afferma: “negoziai con la Procura di Milano perché non lo arrestassero. Non fu possibile” e, bontà sua, osserva: “Nonostante la forte carica anticomunista Craxi è sempre stato un uomo di sinistra”.

    Forse la mia memoria non mi aiuta, ma personalmente non ricordo un particolare impegno dell’allora Premier per favorire una soluzione ad un caso disperato e disperante.

    Invece ricordo che pochi mesi prima, nel marzo dello stesso anno, l’ultimo del XX secolo, celebrandosi a Milano il IV congresso del Pse (partito di cui Craxi nel 1992 fu tra i fondatori), la delegazione dello Sdi pose all’allora presidente del Pse, il tedesco Rudolf Scharping la questione politica del “caso Craxi” affinché il congresso ne discutesse i termini e magari suggerisse una soluzione, riconoscendo al leader del Psi l’onore politico unitamente alla considerazione che non si poteva parlare di lui come “un capobanda” .

    Scharping (che pochi anni dopo, da Ministro della Difesa della Germania, finì invischiato in una storiaccia legata all’utilizzo per fini personali di aerei militari per raggiungere l’amante a Palma di Majorca e si dovette dimettere), pressato dai due Dioscuri dei Ds (uno Veltroni, segretario del partito, l’altro D’Alema, Presidente del Consiglio) liquidò la questione sostenendo che: “Craxi non è un problema europeo, è un problema solo italiano, anzi della giustizia italiana. Nessun capo di governo, nessun segretario, nessun partito europeo è interessato a discuterne”.

    Insomma costui si comportò da teutonico utile idiota piegandosi ai desiderata dei vertici dei Ds che fecero a gara per promuovere e sostenere una simile aberrazione.

    Occhetto definì l’iniziativa dello Sdi “un grimaldello contro i giudici”, Veltroni sostenne che “La questione morale per noi è irrinunciabile. Dobbiamo con più forza far vivere, specie tra i giovani, l’intensità di una politica che io chiamo la sinistra dei valori”, D’Alema diede prova della sua grande “generosità” dichiarando: “Se Craxi tornasse, farebbe un atto onorevole”, infine Pietro Folena, all’epoca coordinatore nazionale dei Ds affermò: “La questione Craxi? Per noi è irrilevante”.

    D’Alema, che senza nemici da abbattere proprio non sa stare, dopo 18 anni riconosce a denti stretti, al vecchio nemico Craxi la patente di “uomo di sinistra”, al solo fine di negarla al suo nuovo nemico Renzi.

    Ha ragione Nencini che oggi, presentando l’ultimo libro di Ugo Intini, ha affermato: “D’Alema sarebbe stato più corretto se avesse detto queste cose negli anni Novanta. La memoria tardiva rischia di essere strumentale e parziale, anche se un pezzo di verità è stata ripristinata. Purtroppo in Italia ci sono legioni di smemorati”.

    Già, perché, more solito, per i nipotini di Togliatti il miglior socialista è sempre quello morto e il riconoscimento tardivo di D’Alema ha l’afrore rancido della più becera strumentalità.

 

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Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Erasmus e Stati Uniti d’Europa

 

Convegno a Zurigo il 7 ottobre – ore 15.00

Zunfthaus zur Waag - Münsterhof, 8 - 8001 Zürich

 

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Interviene:

 

Pia Locatelli

Presidente d'onore dell'Internazionale Socialista Donne

Vice presidente dell'Internazionale Socialista

Capogruppo del PSI alla Camera

 

Partecipano:

 

Leonardo Scimmi, autore del libro "Europa Riformista"

Fabrizio Macri, autore del libro "No Euro… No party "

Enrico Musella, membro del Consiglio Generale Italiani all'Estero

       

    

"Sempre socialista"

 

Ciao, Mino

 

di Bruno Lo Duca

 

E' molto facile per me parlare di Mino Ramoni, malgrado la profonda tristezza del “suo abbandono”. Un compagno di partito e un amico di famiglia per oltre 50 anni. Prima una conoscenza superficiale (io bambino e lui quasi maggiorenne), quando i suoi genitori gestivano un bar edicola a Pallanza, in via Guglielmazzi, a 100 metri da casa mia; lì lo vedevo, quando la mia famiglia, come molte altre, si recava a vedere la televisione (un solo canale, rigorosamente in bianco e nero). L’ho ritrovato 10 anni dopo, quando ho cominciato a frequentare il Circolo Zappelli, e la mia iscrizione alla Federazione giovanile socialista ha fatto il resto. Erano momenti difficili per il Psi, a causa della scissione dei compagni del Psiup, che non accettavano l’ingresso dei socialisti nel governo di centrosinistra. Ma noi siamo rimasti e abbiamo cercato di rilanciare l’attività politica, seguendo da allora l'esempio di un uomo straordinario come Riccardo Lombardi. Dovrei in verità dire che noi giovani pendevamo letteralmente dalle labbra di compagni come Paolo Monchini e Mino Ramoni. La loro esperienza, la loro forza di volontà, la loro visione del momento e della prospettiva, unite all’attività sindacale nella Cgil, sono state per noi ragazzi esperienze di vita, oltre che di pensiero politico, e ci hanno consentito di crescere come persone e di far crescere il partito cittadino fino al 25% dei consensi alle elezioni comunali. Dal 1980 al 1985 Mino è stato sindaco di Verbania, nel pieno della crisi locale della grande industria; un sindaco popolare, straordinario, che ha dimostrato una grande capacità di analisi, di intervento e di partecipazione attiva. Dopo i fatti di Tangentopoli, insieme ai compagni rimasti (alcuni anche giovani), abbiamo cercato di ricucire le fila di un’azione politica, in particolare amministrativa, per quel che si poteva fare. Ma il passato non si è rifatto vivo per premiarci adeguatamente. I socialisti non erano più considerati, indipendentemente da quel che dicevano e facevano. E' stato sindaco di Cossogno e ha iniziato a ragionare su una possibile fusione di quel Comune con Verbania, ora all'ordine del giorno dell'agenda politica. All’inizio degli anni 2000 ha insistito per organizzare un numero consistente di associazioni in un Coordinamento Sanità VCO, perché riteneva indispensabile che “la gente comune” potesse trovare il modo per dire la sua in merito al grande tema della salute nel nostro territorio. Successivamente l’azione di Mino, in particolare, si è rivolta verso due direzioni. La prima, ricordare a Verbania quel che i socialisti erano stati; l’esito felice di questo sforzo sono i libri (editi con la collaborazione preziosa di Sergio Aicardi) sui primi tre sindaci del dopoguerra: Vincenzo Adreani, Luigi Zappelli e Giuseppe Perin. La seconda, cercare di valorizzare – attraverso il lavoro dell’Associazione culturale "Vb Doc" (Verbania Documenti) – il passato e le eccellenze di Verbania. Ne sono frutto i convegni pubblici sul rione Sassonia e sul rione S. Bernardino, che sono stati per molto tempo il cuore della Verbania operaia e popolare. Sul piano più direttamente culturale, invece, le due giornate sull’esodo istriano il maggio dello scorso anno, con il segretario dell’Associazione di Piemonte d’Istria, e la presentazione dei libri di Franco D’Alfonso "Il partito della città” sulle esperienze dei sindaci socialisti di Milano e di Walter Cerfeda “Allegoria” sulla presa di Otranto da parte dei turchi e sul fenomeno attuale dell’immigrazione di massa. Avevamo, e ancora abbiamo, in itinere programmi per nuove iniziative; le promuoveremo sicuramente nel suo nome, ma tutti noi avremmo avuto bisogno per almeno 10 anni ancora della sua presenza, della sua capacità di lavoro e di organizzazione. Mino aveva poi anche diversi altri interessi, prima di tutto la storia, di cui cercava nella lettura il senso vero del divenire delle azioni e del destino delle masse popolari. Se ne è andato a pochi mesi dalla chiusura della sezione socialista e a undici giorni dalla chiusura del Circolo Zappelli dopo 70 anni di attività, un dispiacere che lo accompagnava costantemente. Un pensiero e un sentimento di profondo affetto particolare va a Pinuccia, sua moglie; una vera compagna di vita, capace di rincorrerlo nelle sue peregrinazioni politiche e culturali, sempre pronta a supportarlo in ogni occasione. Anche per lei faremo il possibile per seguire l'esempio di Mino. Innanzitutto a onorare quel che Mino diceva di sé: anti-fascista e a-comunista, sempre socialista.

 

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Mino Ramoni (1935-2017)

 

Ci associamo con sincera partecipazione al dolore per la perdita del compagno Mino Ramoni, grande sindaco di Verbania e continuatore della tradizione socialista della Val d'Ossola – La red dell’ADL

       

     

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

Allegato Rimosso
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